[autismo-biologia] [autismo-scuola] significato mutevole di autismo

Raffaella Faggioli ambulatorioautismoadulti a gmail.com
Mer 8 Mar 2023 11:15:13 CET


Ciao David, naturalmente è necessario tenere conto che abbiamo professionalità diverse,  sensibilità diverse e  responsabilità diverse. Naturalmente io sono principalmente un clinico impegnata  stabilmente nella valutazione diagnostica di persone di tutte le età e di tutti i funzionamenti cognitivi  e solo in seconda battuta sono una ricercatrice (nella pratica quotidiana, io produco idee di ricerca e una montagna di dati che altri leggono)

Magari mi sbaglio ma mi sembra che anche sui i bambini in realtà siamo d'accordo nel momento stesso in cui scrivi: Il problema è che tu sai che prima o poi quel bambino cadrà. Ed è esattamente per questo che non esiste il livello 0 nei bambini perché noi sappiamo che prima poi, hai ragione spesso ai cambi di ciclo scolastico, ci sarà qualche cosa che lo porterà alla sofferenza e a sentirsi in dovere di mascherarsi, a non sentirsi “normale” e a percepire una diversità che lo farà  sentire solo al mondo (un extraterrestre, metafora molto significativa, chiara e diretta usata da moltissime persone autistiche) e quindi anche poco amato. Non basta  questo come ricaduta sulla qualità di vita? Io direi proprio di si. La sofferenza testimoniata da  tanti adulti autistici, l’intenso lavorio interiore che devono fare gli adolescenti, che magari non si mettono sui social, ma che noi terapeuti che li seguiamo costantemente ben conosciamo e che conoscono i loro genitori, non dovrebbe lasciarci indifferenti.

Naturalmente anche per me, con un bambino l’approccio clinico è molto diverso da quello con gli adulti ed è naturale che un clinico possa avere dubbi, io stessa li ho e quando li ho mi prendo il tempo per definire il mio giudizio diagnostico. Ma la diagnosi a un bambino è una proiezione in avanti che influenzerà tutta la sua vita: una volta fatta ci aspettiamo e anche pretendiamo che il mondo intero tenda ad  adattarsi al suo stile di funzionamento e che gli adulti che si occupano della sua educazione  mettano in atto strategie educative più mirate, strategie di conversazione più adatte al suo stile di funzionamento, protezione dall’esposizione incontrollata e costante a stimoli sensoriali e sociali inadeguati e forieri di sofferenza e stress. Quanti adulti autistici ci dicono che quando stanno in un gruppo intento in una conversazione si sentono stabilmente in allerta? Vogliamo “regalare” questo tipo di sensazioni e queste fatiche ai bambini?.  
Sappiamo che questo tipo di sforzo e di sofferenza porta in adolescenza a problematiche psichiatriche. La diagnosi deve quindi a mio avviso essere pensata anche per contenere questa inutile devastazione. La diagnosi dovrebbe proteggerli da eccessivi sforzi di mascheramento così come dal non sentirsi accettati per quello che si è o dalla sensazione di essere extraterrestri. Dovrebbe permettere agli adulti che si occupano della loro educazione di farli crescere il più confidenti possibile in sè stessi, con meno sensazione di estraniamento, più legittimati. Una diagnosi sbagliata nei bambini, anche in quelli in plus dotazione e con un linguaggio pienamente fluente, avrà una ricaduta sulla salute psicologica, sulla sofferenza psichica e sull’esposizione a non sentirsi compresi. Inoltre avrà una ricaduta sulla possibilità di autodeterminarsi. 
Se esito a fare la  diagnosi a un bambino non è perché lo vedo a livello 0, che ribadisco non esiste, ma perché ci sono situazioni in cui i sintomi sono difficili da decifrare in pochi incontri ed è necessario conoscerlo meglio e in modo più profondo.
Ci possono essere molti motivi per cui il suo stile di funzionamento autistico non è immediatamente apprezzabile e la conoscenza, stare in relazione è, in questi casi, l’unica strategia che abbiamo per capire. 

