[autismo-biologia] autismo e COVID

Marina Marini marina.marini a unibo.it
Mar 11 Gen 2022 16:19:43 CET


Autismo, COVID, vaccini e altro
Molto appropriato l’invito alle famiglie di contribuire allo studio di farmacovigilanza dei vaccini anti-COVID, segnalando gli eventuali problemi associati all’autismo e potenzialmente molto utile lo studio che l’ISS sta conducendo su questo aspetto. La farmacovigilanza è importantissima in questa fase della lotta al COVID e, visto l’eccessivo carico di lavoro dei medici di famiglia, il contributo dei pazienti e delle loro famiglie diventa preponderante, non solo per quanto riguarda le problematiche dell’autismo, ma in genere per capire l’interferenza tra vaccinazione e patologie specifiche.
Tuttavia, per chi ha una data patologia e, nella fattispecie, per un soggetto nello spettro autistico e/o per la sua famiglia, il quesito che gli si pone è il rapporto costo/beneficio tra rischio associato al COVID e vaccinazione, chiaramente non tanto in rapporto al rischio di malattia grave e di ricovero in terapia intensiva, ma in rapporto alla possibilità che il COVID aggravi alcune condizioni specifiche.
Rapporto rischio/beneficio.
Si è già parlato in questo blog della propensione vaccinale da parte delle famiglie con un congiunto nello spettro autistico, perché giustamente un ricovero o, ancor peggio, l’essere sottoposto a terapia intensiva sono molto problematici per chi ha difficoltà di comunicazione; inoltre, le chiusure dei centri di accoglienza e le restrizioni alla partecipazione ad attività sociali, dovute alla pandemia, aggravano e penalizzano la condizione degli autistici: un motivo in più per proteggere anche la società dai contagi. Resta però un aspetto da studiare, che sottopongo a chi ha gli strumenti statistici per la valutazione: quello degli eventuali strascichi che il COVID (non il vaccino) può lasciare in questi pazienti, quello che è stato definito “long-COVID” e che riguarda principalmente problemi neurologici e problemi cardiaci. Da studi recenti sono emersi diversi aspetti che, a mio parere, farebbero pendere ulteriormente la bilancia a favore della vaccinazione e di cui parlerò nelle righe successive anche perché da tali dati potrebbe venire qualche suggerimento per alleviare eventuali problemi post-vaccinali, e non solo.
Ho recentemente letto un articolo intitolato “Endothelial cell damage is the central part of COVID-19 and a mouse model induced by injection of the S1 subunit of the spike protein”, di Nuovo GJ et al., pubblicato in “Annals of Diagnostic Pathology (https://doi.org/10.1016/j.anndiagpath.2020.151682). I punti salienti di questo articolo riguardano il ruolo della subunità S1 della “famosa” proteina virale Spike, che è la subunità che si lega al recettore ACE2, recettore presente anche sulle cellule endoteliali (le cellule che tappezzano i vasi sanguigni, grandi e piccoli). Semplificando, l’infiammazione degli endoteli sarebbe quindi la causa primaria del danno da SARS-COV2 e dei sintomi neurologici rilevati in una percentuale significativa dei pazienti infetti. Anche se la presenza del virus nei tessuti cerebrali è un riscontro raro, lo studio di cui sopra dimostra che per il danno è sufficiente la sola particella S1 e descrive il suo ritrovamento nell’endotelio dei vasi cerebrali di pazienti morti per COVID con sintomi neurologici.   Lo studio - suffragato da modelli murini e dallo studio di colture cellulari - individua, nel tessuto cerebrale, alcune proteine significative che aumentano o diminuiscono in virtù dell’azione di S1 localizzata nell’endotelio vasale. Possiamo in breve dire che risultano aumentati dei marcatori di disfunzione neuronale (NMDAR2, nNOS, caspase-3, IL6, C5b-9, TNFα) e diminuiscono fattori protettivi (SHIP1 e MSFD2a). Ciò che mi ha colpito, e che può essere di particolare interesse per chi segue questo blog, è il calo di MSFD2a. Si tratta di una proteina che, tra le altre cose, media il trasporto di omega-3 DHA attraverso la membrana emato-encefalica. Il suo calo può quindi essere causa di danni anche gravi alle cellule nervose. Secondo gli autori dell’articolo, la percentuale di neuroni che esprimono MSFD2a passa dal 94.7 di un cervello sano al 19.1 di un cervello di un paziente COVID. Tra tutte le modificazioni dovute alla S1 sopra ricordate, il calo del trasportatore di DHA potrebbe essere molto significativo per i soggetti con ASD, in quanto già carenti di questa importante componente delle membrane cellulari, come descritto in un lavoro che pubblicammo nel 2013 (doi: 10.1371/journal.pone.0066418). Ecco quindi una buona ragione in più per i soggetti autistici per evitare di ammalarsi di COVID, ma anche un’area di indagine per chi di loro ha avuto un peggioramento del suo stato con i vaccini. Che fare quindi? Assumere un integratore che innalzi la quantità di omega-3 DHA disponibile? Il suggerimento mi sembra ovvio, ma non è affatto scontato.
Autismo e integratori.
Al di là delle differenze nel background genetico e della grande variabilità del fenotipo, la ricerca biologica  ha identificato nei portatori di autismo tre grandi effettori, che si influenzano reciprocamente e che vanno a formare quello che un recente articolo, firmato da 35 ricercatori italiani (DOI: 10.3390/jpm11020070), ha denominato “bad trio” (come dire “l’orribile, il brutto e il cattivo”): si tratta della disbiosi intestinale, dell’alterazione immunitaria e del complesso <disfunzione mitocondriale/stress ossidativo>. Tale dato dovrebbe essere utilizzato dalla pratica clinica per proporre interventi volti a ripristinare queste disfunzioni, ad esempio attraverso indicazioni dietetiche e l’utilizzo di integratori. La carenza di omega-3 DHA di cui si è parlato sopra è presumibilmente dovuta allo stress ossidativo e si presta ad un’integrazione dietetica. Perché dunque non se ne fa niente?
Qui entriamo in un “campo minato”. La "medicina basata sull’evidenza” fonda la validità di un intervento terapeutico su valutazioni che prevedono lo studio di due gruppi confrontabili di pazienti, a uno dei quali, scelto a caso, viene somministrato il farmaco e all’altro un placebo. Nel 2017, una revisione della letteratura basata su tale metodologia (DOI: 10.3945/jn.116.242354<https://doi.org/10.3945/jn.116.242354>) identificò solo cinque sperimentazioni che rispondevano a questa regola, per un totale di 185 pazienti ASD; l’analisi non mise in rilievo la presenza di miglioramenti significativi, decretando così l’infondatezza scientifica della somministrazione di DHA per migliorare i sintomi dell’ASD. Un’altra ventina di sperimentazioni, effettuate con modalità meno rigorose, non furono prese in considerazione. È quindi del tutto giustificato che i clinici non suggeriscano ai pazienti ASD di assumere omega-3 DHA, se vogliono attenersi ai criteri della ”medicina basata sull’evidenza”. E questo vale anche per tutti (o quasi) gli integratori che si ipotizza potrebbero essere di qualche utilità nell’autismo.
Ma… a mio parere la revisione della letteratura sopra citata ha gravi difetti metodologici (1) e, in generale, ci sono molti problemi nel sottoporre gli integratori a una valutazione secondo i criteri suddetti (2).

