R: [autismo-biologia] Stereotipie e CP

oscar.bosco a libero.it oscar.bosco a libero.it
Mer 7 Ago 2013 19:08:23 CEST


Salve a tutti ammiro da tempo Tiziano come persona e come studioso di autismo. Mi spiace che la sua intuizione, che oserei definire geniale, sia così presa sotto gamba dalla comunità scientifico-terapeutica che ruota attorno all' autismo che invece continua a sperticarsi su complicate astrusità. Non sono un medico, cerco di restare obiettiva, non saprei mai spiegare il meccanismo delle stereotipie così come lo ha fatto Tiziano, ma nel mio piccolissimo posso riportare la mia testimonianza di come sia tremendamente vero ciò che è stato detto sul disfunzionale autistico e di come l'autismo si nutra e venga concimato, mi si passi il termine, dalle stereotipie. Sempre nel mio piccolissimo ho avuto anni addietro, sebbene non strutturata come per Tiziano, la stessa felice intuizione, fortunata e remunerativa. Mio figlio, Asperger, aveva sin da piccolissimo, talmente tante e tali e durature stereotipie da lasciare sbigottito chi lo incontrava. Per farla breve, da sempre noi abbiamo lavorato sull'eliminazione delle S in contemporanea con una tolleranza zero dei comportamenti problema (eclatanti nella prima infanzia) quasi al limite della spietatezza. La riduzione e' stata graduale, contemporanea e' stata la riduzione delle manifestazioni e dell'apparire del disfunzionare autistico. Chi ha conosciuto mio figlio dopo gli otto anni fatica a credere che abbia la patologia. Adesso ha 13 anni, da un paio sono totalmente scomparse le stereotipie e qualsiasi manifestazione, a un occhio inesperto o frettoloso, del disfunzionare che pure rimane latente in lui e in ogni caso e' necessario un intervento di tipo manutentivo, per così dire per non far riaffiorare stereotipie o comportamenti problema (l'ostinazione e la fissazione perdurano). Ci siamo accorti all'età di due anni che qualcosa non andava, e' stato un Asperger anomalo perché a cinque e mezzo aveva già la diagnosi ma sembrava più HF che SA. Oggi la gente non mi crede se dico che 4 Npi negli anni hanno confermato la diagnosi. Come curiosità ho notato anche che al diminuire di S e DS eCP, anche le caratteristiche "positive" che mio figlio aveva, tipo memoria fotografica, capacità di calcolo a mente e altri prodigiosi numeri da circo che di solito caratterizzano gli high functioning si sono notevolmente mitigate. Gabrielli ha visto molto lontano e andrebbe seguito, incoraggiato e lodato. Cordialità. Simonetta Chiandetti




----Messaggio originale----

Da: tgabrielli a alice.it

Data: 07/08/2013 13.30

A: "Autismo Biologia"<autismo-biologia a autismo33.it>

Ogg: [autismo-biologia] Stereotipie e CP




Mi scuso nuovamente con tutti per l'errato invio di un documento incompleto. Vi aggiorno sperando che vogliate rivalutarne il contenuto completo. Tiziano









 
  
 



