[autismo-biologia] NEUROPLASTICITA' IN ETA' ADULTA

daniela a autismo33.it daniela a autismo33.it
Mar 16 Maggio 2017 11:30:54 CEST


Il 4 febbraio scorso Armando Mazzoni ha posto un quesito riguardo alle
potenzialitá di appredimento degli adulti con disabilitá intellettiva.

Gli organi statali  francesi preposti all'assistenza e alla salute si sono
posti lo stesso quesito e hanno incaricato un gruppo di esperti di
stendere un documento su questo tema che si basasse sulle evidenze
ricavate dalla piú accreditata letteratura internazionale


http://presse.inserm.fr/wp-content/uploads/2016/03/2016_03_01_DP_deficiences_intellect.pdf

Dal documento copio quanto segue

La recherche dans le champ des apprentissages a montré que les personnes
avec une déficience intellectuelle peuvent progresser à tout âge et que
les effets dits
 «plateau » proviennent parfois davantage d’un manque d’offre de
stimulation qu’ils ne seraient une conséquence de la déficience
intellectuelle.

En lecture, comme dans la maîtrise des habiletés numériques, les
données longitudinales disponibles indiquent qu’il ne faut pas
sous-estimer la capacité de ces personnes à progresser. Des progrès
peuvent être attendus au-delà de l’âge scolaire. Un tel constat
justifie de soutenir les apprentissages tout au long de la vie.

Le principe de non-discrimination des personnes avec une DI
leur ouvre le droit à l’accès à la formation continue et à
l’apprentissage tout au long de la vie.
Même si la DI rallonge les temps d’apprentissage, il revient aux
formateurs la responsabilité de ne
pas fixer de limites a priori et d’offrir à ce public les stimulations
nécessaires au maintien ou développement de nouveaux savoirs.

