[autismo-biologia] Stereotipie e CP

Tiziano Gabrielli tgabrielli a alice.it
Mer 7 Ago 2013 13:30:02 CEST


Mi scuso nuovamente con tutti per l'errato invio di un documento incompleto. Vi aggiorno sperando che vogliate rivalutarne il contenuto completo. Tiziano

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> L'opportunità di distinguere le Stereotipie (S) dai Comportamenti Problema (CP) nei DSA, fu introdotta per la prima volta nel 2006 con la comunicazione "Stereotipie e Comportamenti Problema" (AJMR Vol.1. N.1 Febb 2006 Gabrielli T.; Cova P.). Questa distinzione trova un valido fondamento sia nella clinica che nell'abilitazione.
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> Gli elementi distintivi le due fattispecie cliniche sono netti e non tenui o sfumati come sembrerebbe in superficie. Questo ritardato inquadramento distintivo è forse dipeso dai condizionamenti duraturi che decenni di inclusione in un solo grande contenitore (i Comportamenti Problema) hanno consentito. Promiscuità (S e CP) permessa dal giudizio di una "attuale intollerabilità" che da sempre concretizza il CP; criterio peraltro mai oggettivo ma legato di volta in volta, a parametri sociali, contestuali, personali, occasionali e persino di opportunità.
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> Le S diventavano CP nel momento in cui anche loro eccessivamente disturbanti, ostative, lesive, ecc. disperdendo qualsiasi altro criterio clinico in esse contenuto. La loro caratteristica "alta frequenza" di emissione, la limitatezza o povertà di contenuto, la tipica reiterazione, la perseverazione, la non ricerca di effetto ambientale (utile/utilizzato) ad esse conseguente;  l’afunzionalità evidente nella quasi totalità delle espressioni ... Mentre, dall'altra, i CP con la tipica "bassa frequenza" la non perseveranza e la ricerca di “effetto ambientale” in un crescendo-apice-decremento proporzionale al costituirsi dell’effetto ricercato sino a ottenimento;  "funzionalità dei CP" dunque... tanto per iniziare. Differenze sostanziali di due realtà che introducono un nuovo concetto:  Stereotipia (non solo quando è flapping o saltelli) ma (da intendere come) sintesi di un andamento funzionale complesso dunque, esprimibile come:  "disfunzionare stereotipato"(DS).
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>  Purtroppo la consuetudine a considerare le Stereotipie (S) un aspetto clinico prevalentemente "motorio" e la propensione ad associarle soprattutto ai casi "gravi" di DSA, ha impedito e impedisce la comprensione che con tale termine si dovrebbe indicare, non solo il banale atto motorio e/o sensoriale stigmatizzante ma piuttosto, il ben più esteso "andamento" IDEATIVO e poi COMPORTAMENTALE che caratterizza trasversalmente l'esistere delle  persone con DSA.
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> Un sistema funzionale il "disfunzionare stereotipato", caratterizzato da un fundus "pervasivo" di emissioni LIMITATE, REITERATE, PERSEVERANTI, ADESIVE, ad "ALTA FREQUENZA di emissione"... che tendenzialmente permeano di sè  l'intero humus ideativo-comportamentale quotidiano nell’intero arco vitale. Quindi, sarebbe più giusto parlare di andamento clinico comune e trasversale in tutti i quadri anche i più diversi e complessi dei DSA. Ci si dovrebbe chiedere infatti cosa possa essere altrimenti, se non una stereotipia..., un continuo battito di mani o una banale domanda insaziabile; l'immancabile dichiarazione verbale al passaggio davanti ad una specifica insegna;  un risolino continuo per mattinate intere senza ragione apparente; il maniacale allineamento o obbligato riordino degli oggetti sulla mensola;  l'imposizione del posto dove siederà il fratello; l'annusare i piedi nudi di chiunque; alimentarsi di alimenti di colore bianco; ecc.  Si dovrebbe infatti intendere con il termine DS o S, l'intera e famosa rappresentazione sintomatica dell'"immutabilità kanneriana". IMMUTABILITA’ che si esprime  dalla reiterazione banale, al ripetersi di atti  complessi, perpetuamente rappresentati secondo contesto e procedura, il controllare patologicamente ciò che è sperimentato, come andrà sperimentato indifferenti  al senso complesso e possibile insito in quell’esperienza.
