[autismo-biologia] autismo e psicofarmaci
daniela
daniela a autismo33.it
Lun 2 Mar 2020 15:44:05 CET
Il convegno in programma per il 7 marzo
http://www.autismo33.it/autismo_edu/stabat_mater_7_marzo_2020/locandina.pdf
di cui Marialba ha annunciato il rinvio , terminava con un “dulcis in
fundo” ma iniziava con una nota molto amara: l’uso degli psicofarmaci
nell’autismo. Il motivo per cui si tratta di una nota amara lo si puo’
desumere da un articolo che ho pubblicato recentemente, che altro non è
che la relazione che avrei fatto al convegno
http://www.pernoiautistici.com/wp-content/uploads/2020/01/Psicofarmaci-e-autismo.pdf
Di psicofarmaci, e in particolare di neurolettici, abbiamo più volte
discusso su questa lista. Segnalo il link a messaggi di parecchi anni
fa, ma che, non essendovi stati progressi, sono ancora attuali
http://autismo33.it/pipermail/autismo-biologia/2009-August/000139.html
http://autismo33.it/pipermail/autismo-biologia/2009-August/000140.html
http://autismo33.it/pipermail/autismo-biologia/2009-August/000142.html
http://autismo33.it/pipermail/autismo-biologia/2016-July/002171.html
http://autismo33.it/pipermail/autismo-biologia/2017-June/002541.html
Una situazione sulla quale mi vorrei soffermare è la seguente:
molte persone con diagnosi di autismo iniziano ad assumere farmaci
antipsicotici (altrimenti detti neurolettici) da bambini e continuano
per anni sino all’età adulta, quando escono dalla presa in carico della
Neuropsichiatria infantile ed entrano nella Psichiatria adulti. Lo
psichiatra che li riceve di solito non si pone il problema del perché il
suo nuovo assistito li fa, quando li ha cominciati, se hanno avuto degli
effetti benefici o solo degli effetti indesiderati e continua la
prescrizione così come l’ha ricevuta.
Se poi diligentemente volesse interpellare il collega che per primo ha
prescritto i farmaci, difficilmente riuscirebbe a trovarlo perché
l’ultimo neuropsichiatra che aveva in carico il giovane l’aveva a sua
volta ereditato con quella terapia da un collega andato in pensione o
passato ad altro territorio o ad altre mansioni.
I genitori, quando ci sono (perché si parla anche di persone adulte o
anziane che cambiano psichiatra per cambiamento di residenza o altro)
sono sempre una importantissima fonte di informazioni, ma spesso
l’inizio dei farmaci è tanto lontano nel tempo che neppure loro
ricordano quando sono stati iniziati, per quali sintomi e soprattutto se
quei sintomi sono diminuiti, se sono rimasti invariati o se sono
peggiorati dopo l’inizio dei farmaci.
Il compianto Stefano Palazzi scriveva il 30 giugno 2016
“penso che quando una persona con autismo appare "stabilizzata" con un
neurolettico, sarebbe saggio iniziare a scalare pian pianissimo.
Meno sostanze accessorie e alternative si prendono, più si capisce a
quale eventualmente sia dovuto l'effetto (in barba alle teorie
recettoriali su modelli animali).
L'ultimo gradino a decrescere potrebbe durare 6-12 mesi prima di
sospendere del tutto.
Se subentrano crisi, va bene un reassessment a 24-48 ore prima di
aumentare.
Credo poi che dopo 1-2 mesi, di nuovo sia saggio iniziare a scalare
pian pianissimo”
Il problema grosso è che raramente la persona con autismo appare
“stabilizzata”. Più spesso l’adulto con autismo ha delle crisi
comportamentali, caratterizzate da distruttività e aggressività auto o
etero, più o meno frequenti e intense. E allora il problema è
“I farmaci, che in genere sono neurolettici, che assume da tanti anni,
sono davvero utili? In loro assenza le crisi sarebbero meno frequenti o
meno intense?”
Si è posto questa domanda lo psichiatra René Tuffreau (le Bulletin
scientifique de l’arapi – numéro 25 – printemps 2010) il quale scrive
“Esperienze di riduzione progressiva dei neurolettici fino alla totale
sospensione mostrano che le crisi comportamentali non aumentano né in
frequenza né in intensità. Questo a condizione che la riduzione sia
molto lenta, con un calo di un decimo della dose ogni mese o ogni due
mesi. Il calo deve essere lento e progressivo tanto più quanto maggiore
è il tempo durante il quale è stato protratto il trattamento e quanto
maggiore è il dosaggio da cui si parte” (mia traduzione dal francese)
Questa realtà è da prendere in grande considerazione in quanto i
neurolettici sono gravati da pesanti effetti indesiderati, molti dei
quali compaiono tardivamente e in modo subdolo, come il Parkinsonismo,
la discinesia tardiva, la acatisia, il declino cognitivo e i disturbi
endocrini e metabolici.
Ricordo poi che l’effetto tranquillante di molti neurolettici,
desiderabile quando il soggetto è molto agitato, si verifica in acuto,
ma si perde nel tempo.
La situazione è molto grave e non è affatto localizzata ad un singolo
paese, ma è ubiquitaria, come si evince dai lavori che ho citato nel
mio articolo, che provengono dall’America e dai paesi più evoluti
dell’Europa, come Olanda e Svezia, oltre che dall’Italia.
Nella storia della medicina non è la prima volta che un’abitudine che
non ha basi razionali si radica nelle abitudini prescrittive dei medici
e stenta a cambiare. Il primo passo è farla emergere in quanto, se essa
rimane a covare sotto la cenere, persisterà a tempo indeterminato e non
vi sarà nessun miglioramento
Daniela Mariani Cerati
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