[autismo-biologia] R: NEUROPLASTICITA' IN ETA' ADULTA

mazzoni.armando a libero.it mazzoni.armando a libero.it
Mar 16 Maggio 2017 15:35:45 CEST


Traduco malamente un pezzetto perchè non conosco il Francese:

...Tale constatazione giustifica il sostegno di apprendimento per tutta la 
vita. Il principio di non discriminazione delle persone con Disabilità 
Intellettiva dà diritto di accesso alla formazione continua e all'apprendimento 
per tutta la vita...

Tale constatazione non è uno slogan per tirare innanzi, ma è, a quanto pare, 
scientifica: Non fornire tali servizi a persone dai 6 anni ai 99 anni è una 
responsabilità civile ed etica di cui trovo con fatica depositari e garanti.

PS
Grazie mille, Daniela, per non aver dimenticato il punto.





>----Messaggio originale----
>Da: daniela a autismo33.it
>Data: 16-mag-2017 11.30
>A: "Autismo Biologia"<autismo-biologia a autismo33.it>
>Ogg: [autismo-biologia] NEUROPLASTICITA' IN ETA' ADULTA
>
>Il 4 febbraio scorso Armando Mazzoni ha posto un quesito riguardo alle
>potenzialitá di appredimento degli adulti con disabilitá intellettiva.
>
>Gli organi statali  francesi preposti all'assistenza e alla salute si sono
>posti lo stesso quesito e hanno incaricato un gruppo di esperti di
>stendere un documento su questo tema che si basasse sulle evidenze
>ricavate dalla piú accreditata letteratura internazionale
>
>
>http://presse.inserm.fr/wp-
content/uploads/2016/03/2016_03_01_DP_deficiences_intellect.pdf
>
>Dal documento copio quanto segue
>
>La recherche dans le champ des apprentissages a montré que les personnes
>avec une déficience intellectuelle peuvent progresser à tout âge et que
>les effets dits
> «plateau » proviennent parfois davantage d’un manque d’offre de
>stimulation qu’ils ne seraient une conséquence de la déficience
>intellectuelle.
>
>En lecture, comme dans la maîtrise des habiletés numériques, les
>données longitudinales disponibles indiquent qu’il ne faut pas
>sous-estimer la capacité de ces personnes à progresser. Des progrès
>peuvent être attendus au-delà de l’âge scolaire. Un tel constat
>justifie de soutenir les apprentissages tout au long de la vie.
>
>Le principe de non-discrimination des personnes avec une DI
>leur ouvre le droit à l’accès à la formation continue et à
>l’apprentissage tout au long de la vie.
>Même si la DI rallonge les temps d’apprentissage, il revient aux
>formateurs la responsabilité de ne
>pas fixer de limites a priori et d’offrir à ce public les stimulations
>nécessaires au maintien ou développement de nouveaux savoirs.
>
>   Daniela MC
>
>
>4 febbraio 2017
>> Estrapolo questa discussione da Autismo Scuola e la risposta di Donata
>> Vivanti perché vorrei evidenziare due punti:
>>
>>
>>
>> *	il primo è relativo non tanto alla giustezza di quanto afferma Vivanti,
>> ma alle insidie che i riscontri scientifici possono contenere se applicati
>> a realtà frammentate e disordinate come la nostra; riallego sotto il
>> concetto (perdonate l’autocitazione, ma non ho tanto tempo per
>> riformularlo) che già avevo espresso nella lista (“EARLY INTERVENTION
>> oppure EARLY ABANDONMENT”?)
>>
>>
>>
>> *	Sarebbe opportuno parlare anche di neuroplasticità in età evolutiva
>> (fino ai 18 anni) e in tutta l’età adulta, in cosa consiste e che spazi di
>> ricerca può dare per l’Autismo.
>>
>>
>>
>>
>>
>>
>>
>> “EARLY INTERVENTION oppure EARLY ABANDONMENT?
>>
>> In questi giorni è tornato giustamente alla ribalta il tema dell’autismo
>> adulto e di tutti gli inceppamenti medico-legali che, molto spesso
>> pretestuosamente e anche illegalmente, fanno sparire la diagnosi di
>> autismo dai “registri”, per cominciare (o continuare) un percorso di
>> abbandono e di soprusi.
>>
>> Negli ultimi lustri, invece, letteratura e interventi operativi sono
