[autismo-biologia] Genitori e senso di colpa

mazzoni.armando a libero.it mazzoni.armando a libero.it
Dom 2 Set 2018 09:05:02 CEST


Gentili componenti della lista

 

ho trovato in rete questa riflessione poco recente (1993) di Jim Sinclair,
autistico e attivista per i diritti delle persone autistiche, che allego
sotto (tradotta da David Vagni).

 

Prima di arrivare alle ultime cinque righe, che al netto del concetto di
specie autistica che pervade tutto il pezzo, mi piacciono molto, mi sono
accorto come il resto toccasse delle corde emotive che credevo oramai
silenziate.

 

Non voglio quindi qui parlare dei concetti di specie, dell’elaborazione del
lutto, dell’autismo come modo di essere, tutti ragionamenti con cui Sinclair
ci vuole guidare e fare da ponte nella comprensione dell’ “alieno” che ci è
capitato e nel modo per supportarlo.

 

Mi voglio però soffermare sul senso di colpa e come su di esso sia sempre
possibile fare breccia nei genitori.

 

In questi giorni, con la polemica del convegno di Erice, si è riparlato
molto della “mamma frigorifero” e questa teoria credo si sia sempre
alimentata non da prove scientifiche, ma sempre e solo dall’ingiustificato e
latente senso di colpa delle madri.

 

Per le madri più spesso, ma più in generale per entrambi i genitori, il
senso di colpa è un grilletto di facile accesso, quasi chiunque può toccarlo
e sparare un colpo devastante sulla stabilità psicologica già mediamente
precaria o compromessa; alla “mamma frigorifero” si aggiungono altri
potenziali motivi per sentirsi colpevoli.

I genitori:

 

*	Non hanno fatto fare l’intervento precoce
*	Hanno scelto le terapie sbagliate
*	Non accettano la realtà, il lutto
*	Non accettano il figlio e lo vogliono “normalizzare”, perpetrandogli
un’inutile violenza.
*	Il loro dolore è tossico per loro, per il loro figlio autistico e
per il resto della famiglia
*	Non sanno creare una nuova e diversa genitorialità
*	
..

 

C’è sempre quindi una debolezza o un gap psicologico del genitore, che se
pure non ha causato l’autismo, ha peggiorato o sta peggiorando la vita
dell’autistico. Questo senso di colpa alimenta tutto il mondo dell’autismo e
comodamente mette in ombra le responsabilità dei non-genitori (anzi, crea
opportunità per loro). 

Abbiamo il dovere di affrontare le nostre responsabilità di genitori, quelle
reali e legittime, non quelle che ci attribuiscono teorie immaginarie e
infondate, non cerchiamo di essere deresponsabilizzati. Allo stesso tempo
però non vogliamo che le decisioni che prendiamo nel tentativo di assolvere
alle nostre responsabilità, spesso in condizioni di estrema solitudine e
scarsissimo supporto, vengano usate per alimentare il nostro senso di colpa.

Sinclair ci parla di un alieno, l’autistico, che viene proiettato in un
mondo che non capisce e questo gli crea grandi difficoltà e sofferenze.
Anche il genitore dell’autistico, però, viene proiettato in un mondo in cui
si sente alieno, oltre che nei confronti del figlio (per le difficoltà
oggettive illustrate da Sinclair), anche del resto del mondo che lo
circonda, in cui ha enormi difficoltà nel trovare chi e come sia veramente
in grado di capirlo, accoglierlo e supportarlo.

AM

“I genitori spesso riferiscono come apprendere che il loro bambino è
autistico sia la cosa più traumatica mai successa. Le persone non-autistiche
vedono l´autismo come una grande tragedia, e ai genitori l´esperienza genera
delusione e dolore in tutte le fasi dello sviluppo del bambino e del ciclo
di vita della famiglia.