  1.  La revisione della letteratura di cui sopra è stata fatta da studiosi esperti in metodologia biomedica ma non in acidi grassi polinsaturi (come sono gli omega-3). Infatti, i 5 articoli scelti per l’analisi avevano utilizzato quantità diversissime tra loro di omega-3 DHA, non riportavano informazioni cruciali sulla qualità del prodotto, come l’assenza di legami “trans”, e solo uno aveva aggiunto degli antiossidanti alla formulazione. È probabile, in definitiva, che non ci fossero neppure due articoli metodologicamente corretti da valutare, se si vede la cosa da questo punto di vista.
  2.  Perché è così difficile, se non impossibile, reperire in letteratura sperimentazioni “basate sull’evidenza” di integratori alimentari? Gli integratori sono sostanze naturali presenti nei cibi e non sono quindi brevettabili, né da soli né in combinazione tra loro. Può essere solo brevettabile un nuovo processo industriale di estrazione di un dato composto. Questo fa sì che i produttori non investano in ricerca e si facciano conoscere essenzialmente proponendo al pubblico combinazioni inedite di sostanze o prodotti decisamente più economici di quelli della concorrenza. Prive di interesse commerciale, le sperimentazioni di ampio respiro sugli integratori non trovano così finanziatori.
Abbiamo così chiuso il cerchio di un ragionamento iniziato con l’interessante dato per cui l’infezione da SARS-COV2 può incidere negativamente sull’importazione di omega-3 DHA nel cervello, e con l’ipotesi che, in qualche caso e in determinate circostanze, ciò possa accadere anche con i vaccini: la minore importazione cerebrale di omega-3 DHA sarebbe particolarmente dannosa per chi, come i portatori di ASD, ne è già carente. Nonostante manchi una “patente di validità” per l’assunzione di omega-3 DHA da parte di portatori di ASD, non credo che ci siano veri ostacoli ad acquistare in farmacia un prodotto da banco contenente DHA e a vedere se allevia alcuni problemi causati dal “long-COVID” o dai vaccini. Mi raccomando però di accertarsi della qualità del prodotto e di assumere in concomitanza degli antiossidanti (in generale, vitamine A, C, E o similari), visto che l’assunzione di acidi grassi polinsaturi potrebbe aggravare uno stress ossidativo pre-esistente.

Marina Marini
Università di Bologna


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