>> fioriti intorno alla Early Intervention, con approcci seri, documentati,
>> che consigliano di intervenire il più precocemente e intensivamente
>> possibile, avendo oggi degli strumenti diagnostici che permettono di
>> individuare con certezza l’autismo a 24 mesi e forse anche meno.
>>
>> Tutto bene e sacrosanto fin qui, un cervello in piena evoluzione avrà
>> forse molta più potenzialità plastica e possibilità di rispondere a tali
>> interventi (anche se nessun intervento è ben documentato sugli esiti a
>> lungo termine,da adulti, appunto)… ma ecco che si comincia a sentire
>> l’ombra di una nuova minaccia: se non si interviene tra 2 e 4 anni (domani
>> sarà forse tra 6 mesi e tre anni) certo i risultati non potranno essere
>> che modesti.
>> Non si discute qui la scientificità di questo tipo di considerazione, ma
>> su come si pongono i servizi pubblici e privati intorno a questo tema. Si
>> ha la sensazione che su quest’onda la soglia di età di abbandono stia
>> drasticamente diminuendo e stia diventando non più diciotto anni, ma anche
>> molto meno della metà.
>>
>> Se il bambino non ha fatto (e nei casi peggiori anche se lo ha fatto ed è
>> ormai grande) un intervento intensivo e precoce non è più tanto
>> interessante; le poche e affogate strutture pubbliche utilizzano l’età per
>> dare la precedenza alle prese in carico ai più piccoli (quale osceno e
>> crudele criterio verso l’infanzia), gli Ospedali, interessati a
>> collezionare diagnosi quanto più precoci possibili e molto poco
>> interessati o responsabili di percorsi abilitativi, cominciano a diradare
>> i controlli ancor prima dei dieci anni e gli stessi fornitori di servizi
>> abilitativi privilegiano i piccolissimi, perché più interessati ad avere
>> quanti più casi possibili “miracolosi”.
>>
>> Ci chiediamo quindi se stiamo di fronte ad un enorme effetto paradosso,
>> dove l’intento collettivo di dare un futuro degenera invece in un
>> involontario razzismo scientifico, anticipando le ragioni e soprattutto le
>> giustificazioni per ritenere un autistico perso e irrecuperabile anche a
>> molto, molto meno di 18 anni.”
>>
>>
>>
>>
>>
>> -----Messaggio originale-----
>> Da: autismo-scuola [mailto:autismo-scuola-bounces a autismo33.it] Per conto
>> di daniela a autismo33.it
>> Inviato: lunedì 30 gennaio 2017 11:27
>> A: Autismo e Scuola <autismo-scuola a autismo33.it>
>> Oggetto: Re: [autismo-scuola] Integrazione e socializzazione
>>
>>
>>
>> Ciò per evitare i “tempi
>>
>>> vuoti” che purtroppo spesso si verificano nella vita scolastica degli
>>
>>> alunni portatori di handicap, travisando così il principio stesso
>>
>>> dell’integrazione che è quello di fare agire il più possibile il
>>
>>> soggetto insieme ai suoi compagni di classe.
>>
>>
>>
>> La socializzazione per le persone normodotate e per le disabiltá diverse
>> dall’autismo é un potente mezzo di apprendimento. Nell’autismo la
>> socializzazione non é un mezzo, ma é il fine a cui tendere mediante una
>> guida competente e con strategie di provata efficacia.
>>
>> Questo tema é prioritario nell’educazione degli alunni con disturbi dello
>> spettro autistico.
>>
>>
>>
>>
>>
>> Ne ho parlato con Donata Vivanti, che mi ha risposto come segue.
>>
>> Prima di copiare il suo messaggio di risposta, direi che piú che di una
>> risposta, si tratta di una lectio magistralis. Eccola
>>
>>
>>
>>
>>
>> “Non vorrei si dimenticasse, come sempre, che purtroppo la partecipazione
>> esperienziale come fonte di apprendimento, se non è guidata con competenza
>> ed esperienza,  esclude gli alunni con autismo, il cui aspetto più
>> peculiare è proprio la disabilità sociale, che non consente
>> l’apprendimento per semplice imitazione. La disabilità sociale
>> nell’autismo infatti non coincide con la disabilità relazionale, un