Ma questo dolore non deriva dall’autismo del bambino in se. Si tratta di
dolore per la perdita del bambino normale in cui i genitori avevano sperato
e che avrebbero dovuto avere. Gli atteggiamenti e le aspettative dei
genitori, e le discrepanze tra ciò che si aspettano i genitori dei bambini a
una particolare età e di sviluppo dei propri figli, causa più stress ed
angoscia che le difficoltà pratiche della vita con una persona autistica.

Una certa quantità di dolore è naturale nel momento in cui un genitore si
adatta al pensiero che un evento e un rapporto che si aspettava non si
materializzerà . Ma questo dolore derivante dalla fantasia di un bambino
normale deve essere separata dalla percezione che i genitori hanno del
figlio reale: il bambino autistico ha bisogno del supporto degli adulti e
può formare relazioni piene di significato con essi se gliene è data
l’opportunità. La focalizzazione continua sull’autismo del bambino come
fonte di dolore danneggia sia i genitori che il bambino stesso, e preclude
lo sviluppo di un’autentica e accettante relazione tra loro. Per il loro
bene e per il bene dei loro figli, urge che i genitori compiano un radicale
cambiamento di prospettiva sul significato dell’autismo.

Vi invito a guardare al nostro autismo, e al vostro dolore, dal nostro punto
di vista:

L’AUTISMO NON È UN’APPENDICE

L’autismo non è qualcosa che una persona ha, o una bolla dentro cui un
individuo è intrappolato. Non esiste nessun bambino normale nascosto dietro
l’autismo. Autismo è un modo di essere. E’ pervasivo; colora ogni
esperienza, ogni sensazione, percezione, pensiero, emozione ed incontro,
ogni aspetto dell´esistenza. Non è possibile separare l’autismo dalla
persona -e se fosse possibile, quella persona non avrebbe nulla a che
spartire con quella da cui siete partiti.

Questo è importante, quindi prendete un momento e considerate questo:
l’Autismo è un modo di essere. Non è possibile separare la persona
dall’autismo.

Quindi, quando un genitore dice,

“Vorrei che mio figlio non avesse l’autismo” quello che realmente dice è:
“vorrei che il bambino autistico che ho non esistesse, e che al suo posto ci
fosse un bambino differente (non-autistico)”.

Leggilo di nuovo. Questo è quello che sentiamo quando piangete sulla nostra
esistenza. Questo è quello che sentiamo quando pregate per una cura. Questo
è quello che capiamo, quando ci dite delle vostre più sincere speranze e
sogni per noi: che il vostro più grande desiderio sia che un giorno
cessassimo di esistere, e che uno straniero che possiate amare si muova
davanti al nostro viso.

L´AUTISMO NON È UN MURO IMPENETRABILE

Provate a relazionarvi ad un bambino autistico, e il bambino non risponde.
Non vi vede; non lo raggiungete, non c´è modo di entrare. Questa è la cosa
più difficile con cui avere a che fare, non è vero? L´unico problema è che
non è vero.

Guardalo di nuovo: tu provi a relazionarti a lui come un genitore ad un
bambino, usando la tua comprensione dei bambini normali, i tuoi sentimenti
riguardo la paternità o la maternità, le tue proprie esperienze e intuizioni
riguardo le relazioni sociali. E il bambino non risponde in un modo che tu
possa riconoscere come parte di quel sistema.

Questo non significa che il bambino non sia capace di relazionarsi per
niente. Significa solo che tu stai assumendo un sistema condiviso, una
comprensione condivisa di segnali e significati, che il bambino, infatti,
non condivide. E’ come se provassi ad avere una conversazione intima con
qualcuno che non ha nessuna comprensione del tuo linguaggio. Ovviamente
quella persona non capirà di cosa stai parlando, non risponderà come tu ti
aspetti, e potrebbe ben valutare l´intera interazione come confusionaria e
spiacevole.

