[autismo-biologia] Genitori e senso di colpa

ANNA RITA STASI annarita.stasi a gmail.com
Dom 2 Set 2018 14:55:59 CEST


Grazie di cuore per questa testimonianza che hai riproposto e che non
conoscevo, anche perché mio figlio è  nato nel '97 e solo da poco abbiamo
 avuto la certezza di questa diagnosi.
Mi ha molto colpito e commosso questo approccio che viene consigliato a noi
genitori di figli speciali; sarà per la mia famiglia spunto di molta
riflessione e certamente un aiuto per migliorare la nostra convivenza.
Ancora grazie anche a tutti coloro che,tramite questa associazione,
forniscono informazioni, suggerimenti, esperienze, novità scientifiche
ecc.,tutte
di grande interesse,conforto e sostegno.
Cordialmente
Annarita

Il Dom 2 Set 2018 11:10 <mazzoni.armando a libero.it> ha scritto:

> Gentili componenti della lista
>
>
>
> ho trovato in rete questa riflessione poco recente (1993) di Jim Sinclair,
> autistico e attivista per i diritti delle persone autistiche, che allego
> sotto (tradotta da David Vagni).
>
>
>
> Prima di arrivare alle ultime cinque righe, che al netto del concetto di
> specie autistica che pervade tutto il pezzo, mi piacciono molto, mi sono
> accorto come il resto toccasse delle corde emotive che credevo oramai
> silenziate.
>
>
>
> Non voglio quindi qui parlare dei concetti di specie, dell’elaborazione
> del lutto, dell’autismo come modo di essere, tutti ragionamenti con cui
> Sinclair ci vuole guidare e fare da ponte nella comprensione dell’ “alieno”
> che ci è capitato e nel modo per supportarlo.
>
>
>
> Mi voglio però soffermare sul senso di colpa e come su di esso sia sempre
> possibile fare breccia nei genitori.
>
>
>
> In questi giorni, con la polemica del convegno di Erice, si è riparlato
> molto della “mamma frigorifero” e questa teoria credo si sia sempre
> alimentata non da prove scientifiche, ma sempre e solo dall’ingiustificato
> e latente senso di colpa delle madri.
>
>
>
> Per le madri più spesso, ma più in generale per entrambi i genitori, il
> senso di colpa è un grilletto di facile accesso, quasi chiunque può
> toccarlo e sparare un colpo devastante sulla stabilità psicologica già
> mediamente precaria o compromessa; alla “mamma frigorifero” si aggiungono
> altri potenziali motivi per sentirsi colpevoli.
>
> I genitori:
>
>
>
>    - Non hanno fatto fare l’intervento precoce
>    - Hanno scelto le terapie sbagliate
>    - Non accettano la realtà, il lutto
>    - Non accettano il figlio e lo vogliono “normalizzare”, perpetrandogli
>    un’inutile violenza.
>    - Il loro dolore è tossico per loro, per il loro figlio autistico e
>    per il resto della famiglia
>    - Non sanno creare una nuova e diversa genitorialità
>    - …..
>
>
>
> C’è sempre quindi una debolezza o un gap psicologico del genitore, che se
> pure non ha causato l’autismo, ha peggiorato o sta peggiorando la vita
> dell’autistico. Questo senso di colpa alimenta tutto il mondo dell’autismo
> e comodamente mette in ombra le responsabilità dei non-genitori (anzi, crea
> opportunità per loro).
>
> Abbiamo il dovere di affrontare le nostre responsabilità di genitori,
> quelle reali e legittime, non quelle che ci attribuiscono teorie
> immaginarie e infondate, non cerchiamo di essere deresponsabilizzati. Allo
> stesso tempo però non vogliamo che le decisioni che prendiamo nel tentativo
> di assolvere alle nostre responsabilità, spesso in condizioni di estrema
> solitudine e scarsissimo supporto, vengano usate per alimentare il nostro
> senso di colpa.
>
> Sinclair ci parla di un alieno, l’autistico, che viene proiettato in un
> mondo che non capisce e questo gli crea grandi difficoltà e sofferenze.
> Anche il genitore dell’autistico, però, viene proiettato in un mondo in cui
> si sente alieno, oltre che nei confronti del figlio (per le difficoltà
> oggettive illustrate da Sinclair), anche del resto del mondo che lo
> circonda, in cui ha enormi difficoltà nel trovare chi e come sia veramente
> in grado di capirlo, accoglierlo e supportarlo.
