[autismo-biologia] [autismo-scuola] significato mutevole di autismo

albertofagni a libero.it albertofagni a libero.it
Gio 9 Mar 2023 11:24:23 CET


Dottoressa Faggioli, 

io sono d'accordo con lei quando dice che NON esiste l'autismo di livello ZERO , termine che probabilmente ho iniziato ad sare io, per spiegare come ci siano troppi autistici o comunque persone che si dichiarano tali, ma che non rientrano nei criteri della diagnosi. 
E come lei sono dell'idea che non si possa usare il termine autistico come semplice aggettivo al di fuori di una diagnosi medica.

Questo punto per me è basilare perché troppe volte leggo di diagnosi "senza disturbo" cioè senza che il criterio D sia soddisfatto, nei tanti gruppi di autismo e vengono difese dagli stessi professionisti .
Con Vagni ho avuto una discussione su questo punto sul mio profilo Facebook 
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In quella discussione David ha difeso la possibilità di fare diagnosi psicologiche di autismo senza disturbo e di poterle definire diagnosi e non valutazioni . Ciò ovviamente genera confusione e molti penseranno di avere una vera diagnosi e non di avere solamente dei tratti autistici e al limite essere subclinici. 

Adesso leggo che entrambi riteniate sia corretto fare diagnosi prendendo in considerazione tutti quelli che raccontano di aver affrontato difficoltà nella vita per cavarsela ed essere autonomi, basta che questa sofferenza sia dovuta ad alcuni tratti autistici.
Lei afferma in una sua risposta che chi cerca una diagnosi vada accolto perché cerca risposte a delle difficoltà. 
Concordo, ma ciò non significa che tutte siano da accogliere con delle diagnosi .
Perché se uno ha sempre avuto le capacità di superare le sue difficoltà, senza fare nessun tipo di terapia ed avere nessun tipo di supporto, significa che il criterio D non è soddisfatto. 
Perché se la diagnosi dovesse premiare  tutti quelli che raccontano sofferenze e difficoltà superate, nessuno sarebbe esente da diagnosi. 
Aggiungo che spesso queste persone hanno delle difficoltà che sono ascrivibili a ben altre diagnosi dalle quali provengono, ma che trovandole più stigmatizzanti della diagnosi di autismo (e meno fighe) cercano di rifugiarsi in quella di autismo. 
Ora con tutta la fiducia che posso avere nei clinici, se la diagnosi si fa solo sul racconto di difficoltà superate, non sarà difficile per ch conosce lo spettro avere una diagnosi di autismo (oramai anche on line) 
E  i vari test sono facili da  indirizzare. Io posso decidere il punteggio che voglio avere in un test  che voglia "misurare" i miei sintomi autistici, ma se si vuole valutare il mio autismo sul presente un clinico non potrebbe mai darmi una diagnosi , né io  vorrei mai una diagnosi che mi limita e che non mi darebbe alcun supporto utile, visto che sono completamente autonomo. 
E se fossi altro , cioè bipolare, depresso etc etc , comunque una diagnosi non pertinente, per quanto più figa, mi allontanerebbe dai supporti e dalle terapie corrette. 
Io temo che oramai chi ha avuto difficoltà nella vita legate alla propria omosessualità, alla propria depressione o per qualsiasi altro motivo, può  spingere per avere una diagnosi di autismo . 
Senza voler accusare nessuno mi chiedo e vi chiedo se non ci sia il rischio che molti da clinici si stiano trasformando (in modo anche inconsapevole) in VENDITORI di diagnosi ? 

Altro punto al quale vorrei rispondere è sul fatto che lei dottoressa ha preso le difese dei vari attivisti , i quali si lamentano che qualcuno possa mettere in dubbio le loro diagnosi. 
Siccome sappiamo benissimo che la critica è rivolta soprattutto a me da parte dei suoi pazienti di Neuropeculiar (mi piace essere molto diretto) , faccio notare alcune cose : 

- Io non metto in dubbio le loro diagnosi ,ma come descrivono le diagnosi, che vorrebbero slegare dai vari manuali diagnostici. Sono loro a metterle in dubbio casomai. 
- Alcuni di quelli che loro invitano ai loro convengni e che si definiscono autistici, hanno ammesso di non avere una diagnosi e che non l'hanno mai cercata non avendo bisogno di supporti. 
- Visto che usano la loro diagnosi per vendersi come formato come se fosse un titolo di studio, non vedo perché non dovrebbero renderla pubblica ? ( Questa è una mia provocazione, ma davvero chi ha una diagnosi può fare il formatore senza avrebbe i titoli? )

- Le stesse persone che si lamentano che le loro diagnosi siano messe in dubbio, sono quelle che attaccano i genitori, dicendo loro che un genitore NON ha alcun diritto di parlare di autismo, ma solo loro possono in quanto autistici... Come se loro potessero sapere come pensa e, cosa pensa e cosa prova un autistico non verbale. 