 
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L'opportunità di
distinguere le Stereotipie (S) dai Comportamenti Problema (CP) nei DSA, fu
introdotta per la prima volta nel 2006 con la comunicazione "Stereotipie e
Comportamenti Problema" (AJMR Vol.1. N.1 Febb 2006 Gabrielli T.; Cova P.).
Questa distinzione trova un valido fondamento sia nella clinica che
nell'abilitazione. Gli elementi
distintivi le due fattispecie cliniche sono netti e non tenui o sfumati come
sembrerebbe in superficie. Questo ritardato inquadramento distintivo è forse
dipeso dai condizionamenti duraturi che decenni di inclusione in un solo grande
contenitore (i Comportamenti Problema) hanno consentito. Promiscuità (S e CP) permessa
dal giudizio di una "attuale intollerabilità" che da sempre concretizza il CP;
criterio peraltro mai oggettivo ma legato di volta in volta, a parametri sociali,
contestuali, personali, occasionali e persino di opportunità. Le S diventavano CP
nel momento in cui anche loro eccessivamente disturbanti, ostative, lesive,
ecc. disperdendo qualsiasi altro criterio clinico in esse contenuto. La loro
caratteristica "alta frequenza" di emissione, la limitatezza o
povertà di contenuto, la tipica reiterazione, la perseverazione, la non ricerca
di effetto ambientale (utile/utilizzato) ad esse conseguente;  l’afunzionalità evidente nella quasi totalità
delle espressioni ... Mentre, dall'altra, i CP con la tipica "bassa
frequenza" la non perseveranza e la ricerca di “effetto ambientale” in un
crescendo-apice-decremento proporzionale al costituirsi dell’effetto ricercato
sino a ottenimento;  "funzionalità
dei CP" dunque... tanto per iniziare. Differenze sostanziali di due realtà che introducono un nuovo concetto:  Stereotipia (non solo quando è flapping o saltelli) ma (da intendere
come) sintesi di un andamento funzionale
complesso dunque, esprimibile come:  "disfunzionare stereotipato"(DS). Purtroppo la
consuetudine a considerare le Stereotipie
(S) un aspetto clinico prevalentemente "motorio" e la propensione ad
associarle soprattutto ai casi "gravi" di DSA, ha impedito e
impedisce la comprensione che con tale termine si dovrebbe indicare, non solo il
banale atto motorio e/o sensoriale stigmatizzante ma piuttosto, il ben più esteso "andamento" IDEATIVO e poi COMPORTAMENTALE che caratterizza
trasversalmente l'esistere delle  persone con DSA. Un sistema
funzionale il "disfunzionare
stereotipato", caratterizzato da un fundus "pervasivo" di emissioni
LIMITATE, REITERATE, PERSEVERANTI, ADESIVE, ad "ALTA FREQUENZA di
emissione"... che tendenzialmente permeano di sè  l'intero humus
ideativo-comportamentale quotidiano nell’intero arco vitale. Quindi, sarebbe più
giusto parlare di andamento clinico comune e trasversale in tutti i quadri anche i
più diversi e complessi dei DSA. Ci si dovrebbe chiedere infatti cosa possa
essere altrimenti, se non una stereotipia...,
un continuo battito di mani o una banale domanda insaziabile; l'immancabile
dichiarazione verbale al passaggio davanti ad una specifica insegna;  un
risolino continuo per mattinate intere senza ragione apparente; il maniacale
allineamento o obbligato riordino degli oggetti sulla mensola;
 l'imposizione del posto dove siederà il fratello; l'annusare i piedi nudi di
chiunque; alimentarsi di alimenti di colore bianco; ecc.  Si
dovrebbe infatti intendere con il termine DS o S, l'intera e famosa rappresentazione
sintomatica dell'"immutabilità
kanneriana". IMMUTABILITA’ che si esprime  dalla
reiterazione banale, al ripetersi di atti  complessi, perpetuamente rappresentati secondo contesto e procedura, il controllare patologicamente ciò
che è sperimentato, come andrà sperimentato indifferenti  al senso complesso e possibile insito in quell’esperienza. S dunque non per
indicare all’americana poche movenze stigmatizzanti  ma per riassumere il modo spontaneo di
funzionare di questi soggetti (Out Aut Gabrielli
Cova Vannini Ed 2011); il modo patologico speciale incombente, sempre
pronto a ricondizionare l’intero sperimentare di queste persone. Un modo di
funzionare totalmente indipendente dal livello intellettivo e dalla personalità
del soggetto, perchè nonostante le più diverse personalità e/o livelli
intellettivi incontrati nello spettro, si ripropone come tipico "modus
operandi",  caratteristicamente identico, nello spontaneo riproporre e
condizionare le attività cognitive, ideative, motorio sensoriali, in modo da renderle
LIMITATE, REITERATE, PERSEVERANTI, ADESIVE, subentranti, poco o nulla
permeabili a improvvise varianti, poco flessibili, non pianificabili secondo
logica e prospettiva utilitaristica, con scarsa evoluzione, nessuna utilità
sociale o efficacia, o rebound relazionale, emotivo, intellettivo, economico... Un modo di funzionare patologico
comune (il DS) che riverbera all'interno di una complessiva inadegatezza, rispettosa
di un'ordine, una rigidità esperienziale nell'apprendere e nel performare,
sempre poco utile, poco assimilabile al superamento del contesto in cui