>
> AM
>
> “I genitori spesso riferiscono come apprendere che il loro bambino è
> autistico sia la cosa più traumatica mai successa. Le persone
> non-autistiche vedono l´autismo come una grande tragedia, e ai genitori
> l´esperienza genera delusione e dolore in tutte le fasi dello sviluppo del
> bambino e del ciclo di vita della famiglia.
>
> Ma questo dolore non deriva dall’autismo del bambino in se. Si tratta di
> dolore per la perdita del bambino normale in cui i genitori avevano sperato
> e che avrebbero dovuto avere. Gli atteggiamenti e le aspettative dei
> genitori, e le discrepanze tra ciò che si aspettano i genitori dei bambini
> a una particolare età e di sviluppo dei propri figli, causa più stress ed
> angoscia che le difficoltà pratiche della vita con una persona autistica.
>
> Una certa quantità di dolore è naturale nel momento in cui un genitore si
> adatta al pensiero che un evento e un rapporto che si aspettava non si
> materializzerà . Ma questo dolore derivante dalla fantasia di un bambino
> normale deve essere separata dalla percezione che i genitori hanno del
> figlio reale: il bambino autistico ha bisogno del supporto degli adulti e
> può formare relazioni piene di significato con essi se gliene è data
> l’opportunità. La focalizzazione continua sull’autismo del bambino come
> fonte di dolore danneggia sia i genitori che il bambino stesso, e preclude
> lo sviluppo di un’autentica e accettante relazione tra loro. Per il loro
> bene e per il bene dei loro figli, urge che i genitori compiano un radicale
> cambiamento di prospettiva sul significato dell’autismo.
>
> Vi invito a guardare al nostro autismo, e al vostro dolore, dal nostro
> punto di vista:
>
> L’AUTISMO NON È UN’APPENDICE
>
> *L’autismo non è qualcosa che una persona ha, o una bolla dentro cui un
> individuo è intrappolato. Non esiste nessun bambino normale nascosto dietro
> l’autismo. Autismo è un modo di essere. E’ pervasivo; colora ogni
> esperienza, ogni sensazione, percezione, pensiero, emozione ed incontro,
> ogni aspetto dell´esistenza. Non è possibile separare l’autismo dalla
> persona -e se fosse possibile, quella persona non avrebbe nulla a che
> spartire con quella da cui siete partiti.*
>
> Questo è importante, quindi prendete un momento e considerate questo:
> l’Autismo è un modo di essere. Non è possibile separare la persona
> dall’autismo.
>
> Quindi, quando un genitore dice,
>
> “Vorrei che mio figlio non avesse l’autismo” quello che realmente dice
> è:  “vorrei che il bambino autistico che ho non esistesse, e che al suo
> posto ci fosse un bambino differente (non-autistico)”.
>
> Leggilo di nuovo. Questo è quello che sentiamo quando piangete sulla
> nostra esistenza. Questo è quello che sentiamo quando pregate per una cura.
> Questo è quello che capiamo, quando ci dite delle vostre più sincere
> speranze e sogni per noi: che il vostro più grande desiderio sia che un
> giorno cessassimo di esistere, e che uno straniero che possiate amare si
> muova davanti al nostro viso.
>
> L´AUTISMO NON È UN MURO IMPENETRABILE
>
> Provate a relazionarvi ad un bambino autistico, e il bambino non risponde.
> Non vi vede; non lo raggiungete, non c´è modo di entrare. Questa è la cosa
> più difficile con cui avere a che fare, non è vero? L´unico problema è che
> non è vero.
>
> Guardalo di nuovo: tu provi a relazionarti a lui come un genitore ad un
> bambino, usando la tua comprensione dei bambini normali, i tuoi sentimenti
> riguardo la paternità o la maternità, le tue proprie esperienze e
> intuizioni riguardo le relazioni sociali. E il bambino non risponde in un
> modo che tu possa riconoscere come parte di quel sistema.
>
> Questo non significa che il bambino non sia capace di relazionarsi per
> niente. Significa solo che tu stai assumendo un sistema condiviso, una
> comprensione condivisa di segnali e significati, che il bambino, infatti,
> non condivide. E’ come se provassi ad avere una conversazione intima con
> qualcuno che non ha nessuna comprensione del tuo linguaggio. Ovviamente
> quella persona non capirà di cosa stai parlando, non risponderà come tu ti
> aspetti, e potrebbe ben valutare l´intera interazione come confusionaria e
> spiacevole.