- Sempre loro hanno creato un clima di guerra alle definizioni mediche e corrette , tanto che molti professionisti hanno smesso di scrivere e non si espongono per non essere attaccati .Proprio durante questa discussione alcuni professionisti mi hanno scritto in privato, dicendosi d'accordo con la mia posizione, ma che non avrebbero scritto poiché stanchidel clima di attacco alle posizioni corrette e mi hanno anche fatto notare che sono sempre meno i professionisti che si espongono nelle discussioni su questa lista . 
Non è un caso che a farlo siate stati soprattutto in due , entrambi molto vicini alle posizioni di questi attivisti o comunque li si voglia definire. 

Quindi non è mutata la diagnosi di autismo per i vari manuali, ma sta mutando perché si è creato un mercato , si è creato il bisogno di ricercare una diagnosi. 

Saluti 
Alberto Fagni
(mi scuso per gli errori, ma preferisco non rileggere ) 
> Il 08/03/2023 11:15 Raffaella Faggioli <ambulatorioautismoadulti a gmail.com> ha scritto:
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> Ciao David, naturalmente è necessario tenere conto che abbiamo professionalità diverse,  sensibilità diverse e  responsabilità diverse. Naturalmente io sono principalmente un clinico impegnata  stabilmente nella valutazione diagnostica di persone di tutte le età e di tutti i funzionamenti cognitivi  e solo in seconda battuta sono una ricercatrice (nella pratica quotidiana, io produco idee di ricerca e una montagna di dati che altri leggono)
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> Magari mi sbaglio ma mi sembra che anche sui i bambini in realtà siamo d'accordo nel momento stesso in cui scrivi: Il problema è che tu sai che prima o poi quel bambino cadrà. Ed è esattamente per questo che non esiste il livello 0 nei bambini perché noi sappiamo che prima poi, hai ragione spesso ai cambi di ciclo scolastico, ci sarà qualche cosa che lo porterà alla sofferenza e a sentirsi in dovere di mascherarsi, a non sentirsi “normale” e a percepire una diversità che lo farà  sentire solo al mondo (un extraterrestre, metafora molto significativa, chiara e diretta usata da moltissime persone autistiche) e quindi anche poco amato. Non basta  questo come ricaduta sulla qualità di vita? Io direi proprio di si. La sofferenza testimoniata da  tanti adulti autistici, l’intenso lavorio interiore che devono fare gli adolescenti, che magari non si mettono sui social, ma che noi terapeuti che li seguiamo costantemente ben conosciamo e che conoscono i loro genitori, non dovrebbe lasciarci indifferenti.
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> Naturalmente anche per me, con un bambino l’approccio clinico è molto diverso da quello con gli adulti ed è naturale che un clinico possa avere dubbi, io stessa li ho e quando li ho mi prendo il tempo per definire il mio giudizio diagnostico. Ma la diagnosi a un bambino è una proiezione in avanti che influenzerà tutta la sua vita: una volta fatta ci aspettiamo e anche pretendiamo che il mondo intero tenda ad  adattarsi al suo stile di funzionamento e che gli adulti che si occupano della sua educazione  mettano in atto strategie educative più mirate, strategie di conversazione più adatte al suo stile di funzionamento, protezione dall’esposizione incontrollata e costante a stimoli sensoriali e sociali inadeguati e forieri di sofferenza e stress. Quanti adulti autistici ci dicono che quando stanno in un gruppo intento in una conversazione si sentono stabilmente in allerta? Vogliamo “regalare” questo tipo di sensazioni e queste fatiche ai bambini?.  
> Sappiamo che questo tipo di sforzo e di sofferenza porta in adolescenza a problematiche psichiatriche. La diagnosi deve quindi a mio avviso essere pensata anche per contenere questa inutile devastazione. La diagnosi dovrebbe proteggerli da eccessivi sforzi di mascheramento così come dal non sentirsi accettati per quello che si è o dalla sensazione di essere extraterrestri. Dovrebbe permettere agli adulti che si occupano della loro educazione di farli crescere il più confidenti possibile in sè stessi, con meno sensazione di estraniamento, più legittimati. Una diagnosi sbagliata nei bambini, anche in quelli in plus dotazione e con un linguaggio pienamente fluente, avrà una ricaduta sulla salute psicologica, sulla sofferenza psichica e sull’esposizione a non sentirsi compresi. Inoltre avrà una ricaduta sulla possibilità di autodeterminarsi. 
> Se esito a fare la  diagnosi a un bambino non è perché lo vedo a livello 0, che ribadisco non esiste, ma perché ci sono situazioni in cui i sintomi sono difficili da decifrare in pochi incontri ed è necessario conoscerlo meglio e in modo più profondo.