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> S dunque non per indicare all’americana poche movenze stigmatizzanti  ma per riassumere il modo spontaneo di funzionare di questi soggetti (Out Aut Gabrielli Cova Vannini Ed 2011); il modo patologico speciale incombente, sempre pronto a ricondizionare l’intero sperimentare di queste persone. Un modo di funzionare totalmente indipendente dal livello intellettivo e dalla personalità del soggetto, perchè nonostante le più diverse personalità e/o livelli intellettivi incontrati nello spettro, si ripropone come tipico "modus operandi",  caratteristicamente identico, nello spontaneo riproporre e condizionare le attività cognitive, ideative, motorio sensoriali, in modo da renderle LIMITATE, REITERATE, PERSEVERANTI, ADESIVE, subentranti, poco o nulla permeabili a improvvise varianti, poco flessibili, non pianificabili secondo logica e prospettiva utilitaristica, con scarsa evoluzione, nessuna utilità sociale o efficacia, o rebound relazionale, emotivo, intellettivo, economico... Un modo di funzionare patologico comune (il DS) che riverbera all'interno di una complessiva inadegatezza, rispettosa di un'ordine, una rigidità esperienziale nell'apprendere e nel performare, sempre poco utile, poco assimilabile al superamento del contesto in cui scaturisce e spesso avulsa dal contesto stesso. Una modalità di funzionare, tendenzialmente pervasiva e, nonostante eventuali picchi di competenza, frammentata, ripetitiva, secondo modalità tendenzialmente immodificabili e infine francamente  "NON FUNZIONALE", più che "dis-funzionale".
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>          Non voglio qui entrare nel dibattito, mai sufficientemente affrontato, dell'opportunità di riconoscere e circoscrivere clinicamente tale andamento anche nei casi apparentemente più avvantaggiati. (questo, detto per inciso). Aprirsi ad una lettura del disfunzionamento stereotipato meno banale ma più pervasiva permetterebbe anche di prendere le distanze dal progressivo abuso di letture psicologiche o "psicodinamiche" - nel massimo rispetto per questi studi-  delle difficoltà degli HF e Asperger. Questo moderno "dark mood" attribuito ad essi... scorda assai precocemente gli elementi fondanti la diagnosi - anche la loro -  Scordando la diagnosi inclusiva ci si scorda anche… su cosa principalmente si dovrebbe lavorare. Appena il livello intellettivo si innalza leggermente, si invocano consapevolezze e conflitti psicologici (senza benefici evidenti se non incremento di casistica), rischiando probabili danni ulteriori, volutamente misconosciuti che, un siffatto bombardamento di informazioni/connotazioni "emozionali", potrebbe produrre in questi soggetti, in realtà assai meno complicati ed oscuri di come li si vorrebbe oggi rappresentare. Non si comprende infatti perché il dr. Asperger non si sia accorto, già allora, di questo loro curioso - futuro-destino criptico e suicidario.)
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> Tornando al problema della "funzionalità", perchè tema cruciale per distinguere il "disfunzionare stereotipato" (S) dagli altri comportamenti,  veri Comportamenti Problema (CP), affermare oggi che un “comportamento” seppur patologico NON sia funzionale (in senso adattivo), è un azzardo ostracizzante. Cosa può significare "non funzionale" in un mondo culturale, quello della disabilità oggi, dove qualsiasi comportamento, anche il più orrendo e inaccettabile, è imperiosamente voluto "funzionale".
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> Un tempo, chi avesse detto che un "delirio", un'"allucinazione" fossero da intendersi come "funzionali", sarebbe stato sottoposto a severe quanto logiche critiche all'occorrenza dimostrative. Oggi tutto si può dire e confondere. Eppure dire "A-funzionale" è una scelta controcorrente  se non proprio una bestemmia. "Funzionalità" a tutti i costi è il lite motive ricorrente.