Serve maggior lavoro per comunicare con qualcuno il cui linguaggio nativo
non sia lo stesso tuo. E l´autismo è più profondo del linguaggio e della
cultura; le persone autistiche sono straniere in ogni società. Tu devi
spazzar via le tue assunzioni riguardo i significati condivisi. Devi
imparare a tornare a livelli più basilari, ai quali probabilmente non avevi
mai pensato prima, per tradurre, e assicurarti che la tua traduzione sia
compresa. Devi dar via la certezza di muoverti nel tuo territorio familiare,
del sapere che sei in carica, e consentire a tuo figlio di insegnarti un po´
del suo linguaggio, di guidarti un poco all´interno del suo mondo.

E il risultato, se hai successo, non sarà tuttavia una normale relazione
genitore-figlio. Il tuo bambino autistico potrà imparare a parlare,
frequentare regolarmente la scuola, magari andare all´università, guidare
una macchina, vivere indipendentemente, avere una carriera – ma non si
relazionerà mai a te come un altro bambino con i suoi genitori. O il tuo
bambino autistico potrà non parlare mai, ottenere il diploma seguendo dei
corsi speciali o seguirli da casa, potrà avere bisogno di assistenza tutta
la vita – ma non sarà completamente fuori dalla tua portata. Il modo in cui
ci relazioniamo è differente. Richiedi ciò che le tue aspettative ti dicono
sia normale, e tu troverai frustrazione, disappunto, risentimento, e magari
addirittura rabbia ed odio. Avvicinati rispettosamente, senza preconcetti, e
aperto ad apprendere nuove cose, e tu troverai un mondo che non avresti mai
potuto immaginare.

Si, richiede un maggiore lavoro rispetto al relazionarsi con una persona non
autistica. Ma può essere fatto – a meno che le persone non autistiche siano
più limitate di noi nella loro capacità di comunicare. Noi spendiamo la
nostra intera esistenza facendo ciò. Ognuno di noi che impara a parlare con
voi, ognuno di noi che riesce a funzionare all’interno della società, ognuno
di noi che riesce a raggiungervi e a connettersi con voi, sta operando in un
territorio alieno, prendendo contatto con creature aliene. Noi spendiamo la
nostra intera vita facendo ciò. E poi voi dite che non siamo capaci di
relazionarci.

L’AUTISMO NON È LA MORTE

è garantito, l´autismo non è ciò che la maggioranza dei genitori si aspetta
di trovare quando anticipano l´arrivo di loro figlio. Quello che si
aspettano è un bambino che sia come loro, che condivida il loro modo e che
comunichi con loro senza richiedere un intensivo addestramento nel contatto
con gli alieni. Anche se loro figlio ha qualche disabilità che non sia
autismo, i genitori si aspettano di essere in grado di relazionarsi con quel
bambino in termini che sembrano normali per loro; e in molti casi, anche
ammettendo le limitazioni di diverse disabilità, è possibile formare il tipo
di legame che il genitore si aspettava.

Ma non quando il figlio è autistico. Molto del dolore che un genitore ha
riguarda la non occorrenza del rapporto affettivo che si aspettava di avere
con un bambino normale. Il dolore è molto reale, e bisogna aspettarselo e
lavorarci sopra in modo che le persone possano andare avanti con le proprie
vite – 

Ma non ha nulla a che vedere con l´autismo.

Quello che succede è che ti aspettavi qualcosa di tremendamente importante
per te, ed eri in attesa con grande gioia ed eccitazione, e magari per un
po´ di tempo hai pensato di averlo davvero – e poi, magari gradualmente,
magari brutalmente, hai capito che quello che ti aspettavi non si era
realizzato. Non si sarebbe realizzato. Non importa quanti altri figli
normali tu abbia, nulla cambia che questa volta, il bambino che hai
aspettato, sperato, pianificato, sognato non è arrivato.