>> equivoco molto presente nel nostro paese e nella cultura psicanalitica in
>> generale, che s’intreccia spesso con la cultura filosofica, e poco ha a
>> che fare con le attuali conoscenze dell’autismo. Ci sono bambini e adulti
>> con autismo che cercano, anche ossessivamente, la relazione con gli altri,
>> ma purtroppo non ne traggono alcun insegnamento. Invece la disabilità
>> sociale caratteristica dell’autismo consiste nell’incapacità congenita (o
>> diminuita capacità, a seconda della gravità della menomazione) di
>> interagire con gli altri, in qualunque attività e per raggiungere un fine
>> comune e condiviso, compreso il gioco. Mettere un bambino con autismo in
>> un gruppo di coetanei sperando che solo la presenza degli altri  favorisca
>> l' apprendimento è purtroppo pura illusione, ed è anche una pratica
>> azzardata, perché  situazioni sociali complesse e stimoli percettivi
>> disturbanti (la maggior parte delle persone con autismo presenta anche
>> disturbi percettivi, come riconosciuto nel DSM 5), come un contesto
>> sociale aperto senza regole, spingono il bambino a isolarsi o a sviluppare
>> problemi comportamentali, che rappresentano l’unico modo in cui sa
>> esprimere il proprio malessere.  Da questa pratica  può quindi derivare
>> maggiore esclusione, non maggiore inclusione e partecipazione dei bambini
>> con autismo nella scuola e nel contesto sociale.
>>
>> L’unico modo di superare le difficoltà congenite d’interazione sociale
>> presenti nell'autismo sono programmi attivi d’insegnamento  precoce che,
>> attraverso stimoli appropriati e mirati e rinforzo dei comportamenti
>> sociali adeguati in contesti di gioco, incidono sullo sviluppo cerebrale
>> delle capacità sociali e di comunicazione (approccio “evolutivo").  Questi
>> programmi educativi sono efficaci anche se somministrati  in gruppo con i
>> coetanei “normodotati” (recenti studi ne stanno studiando l’efficacia e la
>> sostenibilità), ma non senza una guida e un sostegno qualificato al
>> bambino con autismo da parte di un educatore/insegnante esperto. Quando
>> ormai lo sviluppo cerebrale è troppo avanzato per sperare di modificare il
>> funzionamento cerebrale , ovvero dai 6 anni in poi,  allora non resta che
>> insegnare attivamente comportamenti sociali adeguati (approccio
>> “comportamentale”), anche in contesti “naturalistici”,  in ambienti
>> ragionevolmente adattati per mitigare gli stimoli  percettivi disturbanti.
>>
>> Nessun altro approccio educativo si è dimostrato efficace a sviluppare
>> competenze funzionali all’inclusione e alla partecipazione dei bambini con
>> autismo. Questi percorsi, che non c’è ragione di non applicare in contesti
>> inclusivi, (a casa con i fratelli o a scuola con i compagni),  richiede
>> una guida con solide competenze  e conoscenze di base adeguate in tutti
>> quanti interagiscono con il bambino con autismo, ma dà enormi risultati e
>> soddisfazioni. Ovviamente non tutti gli alunni con disabilità hanno le
>> stesse necessità, però considerando che attualmente a livello mondiale si
>> stima che  le diagnosi di autismo nei nuovi nati rappresentino l'1% del
>> totale, è necessario che le loro necessità educative siano ben comprese e
>> prese in conto nella scuola. Tanto più che è stato ampiamente dimostrato
>> negli studi di ricerca che le strategie d’insegnamento per i bambini con
>> autismo, sia in età precoce attraverso programmi “evolutivi” che
>> successivamente attraverso programmi “comportamentali", favoriscono
>> l’apprendimento e lo sviluppo intellettivo e sociale di tutti i bambini,
>> compresi i bambini "normodotati”. Il contrario purtroppo non avviene"
>>
>>
>>
>> Grazie, Donata
>>
>>    Daniela MC
>>
>>
>>
>> _______________________________________________
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