> Ci possono essere molti motivi per cui il suo stile di funzionamento autistico non è immediatamente apprezzabile e la conoscenza, stare in relazione è, in questi casi, l’unica strategia che abbiamo per capire. 
> 
> 
> Ma non è mai quello che viene proposto come il livello 0  per gli adulti, anzi se mai ci sono bambini, soprattutto piccoli, anche chiaramente autistici che non hanno una vera e propria ricaduta sulla qualità di vita al momento della diagnosi, ma possiamo ben prevedere che ne avrà e la diagnosi dovrebbe servire a tutelarli e a dargli un mondo sociale più capace di capirli e più adatto al loro stile di funzionamento. Esattamente come dici anche tu.
> È un diritto inalienabile dei bambini che gli adulti si muovano in questa prospettiva protettiva. Quindi io non ritengo affatto di “forzare” il sistema, credo sia giusto porre le basi per aiutare il bambino a crescere il più sereno possibile.
> 
> 
> E il criterio D non può e non deve essere inteso solo come “il tuo stile di funzionamento autistico ti impedisce di lavorare e di essere autonomo” ma anche come ricaduta in termini di sofferenza e  di disagio psichico. D’altronde qualche volta la sofferenza può essere così forte da impedire di realizzarsi e di diventare autonomi. E la sofferenza psichica non è sapere psichiatrica.
> È  ora di riconoscere e dare valore anche a questo aspetto con buona pace di chi pensa che psicologi e psichiatri siano (non)professionisti facilmente abbindolabili e incapaci di riconoscere la sofferenza psicologica e la ricaduta che questa ha sulla qualità di vita e sull’autodeterminazione.
> 
> 
> Raffaella 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> > Il giorno 1 mar 2023, alle ore 17:37, David Vagni <david.vagni a gmail.com <mailto:david.vagni a gmail.com>> ha scritto:
> > 
> > Cara Raffaella,
> > a parte l’avere idee diverse sull’unitarietà dell’autismo, concordo sul resto del tuo discorso ma vorrei aggiungere un commento alla tua ultima parte:
> > 
> > 
> > 
> > > Inoltre dovrebbe farci riflettere che questo problema non esiste quando parliamo di bambini esiste solo per quanto riguarda gli adulti. Ma questi adulti sono stati bambini e adolescenti che probabilmente hanno sofferto per non sentirsi né capiti né integrati e per una diversità che li ha sempre fatti sentire estranei. > > 
> > Come sai non faccio diagnosi (ripeto, sono un ricercatore non un clinico) ma partecipo a tantissime valutazioni. Devo dire che anche se è infrequente, mi è capitato più di una volta di osservare situazioni di "autismo si, autismo no, autismo forse” anche nei bambini, relativamente al criterio del “funzionamento”.
> > 
> > 
> > Purtroppo nei bambini, ancora più che negli adulti, è difficile (e rischi di essere preso per pazzo o peggio) fare diagnosi in presenza di un buon funzionamento, perché se sono in un ambiente “protetto”, l’ambiente stesso tende a mascherare le difficoltà (genitori iper-presenti, piccola scuola privata, etc.).
> > 
> > 
> > Il problema è che tu sai che prima o poi quel bambino cadrà. Perché il problema è che quando i tratti autistici ci sono, anche in presenza di un buon funzionamento (e magari momentaneamente anche in assenza di stress psicologico), prima o poi quella cosa che ti fa crollare la trovi. Spesso è il passaggio da un ciclo scolastico all’altro o un trasloco.
> > 
> > 
> > In generale in quei casi spesso uno scrive “ci sono marcati tratti… ma il funzionamento al momento….” “si consiglia di tenere sotto osservazione”…”si consiglia ugualmente di fare un parent-training”, etc.
> > Ma spesso bambini nello spettro hanno genitori, almeno con una gamba nello spettro ed il pensiero dicotomico la fa da padrone e viene ulteriormente incentivato da un sistema sociosanitario pensato per la cura/assistenza molto più che per la prevenzione. 
> > 
> > 
> > Il risultato è che frequentemente in quei casi non fanno nulla e poi ritornano dopo 2, 4, 6 anni, quando scoppia il problema.
> > 
> > 
> > Questo penso dovrebbe far ragionare su una cosa, medici e psicologi, di cosa si occupano? Della malattia o della salute? Perché se ci occupiamo della salute dovremmo impegnarci primariamente nella prevenzione. Ma il “sistema” non lo consente. 
> > 
> > 
> > Quanto è lecito forzare il sistema per fare prevenzione?
> > 
> > 
> > Questa penso sia una domanda interessante da porsi e a cui non ho una risposta. _______________________________________________
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