>
> Serve maggior lavoro per comunicare con qualcuno il cui linguaggio nativo
> non sia lo stesso tuo. E l´autismo è più profondo del linguaggio e della
> cultura; le persone autistiche sono straniere in ogni società. Tu devi
> spazzar via le tue assunzioni riguardo i significati condivisi. Devi
> imparare a tornare a livelli più basilari, ai quali probabilmente non avevi
> mai pensato prima, per tradurre, e assicurarti che la tua traduzione sia
> compresa. Devi dar via la certezza di muoverti nel tuo territorio
> familiare, del sapere che sei in carica, e consentire a tuo figlio di
> insegnarti un po´ del suo linguaggio, di guidarti un poco all´interno del
> suo mondo.
>
> E il risultato, se hai successo, non sarà tuttavia una normale relazione
> genitore-figlio. Il tuo bambino autistico potrà imparare a parlare,
> frequentare regolarmente la scuola, magari andare all´università, guidare
> una macchina, vivere indipendentemente, avere una carriera – ma non si
> relazionerà mai a te come un altro bambino con i suoi genitori. O il tuo
> bambino autistico potrà non parlare mai, ottenere il diploma seguendo dei
> corsi speciali o seguirli da casa, potrà avere bisogno di assistenza tutta
> la vita – ma non sarà completamente fuori dalla tua portata. Il modo in cui
> ci relazioniamo è differente. Richiedi ciò che le tue aspettative ti dicono
> sia normale, e tu troverai frustrazione, disappunto, risentimento, e magari
> addirittura rabbia ed odio. Avvicinati rispettosamente, senza preconcetti,
> e aperto ad apprendere nuove cose, e tu troverai un mondo che non avresti
> mai potuto immaginare.
>
> Si, richiede un maggiore lavoro rispetto al relazionarsi con una persona
> non autistica. Ma può essere fatto – a meno che le persone non autistiche
> siano più limitate di noi nella loro capacità di comunicare. Noi spendiamo
> la nostra intera esistenza facendo ciò. Ognuno di noi che impara a parlare
> con voi, ognuno di noi che riesce a funzionare all’interno della società,
> ognuno di noi che riesce a raggiungervi e a connettersi con voi, sta
> operando in un territorio alieno, prendendo contatto con creature aliene.
> Noi spendiamo la nostra intera vita facendo ciò. E poi voi dite che non
> siamo capaci di relazionarci.
>
> L’AUTISMO NON È LA MORTE
>
> è garantito, l´autismo non è ciò che la maggioranza dei genitori si
> aspetta di trovare quando anticipano l´arrivo di loro figlio. Quello che si
> aspettano è un bambino che sia come loro, che condivida il loro modo e che
> comunichi con loro senza richiedere un intensivo addestramento nel contatto
> con gli alieni. Anche se loro figlio ha qualche disabilità che non sia
> autismo, i genitori si aspettano di essere in grado di relazionarsi con
> quel bambino in termini che sembrano normali per loro; e in molti casi,
> anche ammettendo le limitazioni di diverse disabilità, è possibile formare
> il tipo di legame che il genitore si aspettava.
>
> Ma non quando il figlio è autistico. Molto del dolore che un genitore ha
> riguarda la non occorrenza del rapporto affettivo che si aspettava di avere
> con un bambino normale. Il dolore è molto reale, e bisogna aspettarselo e
> lavorarci sopra in modo che le persone possano andare avanti con le proprie
> vite –
>
> Ma non ha nulla a che vedere con l´autismo.
>
> *Quello che succede è che ti aspettavi qualcosa di tremendamente
> importante per te, ed eri in attesa con grande gioia ed eccitazione, e
> magari per un po´ di tempo hai pensato di averlo davvero – e poi, magari
> gradualmente, magari brutalmente, hai capito che quello che ti aspettavi
> non si era realizzato. Non si sarebbe realizzato. Non importa quanti altri
> figli normali tu abbia, nulla cambia che questa volta, il bambino che hai
> aspettato, sperato, pianificato, sognato non è arrivato.*
>
> *Questa è la stessa sensazione che provano i genitori i cui figli nascono
> morti, o che dopo aver stretto il loro bambino per un po´ di tempo, muore
> in culla. Non riguarda l’autismo, riguarda la distruzione delle aspettative*.