Questa è la stessa sensazione che provano i genitori i cui figli nascono
morti, o che dopo aver stretto il loro bambino per un po´ di tempo, muore in
culla. Non riguarda l’autismo, riguarda la distruzione delle aspettative.
Consiglio che il miglior posto per risolvere questi problemi non siano le
organizzazioni devote all’autismo, ma nella consulenza e supporto al dolore
dei genitori per la perdita. In questi ambienti i genitori imparano a venire
a patti con la loro perdita –  non a dimenticarsi di essa, ma a lasciarla
andare, dove il dolore non li colpisce in faccia ogni momento che passano
svegli. Loro imparano ad accettare che il bambino sia andato via, per
sempre, e non tornerà mai più indietro. Molto più importante, loro imparano
a non scaricare il dolore per il loro bimbo perso sui bambini sopravvissuti.
Questo è di critica importanza quando uno dei bambini che sopravvivono
arriva nel momento in cui si piange la morte di chi è morto.

Non hai perso un bambino a causa dell’autismo. Hai perso un bambino perché
ne aspettavi uno che non è mai esistito. Non è uno sbaglio del bambino
autistico che non esiste e non dovrebbe essere una nostra preoccupazione.
Noi abbiamo bisogno e meritiamo famiglie che possano vederci e valutarci per
quello che siamo, non famiglie la cui vista è oscurata dallo spettro di
bambini che non sono mai vissuti. Addolorati se devi, per il tuo sogno
infranto. Ma non piangere per noi. Noi siamo vivi. Noi siamo reali. E siamo
qui ad aspettarti.

Questo è quello che credo le società che trattano l´autismo dovrebbero dire:
non piangere per quello che non è mai stato, ma esplorare ciò che è. Noi
abbiamo bisogno di voi. Noi abbiamo bisogno del vostro aiuto e della vostra
comprensione.  Il vostro mondo non è molto aperto a noi, e non ce la faremo
senza il vostro forte supporto. Si, ci sono tragedie che vengono insieme
all´autismo: non per quello che siamo, ma per le cose che ci capitano. Siate
tristi di questo, se dovete essere tristi di qualcosa. Meglio che essere
tristi riguardo a ciò, diventate matti riguardo a ciò – e poi fate qualcosa
per questo. La tragedia non è che noi siamo qui, ma che il mondo non ha
nessun posto per noi.  Come potrebbe essere diversamente, fintanto che i
nostri genitori stanno ancora piangendo per averci messo al mondo?

Guardate il vostro bambino autistico qualche volta, e prendetevi un momento
per dirvi chi non è quel bambino. Pensate tra voi: “Questo non è il figlio
che avevo aspettato o pianificato. Questo non è il bambino che ho aspettato
per tutti quei mesi di gravidanza e tutte quelle ore di travaglio. Questo
non è il bambino per il quale avevo fatto tutti quei piani e con cui avevo
pensato di condividere tutte quelle esperienze. Quel bambino non è mai
venuto”. Quindi andate a versare tutte le lacrime che avete da versare –
lontani da quel bambino autistico – e imparate a lasciar andare.

Dopo che avete iniziato a lasciar andare quella sensazione, tornate indietro
e guardate nuovamente vostro figlio e dite a voi stessi: “Questo non è il
bambino che aspettavo e pianificavo. Questo è un bambino alieno che è
atterrato nella mia vita accidentalmente. Non so chi sia questo bambino o
chi diventerà. Ma so che è un bambino, intrappolato in un mondo alieno,
senza genitori della sua specie che possano occuparsi di lui. Ha bisogno di
qualcuno che ne abbia cura, che gli insegni, che interpreti e lotti per lui.
E poiché questo bambino alieno è atterrato nella mia vita, è mio compito se
lo voglio”.

Se questa prospettiva vi eccita, allora venite ad unirvi a noi, con forza e
determinazione, con speranza e gioia. Un´avventura lunga una vita vi
aspetta.”

 



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