Ma non è mai quello che viene proposto come il livello 0  per gli adulti, anzi se mai ci sono bambini, soprattutto piccoli, anche chiaramente autistici che non hanno una vera e propria ricaduta sulla qualità di vita al momento della diagnosi, ma possiamo ben prevedere che ne avrà e la diagnosi dovrebbe servire a tutelarli e a dargli un mondo sociale più capace di capirli e più adatto al loro stile di funzionamento. Esattamente come dici anche tu.
È un diritto inalienabile dei bambini che gli adulti si muovano in questa prospettiva protettiva. Quindi io non ritengo affatto di “forzare” il sistema, credo sia giusto porre le basi per aiutare il bambino a crescere il più sereno possibile.

E il criterio D non può e non deve essere inteso solo come “il tuo stile di funzionamento autistico ti impedisce di lavorare e di essere autonomo” ma anche come ricaduta in termini di sofferenza e  di disagio psichico. D’altronde qualche volta la sofferenza può essere così forte da impedire di realizzarsi e di diventare autonomi. E la sofferenza psichica non è sapere psichiatrica.
È  ora di riconoscere e dare valore anche a questo aspetto con buona pace di chi pensa che psicologi e psichiatri siano (non)professionisti facilmente abbindolabili e incapaci di riconoscere la sofferenza psicologica e la ricaduta che questa ha sulla qualità di vita e sull’autodeterminazione.

Raffaella 




> Il giorno 1 mar 2023, alle ore 17:37, David Vagni <david.vagni a gmail.com> ha scritto:
> 
> Cara Raffaella,
> a parte l’avere idee diverse sull’unitarietà dell’autismo, concordo sul resto del tuo discorso ma vorrei aggiungere un commento alla tua ultima parte:
> 
>> Inoltre dovrebbe farci riflettere che questo problema non esiste quando parliamo di bambini esiste solo per quanto riguarda gli adulti. Ma questi adulti sono stati bambini e adolescenti che probabilmente hanno sofferto per non sentirsi né capiti né integrati e per una diversità che li ha sempre fatti sentire estranei.
> 
> Come sai non faccio diagnosi (ripeto, sono un ricercatore non un clinico) ma partecipo a tantissime valutazioni. Devo dire che anche se è infrequente, mi è capitato più di una volta di osservare situazioni di "autismo si, autismo no, autismo forse” anche nei bambini, relativamente al criterio del “funzionamento”.
> 
> Purtroppo nei bambini, ancora più che negli adulti, è difficile (e rischi di essere preso per pazzo o peggio) fare diagnosi in presenza di un buon funzionamento, perché se sono in un ambiente “protetto”, l’ambiente stesso tende a mascherare le difficoltà (genitori iper-presenti, piccola scuola privata, etc.).
> 
> Il problema è che tu sai che prima o poi quel bambino cadrà. Perché il problema è che quando i tratti autistici ci sono, anche in presenza di un buon funzionamento (e magari momentaneamente anche in assenza di stress psicologico), prima o poi quella cosa che ti fa crollare la trovi. Spesso è il passaggio da un ciclo scolastico all’altro o un trasloco.
> 
> In generale in quei casi spesso uno scrive “ci sono marcati tratti… ma il funzionamento al momento….” “si consiglia di tenere sotto osservazione”…”si consiglia ugualmente di fare un parent-training”, etc.
> Ma spesso bambini nello spettro hanno genitori, almeno con una gamba nello spettro ed il pensiero dicotomico la fa da padrone e viene ulteriormente incentivato da un sistema sociosanitario pensato per la cura/assistenza molto più che per la prevenzione. 
> 
> Il risultato è che frequentemente in quei casi non fanno nulla e poi ritornano dopo 2, 4, 6 anni, quando scoppia il problema.
> 
> Questo penso dovrebbe far ragionare su una cosa, medici e psicologi, di cosa si occupano? Della malattia o della salute? Perché se ci occupiamo della salute dovremmo impegnarci primariamente nella prevenzione. Ma il “sistema” non lo consente. 
> 
> Quanto è lecito forzare il sistema per fare prevenzione?
> 
> Questa penso sia una domanda interessante da porsi e a cui non ho una risposta.
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