   Daniela MC


4 febbraio 2017
> Estrapolo questa discussione da Autismo Scuola e la risposta di Donata
> Vivanti perché vorrei evidenziare due punti:
>
>
>
> *	il primo è relativo non tanto alla giustezza di quanto afferma Vivanti,
> ma alle insidie che i riscontri scientifici possono contenere se applicati
> a realtà frammentate e disordinate come la nostra; riallego sotto il
> concetto (perdonate l’autocitazione, ma non ho tanto tempo per
> riformularlo) che già avevo espresso nella lista (“EARLY INTERVENTION
> oppure EARLY ABANDONMENT”?)
>
>
>
> *	Sarebbe opportuno parlare anche di neuroplasticità in età evolutiva
> (fino ai 18 anni) e in tutta l’età adulta, in cosa consiste e che spazi di
> ricerca può dare per l’Autismo.
>
>
>
>
>
>
>
> “EARLY INTERVENTION oppure EARLY ABANDONMENT?
>
> In questi giorni è tornato giustamente alla ribalta il tema dell’autismo
> adulto e di tutti gli inceppamenti medico-legali che, molto spesso
> pretestuosamente e anche illegalmente, fanno sparire la diagnosi di
> autismo dai “registri”, per cominciare (o continuare) un percorso di
> abbandono e di soprusi.
>
> Negli ultimi lustri, invece, letteratura e interventi operativi sono
> fioriti intorno alla Early Intervention, con approcci seri, documentati,
> che consigliano di intervenire il più precocemente e intensivamente
> possibile, avendo oggi degli strumenti diagnostici che permettono di
> individuare con certezza l’autismo a 24 mesi e forse anche meno.
>
> Tutto bene e sacrosanto fin qui, un cervello in piena evoluzione avrà
> forse molta più potenzialità plastica e possibilità di rispondere a tali
> interventi (anche se nessun intervento è ben documentato sugli esiti a
> lungo termine,da adulti, appunto)… ma ecco che si comincia a sentire
> l’ombra di una nuova minaccia: se non si interviene tra 2 e 4 anni (domani
> sarà forse tra 6 mesi e tre anni) certo i risultati non potranno essere
> che modesti.
> Non si discute qui la scientificità di questo tipo di considerazione, ma
> su come si pongono i servizi pubblici e privati intorno a questo tema. Si
> ha la sensazione che su quest’onda la soglia di età di abbandono stia
> drasticamente diminuendo e stia diventando non più diciotto anni, ma anche
> molto meno della metà.
>
> Se il bambino non ha fatto (e nei casi peggiori anche se lo ha fatto ed è
> ormai grande) un intervento intensivo e precoce non è più tanto
> interessante; le poche e affogate strutture pubbliche utilizzano l’età per
> dare la precedenza alle prese in carico ai più piccoli (quale osceno e
> crudele criterio verso l’infanzia), gli Ospedali, interessati a
> collezionare diagnosi quanto più precoci possibili e molto poco
> interessati o responsabili di percorsi abilitativi, cominciano a diradare
> i controlli ancor prima dei dieci anni e gli stessi fornitori di servizi
> abilitativi privilegiano i piccolissimi, perché più interessati ad avere
> quanti più casi possibili “miracolosi”.
>
> Ci chiediamo quindi se stiamo di fronte ad un enorme effetto paradosso,
> dove l’intento collettivo di dare un futuro degenera invece in un
> involontario razzismo scientifico, anticipando le ragioni e soprattutto le
> giustificazioni per ritenere un autistico perso e irrecuperabile anche a
> molto, molto meno di 18 anni.”
>
>
>
>
>
> -----Messaggio originale-----
> Da: autismo-scuola [mailto:autismo-scuola-bounces a autismo33.it] Per conto
> di daniela a autismo33.it
> Inviato: lunedì 30 gennaio 2017 11:27
> A: Autismo e Scuola <autismo-scuola a autismo33.it>
> Oggetto: Re: [autismo-scuola] Integrazione e socializzazione
>
>
>
> Ciò per evitare i “tempi
>
>> vuoti” che purtroppo spesso si verificano nella vita scolastica degli
>
>> alunni portatori di handicap, travisando così il principio stesso
>
>> dell’integrazione che è quello di fare agire il più possibile il
>
>> soggetto insieme ai suoi compagni di classe.
>
>
>
> La socializzazione per le persone normodotate e per le disabiltá diverse
> dall’autismo é un potente mezzo di apprendimento. Nell’autismo la
> socializzazione non é un mezzo, ma é il fine a cui tendere mediante una
> guida competente e con strategie di provata efficacia.
>
> Questo tema é prioritario nell’educazione degli alunni con disturbi dello
> spettro autistico.
>
>
>
>
>
> Ne ho parlato con Donata Vivanti, che mi ha risposto come segue.
>
> Prima di copiare il suo messaggio di risposta, direi che piú che di una
> risposta, si tratta di una lectio magistralis. Eccola
>
>
>
>
>
> “Non vorrei si dimenticasse, come sempre, che purtroppo la partecipazione
> esperienziale come fonte di apprendimento, se non è guidata con competenza
> ed esperienza,  esclude gli alunni con autismo, il cui aspetto più
> peculiare è proprio la disabilità sociale, che non consente
> l’apprendimento per semplice imitazione. La disabilità sociale
> nell’autismo infatti non coincide con la disabilità relazionale, un
> equivoco molto presente nel nostro paese e nella cultura psicanalitica in
> generale, che s’intreccia spesso con la cultura filosofica, e poco ha a
> che fare con le attuali conoscenze dell’autismo. Ci sono bambini e adulti
> con autismo che cercano, anche ossessivamente, la relazione con gli altri,
> ma purtroppo non ne traggono alcun insegnamento. Invece la disabilità
> sociale caratteristica dell’autismo consiste nell’incapacità congenita (o
> diminuita capacità, a seconda della gravità della menomazione) di
> interagire con gli altri, in qualunque attività e per raggiungere un fine
> comune e condiviso, compreso il gioco. Mettere un bambino con autismo in
> un gruppo di coetanei sperando che solo la presenza degli altri  favorisca
> l' apprendimento è purtroppo pura illusione, ed è anche una pratica
> azzardata, perché  situazioni sociali complesse e stimoli percettivi
> disturbanti (la maggior parte delle persone con autismo presenta anche
> disturbi percettivi, come riconosciuto nel DSM 5), come un contesto
> sociale aperto senza regole, spingono il bambino a isolarsi o a sviluppare
> problemi comportamentali, che rappresentano l’unico modo in cui sa
> esprimere il proprio malessere.  Da questa pratica  può quindi derivare
> maggiore esclusione, non maggiore inclusione e partecipazione dei bambini
> con autismo nella scuola e nel contesto sociale.
>
> L’unico modo di superare le difficoltà congenite d’interazione sociale
> presenti nell'autismo sono programmi attivi d’insegnamento  precoce che,
> attraverso stimoli appropriati e mirati e rinforzo dei comportamenti
> sociali adeguati in contesti di gioco, incidono sullo sviluppo cerebrale
> delle capacità sociali e di comunicazione (approccio “evolutivo").  Questi
> programmi educativi sono efficaci anche se somministrati  in gruppo con i
> coetanei “normodotati” (recenti studi ne stanno studiando l’efficacia e la
> sostenibilità), ma non senza una guida e un sostegno qualificato al
> bambino con autismo da parte di un educatore/insegnante esperto. Quando
> ormai lo sviluppo cerebrale è troppo avanzato per sperare di modificare il
> funzionamento cerebrale , ovvero dai 6 anni in poi,  allora non resta che
> insegnare attivamente comportamenti sociali adeguati (approccio
> “comportamentale”), anche in contesti “naturalistici”,  in ambienti
> ragionevolmente adattati per mitigare gli stimoli  percettivi disturbanti.
>
> Nessun altro approccio educativo si è dimostrato efficace a sviluppare
> competenze funzionali all’inclusione e alla partecipazione dei bambini con
> autismo. Questi percorsi, che non c’è ragione di non applicare in contesti
> inclusivi, (a casa con i fratelli o a scuola con i compagni),  richiede
> una guida con solide competenze  e conoscenze di base adeguate in tutti
> quanti interagiscono con il bambino con autismo, ma dà enormi risultati e
> soddisfazioni. Ovviamente non tutti gli alunni con disabilità hanno le
> stesse necessità, però considerando che attualmente a livello mondiale si
> stima che  le diagnosi di autismo nei nuovi nati rappresentino l'1% del
> totale, è necessario che le loro necessità educative siano ben comprese e
> prese in conto nella scuola. Tanto più che è stato ampiamente dimostrato
> negli studi di ricerca che le strategie d’insegnamento per i bambini con
> autismo, sia in età precoce attraverso programmi “evolutivi” che
> successivamente attraverso programmi “comportamentali", favoriscono
> l’apprendimento e lo sviluppo intellettivo e sociale di tutti i bambini,
> compresi i bambini "normodotati”. Il contrario purtroppo non avviene"
>
>
>
> Grazie, Donata
>
>    Daniela MC
>
>
>
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