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daniela marianicerati marianicerati a yahoo.it
Ven 9 Set 2016 17:19:23 CEST


Il Domenica 4 Settembre 2016 16:57, "t.gomiero a virgilio.it" <t.gomiero a virgilio.it> ha scritto:


invio un sunto dell'articolo che è stato pubblicato nell'ultimo numero di Psicogeriatria relativo all'utilizzo di farmaci nelle persone con Disabilità Intellettiva adulte e anziane. A quanto mi è dato sapere è uno dei pochi studi che sia stato pubblicato relativo ad un campione multicentrico italiano.
La farmacoterapia per le persone con DI rappresenta una sfida per poter migliorare l’appropriatezza clinica e la qualità di vita. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi su questi aspetti anche perché il processo di invecchiamento è normalmente correlato con l’aumento di somministrazione di farmaci, per questo motivo un affronto evidence based di questo aspetto diventa essenziale.
In questo studio abbiamo effettuato un’analisi sistematica, in rapporto all’eziologia, al livello di disabilità, all’età, al genere, alla
residenza, alla multimorbilità organica e/o comorbilità psichiatrica esaminando i dati relativi alla somministrazione di 276 persone con DI (età media di ca. 55 anni,range 40-80) e li abbiamo confrontati con i più recenti contributi della letteratura, sia sull’ambito specialistico, sia quella relativa alla popolazione generale. Sono stati classificati i farmaci somministrati anche in funzione dei loro effetti anticolinergici…………...

Quasi la metà del campione (N=129; 46,7%) assume almeno uno psicofarmaco quotidianamente, sovente non correlato con la presenza di una diagnosi di disturbo psichiatrico e più di un terzo del campione assume farmaci con effetti anticolinergici, …….

Andrà verificato soprattutto il rischio di una sottovalutazione di problematiche internistiche e del sottotrattamento del dolore. Questo anche in rapporto al profilo di somministrazione degli psicofarmaci che, assieme ad alcuni altri farmaci ad azione anticolinergica, indica che più di un terzo del nostro campione sia a rischio di un declino cognitivo accelerato, un dato paradossale se si pensa che sono trattate delle persone con un preesistente deficit cognitivo.

Riferimenti: De Vreese, L. P., De Bastiani, E., Weger, E., Marangoni, A., Mantesso, U., & Gomiero, T. (2016). La farmacoterapia nella disabilità intellettiva adulta e anziana: risultati di una indagine multicentrica. Psicogeriatria, 2, 33–51.

9/9/2016 Daniela MCGli autori di questo interessante lavoro hanno indagato, tra le altre cose, il consumo di farmaci ad azione anticolinergica nei disabili intellettivi tra i 40 e gli 80 anni. Questo in quanto é noto che l’azione anticolinergica é un fattore di rischio di declino cognitivo. Copio dal loro lavoro

“Si è riscontrato che nella popolazione geriatrica generale in trattamento protratto con un solo farmaco ad azione anticolinergica (punteggio di 2 o 3 alla scala ACB) incrementa il rischio di compromissione cognitiva del 46% nell’arco di sei anni (Campbell N.L. et al., 2010) e che un aumento di 1 punto del punteggio totale a questa scala si associa a una perdita media di 0,33 punti al MMSE in un periodo di 2 anni, con un rischio di mortalità incrementato del 26% (Fox et al., 2011). Pertanto, se l’anziano senza DI appare così sensibile a farmaci con attività antimuscarinica aumentando addirittura il rischio sia per la demenza, sia per la demenza Alzheimer (Gray S.L. et al., 2015), è facile intuire quali possano essere gli effetti negativi su quelle persone con punteggi 2 alla scala ACB (Fig. 5) in termini di collateralità, sia cognitiva sia organica (es. motilità gastrointestinale, ritenzione urinaria, glaucoma ad angolo chiuso) (de Leon J. et al., 2009; Eady N. et al., 2015), con un conseguente peggioramento della loro qualità di vita (Isaac M. e Koch A., 2010). “
Un elenco dei farmaci, numerosissimi, con azione anticolinergica si trova al link   
http://www.agingbraincare.org/uploads/products/ACB_scale_-_legal_size.pdf
Tra questi si trovano molti psicofarmaci prescritti a vita ai disabili intellettivi adulti, molti dei quali autistici, diagnosticati o no.
Questo rappresenta un fattore di rischio di declino cognitivo modificabile e un ulteriore motivo per richiamare i medici a prescrizioni farmacologiche piú mirate e a un monitoraggio piú attento. Bisogna opporsi alla forza d’inerzia per la quale uno psicofarmaco, una volta iniziato, viene continuato vita natural durante, a volte senza che ci si chieda perché é stato iniziato, se ha migliorato i sintomi target o comunque se ha senso continuarlo.Ricordo la conclusione di una delle poche sperimentazioni compiute sui neurolettici nei comportamenti aggressivi dei disabili intellettivi ( Tyrer P, Oliver-Africano P, Romeo R, Knapp M, Dickens S, Bouras N et al. Neuroleptics in the treatmentof aggressive challenging behaviour for people with intellectual disabilities: a randomised controlled trial(NACHBID). Health Technol Assess 2009; 13(21).http://www.journalslibrary.nihr.ac.uk/hta/volume-13/issue-21 )“non vi sono prove che il risperidone o l'olanzapina diano vantaggi rispetto al placebo nel breve o lungo periodo per il trattamento dei comportamenti aggressivi problematici in soggetti disabili mentali. A quattro settimane il placebo é risultato maggiormente efficace nel ridurre il comportamento aggressivo”Oltre a queste conclusioni per il presente, i dati di questo lavoro devono indurre i ricercatori a trovare nuovi approcci, siano essi riabilitativi o biologici, per la gestione dell’aggressivitá e di altri comportamenti problematici nei disabili intellettivi adulti.     Daniela MC 

 

 
   
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