scaturisce e spesso avulsa dal contesto stesso. Una modalità di funzionare,
tendenzialmente pervasiva e, nonostante eventuali picchi di competenza,
frammentata, ripetitiva, secondo modalità tendenzialmente immodificabili e
infine francamente  "NON FUNZIONALE", più che
"dis-funzionale".          Non voglio qui entrare nel dibattito,
mai sufficientemente affrontato, dell'opportunità di riconoscere e
circoscrivere clinicamente tale andamento anche nei casi apparentemente più
avvantaggiati. (questo, detto per inciso). Aprirsi ad una lettura del
disfunzionamento stereotipato meno banale ma più pervasiva permetterebbe anche di prendere le distanze
dal progressivo abuso di letture psicologiche o "psicodinamiche" - nel
massimo rispetto per questi studi-  delle
difficoltà degli HF e Asperger. Questo moderno "dark mood" attribuito
ad essi... scorda assai precocemente gli elementi fondanti la diagnosi - anche
la loro -  Scordando la diagnosi inclusiva
ci si scorda anche… su cosa principalmente si dovrebbe lavorare. Appena il
livello intellettivo si innalza leggermente, si invocano consapevolezze e
conflitti psicologici (senza benefici evidenti se non incremento di casistica),
rischiando probabili danni ulteriori, volutamente misconosciuti che, un
siffatto bombardamento di informazioni/connotazioni "emozionali",
potrebbe produrre in questi soggetti, in realtà assai meno complicati ed oscuri
di come li si vorrebbe oggi rappresentare. Non si comprende infatti perché il dr. Asperger non si sia accorto, già allora, di questo loro curioso - futuro-destino
criptico e suicidario.) Tornando
al problema della "funzionalità", perchè tema cruciale per
distinguere il "disfunzionare
stereotipato" (S) dagli altri comportamenti,  veri Comportamenti Problema (CP), affermare
oggi che un “comportamento” seppur patologico NON sia funzionale (in senso
adattivo), è un azzardo ostracizzante. Cosa può significare "non
funzionale" in un mondo culturale, quello della disabilità oggi, dove
qualsiasi comportamento, anche il più orrendo e inaccettabile, è imperiosamente
voluto "funzionale". Un tempo, chi
avesse detto che un "delirio", un'"allucinazione" fossero
da intendersi come "funzionali", sarebbe stato sottoposto a severe
quanto logiche critiche all'occorrenza dimostrative. Oggi tutto si può dire e confondere. Eppure dire
"A-funzionale" è una scelta controcorrente  se non proprio una bestemmia.
"Funzionalità" a tutti i costi è il lite motive ricorrente. Le S (motorie, sensoriali,
verbali, ecc.) stesse, secondo molti autori sarebbero “funzionali” in quanto
meccanismo di autostimolazione, compenso; detensionamento, con effetti
ansiolitici e o riparativi, ecc. Non ultimo l’effetto di dismissione
endorfinica... In parole povere, ancora una volta, l'unico momento clinico che
 risulta di fatto interrompibile (dal punto di vista abilitativo) e che si
dovrebbe interrompere/correggere/compensare in quanto espressione principe della sd, viene in qualche
maniera positivizzato, come se si potesse/dovesse, seppure
subordinatamente  ad una valutazione di
"tollerabilità", consentire. Purtroppo il DS non é una attività che
per presentarsi abbisogni di essere consentita. Il lavoro abilitativo, da fare,
è tutto incentrato nel “non consentire ovvero contrastare o rimpiazzare con
adattivo il suo multiforme palesarsi. Sarà la proposta-esperienza adattiva che
sposta la persona con DSA da una dimensione usuale e spontanea ma patologica
(il DS) alla dimensione “adattiva”/ non-DS. Solo l’adattivo lo
rende libero dal disfunzionare a suo modo impellente; solo l’adattivo lo apre alla flessibilità,
all’attesa, all’attentività produttiva, abilitativa. L’adattivo proposto,
sperimentato, performato lo abitua a resistere alla necessità di ricadere nel modus operandi tipico della sindrome, che
lo caratterizzerà “autistico” allo stesso identico modo di tutti gli altri, seppure
individualmente diverso per il sovrapporsi di specifiche personalità e livelli
intellettivi…  Smetterà dunque di traguardare
luccichii, lallare, battersi la pancia; smetterà di controllare l’ambiente secondo
predisposizioni e rituali e in esso accoglierà sempre più favorevolmente ciò
che potrà accadere di inatteso e ridurrà progressivamente lo sperimentare
secondo i rigidi schemi spaziotemporali ed esecutivi che altrimenti metterebbe
in atto immancabilmente. Abbandonerà le adesività, i picchi di interesse e sarà
sempre più contestuale e capace di apprendere e sorprendere in senso adattivo… Funzionale, dunque
è un giudizio che in “patologia” dovrebbe essere attentamente soppesato. “Funzionalità”
del DS è un giudizio che, se riguarda lo scopo adattivo di tali
produzioni-condizionamenti, suona davvero indimostrabile e pertanto altrettanto
valido quanto recisamente negarlo. Affermare che
l’impellenza di un comunicare aumenti le stereotipie
è indimostrabile. Le S aumentano (se aumentano) nel vuoto
esperienziale-sperimentale. Il bambino, l'adolescente, l'adulto autistico, in una situazione che non conosce, che
non sa come gestire, deve comunque esistere. L’impellenza di esistere, in