> Consiglio che il miglior posto per risolvere questi problemi non siano le
> organizzazioni devote all’autismo, ma nella consulenza e supporto al dolore
> dei genitori per la perdita. In questi ambienti i genitori imparano a
> venire a patti con la loro perdita –  non a dimenticarsi di essa, ma a
> lasciarla andare, dove il dolore non li colpisce in faccia ogni momento che
> passano svegli. Loro imparano ad accettare che il bambino sia andato via,
> per sempre, e non tornerà mai più indietro. Molto più importante, loro
> imparano a non scaricare il dolore per il loro bimbo perso sui bambini
> sopravvissuti. Questo è di critica importanza quando uno dei bambini che
> sopravvivono arriva nel momento in cui si piange la morte di chi è morto.
>
> *Non hai perso un bambino a causa dell’autismo. Hai perso un bambino
> perché ne aspettavi uno che non è mai esistito. Non è uno sbaglio del
> bambino autistico che non esiste e non dovrebbe essere una nostra
> preoccupazione. Noi abbiamo bisogno e meritiamo famiglie che possano
> vederci e valutarci per quello che siamo, non famiglie la cui vista è
> oscurata dallo spettro di bambini che non sono mai vissuti. Addolorati se
> devi, per il tuo sogno infranto. Ma non piangere per noi. Noi siamo vivi.
> Noi siamo reali. E siamo qui ad aspettarti*.
>
> Questo è quello che credo le società che trattano l´autismo dovrebbero
> dire: non piangere per quello che non è mai stato, ma esplorare ciò che è.
> Noi abbiamo bisogno di voi. Noi abbiamo bisogno del vostro aiuto e della
> vostra comprensione.  Il vostro mondo non è molto aperto a noi, e non ce la
> faremo senza il vostro forte supporto. Si, ci sono tragedie che vengono
> insieme all´autismo: non per quello che siamo, ma per le cose che ci
> capitano. Siate tristi di questo, se dovete essere tristi di qualcosa.
> Meglio che essere tristi riguardo a ciò, diventate matti riguardo a ciò – e
> poi fate qualcosa per questo. La tragedia non è che noi siamo qui, ma che
> il mondo non ha nessun posto per noi.  Come potrebbe essere diversamente,
> fintanto che i nostri genitori stanno ancora piangendo per averci messo al
> mondo?
>
> *Guardate il vostro bambino autistico qualche volta, e prendetevi un
> momento per dirvi chi non è quel bambino. Pensate tra voi: “Questo non è il
> figlio che avevo aspettato o pianificato. Questo non è il bambino che ho
> aspettato per tutti quei mesi di gravidanza e tutte quelle ore di
> travaglio. Questo non è il bambino per il quale avevo fatto tutti quei
> piani e con cui avevo pensato di condividere tutte quelle esperienze. Quel
> bambino non è mai venuto”. Quindi andate a versare tutte le lacrime che
> avete da versare – lontani da quel bambino autistico – e imparate a lasciar
> andare.*
>
> *Dopo che avete iniziato a lasciar andare quella sensazione, tornate
> indietro e guardate nuovamente vostro figlio e dite a voi stessi: “Questo
> non è il bambino che aspettavo e pianificavo. Questo è un bambino alieno
> che è atterrato nella mia vita accidentalmente. Non so chi sia questo
> bambino o chi diventerà. Ma so che è un bambino, intrappolato in un mondo
> alieno, senza genitori della sua specie che possano occuparsi di lui. Ha
> bisogno di qualcuno che ne abbia cura, che gli insegni, che interpreti e
> lotti per lui. E poiché questo bambino alieno è atterrato nella mia vita, è
> mio compito se lo voglio”*.
>
> Se questa prospettiva vi eccita, allora venite ad unirvi a noi, con forza
> e determinazione, con speranza e gioia. Un´avventura lunga una vita vi
> aspetta.”
>
>
>
>
> <https://www.avast.com/sig-email?utm_medium=email&utm_source=link&utm_campaign=sig-email&utm_content=emailclient> Mail
> priva di virus. www.avast.com
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> _______________________________________________
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> Fondazione Augusta Pini ed Istituto del Buon Pastore Onlus.
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