[autismo-biologia] Efficacia e pesonalizzazione dell'intervento

Flavia Caretto fcaretto a libero.it
Sab 28 Giu 2014 17:10:07 CEST


Salve

Sono Flavia Caretto, psicologa in Roma.

Non sono intervenuta prima, perché questa è una lista di "biologia" e 
sento di non avere le competenze, per quanto interessata all'argomento.

Sul problema posto adesso (studio dei casi singoli), invece, vorrei dare 
un contributo.

Il disegno sperimentale su caso singolo esiste, ed ha una sua forte 
dignità sperimentale, accettata ampiamente nella letteratura anglosassone.

In italiano, si può vedere sull'argomento il bel libro di Cottini "N=1" 
(appunto: numerosità 1)

Credo che, nell'autismo, la ricerca sperimentale sui casi singoli 
dovrebbe essere almeno affiancata a quella su gruppi randomizzati e 
controllati. Per l'autismo, dove sappiamo con certezza esserci una base 
comune, ma manifestazioni fortemente differenti, lo studio sperimentale 
su caso singolo, ovviamente condotto su più casi e replicabile, dovrebbe 
essere quello da preferire, nel caso dell'intervento cosiddetto "non 
farmacologico" (viene chiamato così l'intervento psicoeducativo, ovvero: 
l'unica via attualmente perseguibile e largamente perseguita per 
migliorare la qualità della vita delle persone con autismo e dei loro 
familiari che non presentino anche una malattia, viene definita per le 
sue caratteristiche residuali rispetto all'intervento farmacologico - 
che rimane invece ancora allo studio, nel suo utilizzo sull'intera 
popolazione autistica).

Credo che dovremmo prendere consapevolezza, o almeno discutere del fatto 
che in Italia, (dove abitiamo noi e le persone autistiche che 
conosciamo) produrre studi randomizzati e controllati sull'intervento 
non farmacologico è cosa decisamente rara ed elitaria, che prevede la 
necessità di nascere ricchi, oppure di essere fortemente sponsorizzati 
(e da chi?).

Ricordo che dire "studio sperimentale su caso singolo" non significa 
studiare una sola persona, bensì fare anche sessanta, cento 
rigorosissimi studi sperimentali su caso singolo. Il fatto che il 
disegno sperimentale su caso singolo non venga preso in considerazione 
per eventuali pubblicazioni sperimentali (e addirittura venga raramente 
insegnato...), ci condanna a perdere una enormità di dati "di casa 
nostra", che relegano l'esperienza italiana al rango, appunto, di 
episodica esperienza e ci costringono ad abbracciare una logica estranea 
alla nostra normativa e alle nostre possibilità economiche, allontanando 
la possibilità di elaborare modelli italiani praticabili.

Si ragioni soltanto sull'affermazione della necessità di fare 40 ore di 
"terapia" settimanali, una condizione non sostenibile economicamente né 
dalla sanità pubblica né dalle singole famiglie con reddito medio, nata 
in paesi dove non è previsto l'inserimento scolastico in scuole normali, 
e peraltro mai sostenuta da dati replicabili o replicati nel nostro 
paese come condizione esclusiva di miglioramento.

Credo che l'onestà sperimentale risieda anche nella possibilità di 
considerare i risultati di una ricerca in senso, direi, letterale: se si 
hanno quelle caratteristiche, in quelle condizioni, quelle azioni 
"funzionano" o hanno significato. Poiché, come è noto, in studi di lunga 
durata, che prevedono esiti ampi (es: miglioramento delle abilità 
sociali, deistituzionalizzazione ecc...) non è possibile controllare 
tutte le variabili, si privilegiano necessariamente in letteratura studi 
di durata breve su singoli comportamenti, che nulla dicono però su cosa 
avverrà della vita delle persone sottoposte allo studio in un futuro più 
lontano dal follow up, e nel contesto reale. Per intenderci: è più 
facile capire se si è in grado di insegnare a qualcuno a lavarsi le 
mani, piuttosto che capire se si può migliorare la qualità della sua 
vita - concetto più difficilmente misurabile. Personalmente, trovo una 
grande dignità ed utilità, in uno studio che mi spieghi come insegnare a 
qualcuno a lavarsi le mani. Non trovo adeguato, però, che i risultati di 
studi necessariamente contestualizzati vengano generalizzati come 
(unica) possibilità di migliorare complessivamente l'esistenza di tutte 
le persone che rientrano nella grande categoria "autismo". Credo che 
sarebbe possibile (lo ammetto, con un certo sforzo economico) 
rintracciare le persone, i bambini, sottoposti a brevi studi con 
interventi spacciati per "risolutivi" e verificare, a distanza di due o 
tre anni almeno (se non di più), cosa è accaduto nella loro vita.

Ci sono azioni, sperimentali e abilitative, che hanno senso "a 
prescindere" dalla modalità poi utilizzata per modificare il 
comportamento, come l'individualizzazione e la valutazione pre e post 
non autoreferenziale. Trovo sconfortante che la linea guida 
dell'istituto superiore di sanità debba sottolineare che (pag 41) "la 
scelta di quale sia l'intervento più appropriato da erogare deve essere 
formulata sulla base di una valutazione delle caratteristiche 
individuali del soggetto." Perché sono convinta che dovremmo dare per 
scontato e pretendere il rispetto di un simile principio - che equivale 
a dire, in medicina, che prima di somministrare un farmaco, bisogna 
visitare il paziente, e capire quale farmaco è eventualmente indicato. 
Questo, in medicina, è noto almeno da duemila anni. In psicologia, a 
quanto pare, ancora non è scontato, per cui si continua a cercare "la" 
soluzione unica a condizioni estremamente variate (casi singoli, 
appunto). Possiamo sperare in un futuro dove, nel rigore della 
sperimentazione, si provi ad utilizzare principi chiari e condivisi alla 
ricerca non farmacologica in favore di individui diversi fra loro e 
dalla media della popolazione?



Il 27/06/2014 08:27, mazzoni.armando a libero.it ha scritto:
>
> Da una discussione con un altro genitore circa l'utilizzo, l'efficacia 
> e la personalizzazione, soprattutto degli interventi educativi 
> cognitivi e/o comportamentali, facevo la seguente considerazione, che 
> vi sottopongo con beneficio di inventario:
>
> I casi singoli andrebbero collezionati, storicizzati e studiati 
> (comparati e analizzati anche statisticamente), in gran numero. Invece 
> prevale lo studio e la ricerca sul gruppo per periodi di tempo 
> limitati, in cui la storia del singolo si perde, insieme a qualsiasi 
> indicazione utile per il caso singolo, appunto, che è quello che 
> ovviamente ci interessa.
>
> Mi è chiaro che studiare un gruppo con caratteristiche omogenee dia 
> risultati statisticamente validi (con il relativo margine di errore) 
> per un caso singolo assimilabile al gruppo, ma sarebbe interessante 
> capire se sarebbe più fruttuoso procedere "verticalmente" invece che 
> "orizzontalmente" e ricostruire i gruppi ex post.__
>
> Cordiali saluti
>
> AM
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