assenza di competenza adattiva per gestire la novità, la inaspettata situazione, richiesta, recupera la spontaneità del suo performare ed emerge il disturbo DS nella sua essenza con
l’emissione di attività ideativo comportamentali (purtroppo patologiche) che
verranno prontamente performate. Poi si potrà invocare per esse e di volta in
volta, l’eccitazione, la felicità, il disappunto, il rifiuto, il bisogno di… ma le
spiegazioni avranno il sapore di indistinte ipotesi probatorie fondate sulla
lettura psicologica dell’evento da parte dell’osservatore e mai si potrà
giungere alla verifica scientifica necessaria, di causa effetto.  "La volontà", l'impulso (adattivo)
di comunicare qualcosa; di funzionare a scopo, precederebbe una tale emissione o
super emissione (che purtroppo non risulterebbe adeguata per i limiti che improvvisamente riguardano solo l'emissione e non l'idea che li avrebbe generati) di un dato comportamento
(patologico). Il disabile elaborerebbe "una consapevolezza adattiva"
che non riesce però a trasferire, a comunicare in modo competente ma che comunque
decide di esternare. Nel post che abbiamo letto si riporta l’esempio che sia il
dolore a far aumentare le stereotipie che essendo autolesive causerebbero... il
dolore necessario alla produzione (apprezzamento endogeno) di endorfine che
giustificherebbero il perpetuarsi delle emissioni. Un loop pazzesco per non ammettere più banalmente che l’attività autolesiva (con le seguenti  caratteristiche) è una stereotipia
(sensoriale) e come tale (patologia afinalistica) va interrotta con proposte e sostituita con esperienze
adattive.  L’abilitazione ci dà la sola
soluzione oggi del DS qualsiasi sia la forna che esso assume. Studiare i
meccanismi fisiopatologici che lo sostengono è corretto se non li inficiamo
sovrapponendo loro ipotesi psicologiche indimostrabili e improduttive.
Oltretutto attribuire, anche nei casi più severi, flash affatto estemporanei  di normalità, a fronte del nulla periodico,
appare ancora una volta roccambolesco. Non si può incolpare nessuno di questo moderno gusto
per l’indimostrabile. Tutto il mondo
scientifico attuale perora questo assurdo punto di vista piccandosi di
decifrare il messaggio adattivo nell'orrore. L'"analisi
funzionale"(AF) individua ciò che genererebbe "ogni" comportamento patologico (adattivo
nell'intento ma disadattivo nei risultati) in esame. La conseguenza
(ambientale) di esso poi sarà giudicata,  favorevole o sfavorevole, rispetto alla
"funzione" che è "già presente", seppure da individuare.
 Dire oggi che "questa benedetta funzione" non c'è, è incoerente
rispetto a un intero processo culturale.Secondo i dettati
dell'arte, c'è certamente uno stress, un disagio, una frustrazione, un
desiderio e via di questo passo, che scatena il comportamento problematico,
stereotipie comprese (nonostante la continuità che le caratterizza). L'indimostrabile si nasconde dietro ipotesi che diventano legge. I trattati di
psichiatria che studiavamo non più di una decina d'anni fa e che fanno bella
mostra negli scaffali dei ns studi,  individuano la valenza clinica di
 un comportamento (ad es) "ossessivo compulsivo" successivamente
alla sua emissione. Le "attività ossessivo compulsive" diventavano
tali solo quando il disagio della loro emissione diventava contraddizione tra
vissuto e interiorità. La causa era eventualmente profonda e non facilmente
individuabile o elaborabile. Era dirimente nell'uso della terminilogia
psichiatrica il tipo di "consapevolezza" (qualunque questa fosse)
successiva all'accesso patologico. In autismo tutta questa  dottrina
salta, ma anzichè evocare dei distinguo nosografici auspicabili, accoglie una
promiscuità evidente di termini in base, non pertinenti a criteri clinici
rigorosi ma dettati solo dall’età del pz e dalla specialità (NPI – P – N )che
se ne assume la presa in carico. Le stereotipie motorie diventano attività
ossessivo compulsive; le stereotipie ideative, psicosi, allucinazioni, ecc. basta
avere più di sedici-diciott’anni. 
Sugli altri CP non
mi dilungo in quanto mi preoccupano assai meno che il DS. Essi sono la resistenza all'adattivo. E' il patologico occasionale che difende il patologico costante. Si estinguono
quando l’accesso all’adattivo è francamente consueto perché sono il rito di tutela del funzionamento patologico principale. Sono il modo,
assai variegato di respingere l’adattivo e riconsegnarsi al funzionamento
spontaneo, attrattivo, dominante della sindrome. Ho spiegato a lungo perché e come
funzionano ma vedo che non serve. Evidentemente si preferiscono le ipotesi più bizzarre
alle banali, seppure faticose e impegnative, soluzioni gd l'abilitazione dimostra. Il CP si estingue
quando la persona diventa flessibile, attentiva, partecipe al mondo adattivo , ad un modo altro di
esistere. Per farlo bisogna contrastare l’andamento, il disfunzionare
stereotipato. Il giorno
01/ago/2013, alle ore 09:28, Fondazione Marino
<fondazionemarino a gmail.com> ha scritto:  





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