[autismo-biologia] Residenze

daniela daniela a autismo33.it
Sab 27 Nov 2021 23:14:39 CET


Le residenze per le persone con disabilità mentale hanno una bruttissima 
storia. Basti pensare a quanto scritto da Erving Goffman nel 1961

http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/libri/asylums.pdf

da Franco Basaglia nel 1968

http://www.psychiatryonline.it/node/7445

e ancora nel 1994 da Roberto Cestari

http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/110/110_l_inganno_psichiatrico.htm

Le residenze in realtà erano sinonimi di manicomi, grandi contenitori di 
uomini e donne ai quali veniva data, più che una buona cura, una pessima 
custodia.

Nei manicomi, come ad esempio nel Roncati di Bologna, c’era anche il 
reparto per bambini, dove venivano tenuti i bambini con disabilità 
mentale, spesso insieme agli orfani, ai trovatelli
e ai poveri.

Una storia dell’evoluzione di un brutto manicomio per bambini, prima 
trasformato in una residenza dignitosa e poi chiuso, si trova al link

https://www.comune.imola.bo.it/aree-tematiche/partecipazione/sante-zennaro/storia-del-sante-zennaro

Qui è descritta la situazione di una istituzione imolese, denominata 
ISTITUTO MEDICO PSICO PEDAGOGICO, che ha avuto ben poco sia di psico che 
di pedagogico fino a quando è arrivato,
nei primi anni ‘60, un direttore illuminato, Eustachio (detto Nino) 
Loperfido.
Egli ha rivoluzionato l’approccio agli ospiti anzitutto aprendo le porte 
dell’istituto “ le porte sono aperte, in giardino ci si va ogni 
qualvolta ne sentiamo il bisogno
(prima c’era un piccolo quadretto asfaltato fuori dal portone che i 
bambini vedevano dalle grate delle finestre) e poi andiamo in giro per 
le strade di Imola.
Andremo anche in vacanza in collina, a Covigliaio, in mezzo ai boschi e 
pure in montagna, a Cavalese, a Dobbiaco o al mare, a Igea Marina”
Dalla struttura fatiscente "questo gruppo di ragazzi doveva poi 
trasferirsi nei locali del nuovo Complesso Sante Zennaro, nel 1970, in 
quella meravigliosa struttura costituita da casette piccole,
con camerette piccole, con tanti bagni, con tanto verde, con tanto 
colore, con gli arredi delle aule gialli, rossi, verdi, azzurri"
Ma Loperfido si spinse ancora oltre. Anche se il nuovo ambiente era 
bello e accogliente, non era la famiglia e così il Sante Zennaro fu 
chiuso per lasciare il posto ad una assistenza
domiciliare per tutti, senza limiti di gravità.

Io capisco la logica che ha portato a questo. Gli economisti della 
sanità dicono “l’offerta crea la domanda”. In effetti erano molti i 
ricoverati che non avevano malattie o disabilità mentali
che esigessero l’istituzionalizzazione. La presenza di posti letto in 
una residenza può creare una domanda, anche incongrua, di residenza.
Se di posti in residenze non ce ne sono, le persone con disabilità 
vengono gestite in famiglia.

Diversa è la storia del Charitas di Modena, fondato da un sacerdote, 
monsignor Ermanno Gerosa, nel 1942. Qui erano concentrati più di 200 
ospiti nei primi decenni.
Poi, col cambiamento dell’approccio culturale alla disabilità mentale, 
il numero delle presenze è passato da 200 a 50, ma la residenza non è 
stata chiusa, nella consapevolezza che
non tutti possono essere accuditi in famiglia. Il presupposto per il 
quale si afferma la necessità di mantenere in vita alcune residenze è 
contenuto nella frase che si trova a pagina 68
del nuovo libro di Ciro Ruggerini e A.A: “La passione del possibile. 
Trent’anni del Charitas di Modena (1990-2020). Un impegno in evoluzione” 
Ed. Consulta librieprogetti, Reggio Emilia, 2021, cfr  
https://www.unilibro.it/libro/ruggerini-ciro-rebecchi-mauro-seghedoni-paolo/passione-possibile-trent-anni-charitas-modena-1990-2020-impegno-evoluzione/9788869880780

“la famiglia, come ogni realtà umana, va incontro a cambiamenti che 
spesso la rendono inidonea a mantenere il grave nel proprio seno, 
cosicché è necessario trovare soluzioni alternative”

Il libro descrive come queste soluzioni alternative debbano essere 
soluzioni di qualità, lontanissime dalle tetre Istituzioni descritte nei 
libri prima menzionati,
in continuo confronto con le famiglie degli ospiti, col territorio e, 
soprattutto, con l’Università, che porta cultura, innovazione, idealità 
e contrasta la comprensibile
tendenza alla demotivazione e all’usura del personale.

                                                        Daniela Mariani 
Cerati










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