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> Le S (motorie, sensoriali, verbali, ecc.) stesse, secondo molti autori sarebbero “funzionali” in quanto meccanismo di autostimolazione, compenso; detensionamento, con effetti ansiolitici e o riparativi, ecc. Non ultimo l’effetto di dismissione endorfinica... In parole povere, ancora una volta, l'unico momento clinico che  risulta di fatto interrompibile (dal punto di vista abilitativo) e che si dovrebbe interrompere/correggere/compensare in quanto espressione principe della sd, viene in qualche maniera positivizzato, come se si potesse/dovesse, seppure subordinatamente  ad una valutazione di "tollerabilità", consentire. Purtroppo il DS non é una attività che per presentarsi abbisogni di essere consentita. Il lavoro abilitativo, da fare, è tutto incentrato nel “non consentire ovvero contrastare o rimpiazzare con adattivo il suo multiforme palesarsi. Sarà la proposta-esperienza adattiva che sposta la persona con DSA da una dimensione usuale e spontanea ma patologica (il DS) alla dimensione “adattiva”/ non-DS. Solo l’adattivo lo rende libero dal disfunzionare a suo modo impellente; solo l’adattivo lo apre alla flessibilità, all’attesa, all’attentività produttiva, abilitativa. L’adattivo proposto, sperimentato, performato lo abitua a resistere alla necessità di ricadere nel modus operandi tipico della sindrome, che lo caratterizzerà “autistico” allo stesso identico modo di tutti gli altri, seppure individualmente diverso per il sovrapporsi di specifiche personalità e livelli intellettivi…  Smetterà dunque di traguardare luccichii, lallare, battersi la pancia; smetterà di controllare l’ambiente secondo predisposizioni e rituali e in esso accoglierà sempre più favorevolmente ciò che potrà accadere di inatteso e ridurrà progressivamente lo sperimentare secondo i rigidi schemi spaziotemporali ed esecutivi che altrimenti metterebbe in atto immancabilmente. Abbandonerà le adesività, i picchi di interesse e sarà sempre più contestuale e capace di apprendere e sorprendere in senso adattivo… 
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> Funzionale, dunque è un giudizio che in “patologia” dovrebbe essere attentamente soppesato. “Funzionalità” del DS è un giudizio che, se riguarda lo scopo adattivo di tali produzioni-condizionamenti, suona davvero indimostrabile e pertanto altrettanto valido quanto recisamente negarlo.
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> Affermare che l’impellenza di un comunicare aumenti le stereotipie è indimostrabile. Le S aumentano (se aumentano) nel vuoto esperienziale-sperimentale. Il bambino, l'adolescente, l'adulto autistico, in una situazione che non conosce, che non sa come gestire, deve comunque esistere. L’impellenza di esistere, in assenza di competenza adattiva per gestire la novità, la inaspettata situazione, richiesta, recupera la spontaneità del suo performare ed emerge il disturbo DS nella sua essenza con l’emissione di attività ideativo comportamentali (purtroppo patologiche) che verranno prontamente performate. Poi si potrà invocare per esse e di volta in volta, l’eccitazione, la felicità, il disappunto, il rifiuto, il bisogno di… ma le spiegazioni avranno il sapore di indistinte ipotesi probatorie fondate sulla lettura psicologica dell’evento da parte dell’osservatore e mai si potrà giungere alla verifica scientifica necessaria, di causa effetto.  "La volontà", l'impulso (adattivo) di comunicare qualcosa; di funzionare a scopo, precederebbe una tale emissione o super emissione (che purtroppo non risulterebbe adeguata per i limiti che improvvisamente riguardano solo l'emissione e non l'idea che li avrebbe generati) di un dato comportamento (patologico). Il disabile elaborerebbe "una consapevolezza adattiva" che non riesce però a trasferire, a comunicare in modo competente ma che comunque decide di esternare. Nel post che abbiamo letto si riporta l’esempio che sia il dolore a far aumentare le stereotipie che essendo autolesive causerebbero... il dolore necessario alla produzione (apprezzamento endogeno) di endorfine che giustificherebbero il perpetuarsi delle emissioni. Un loop pazzesco per non ammettere più banalmente che l’attività autolesiva (con le seguenti  caratteristiche) è una stereotipia (sensoriale) e come tale (patologia afinalistica) va interrotta con proposte e sostituita con esperienze adattive.  L’abilitazione ci dà la sola soluzione oggi del DS qualsiasi sia la forna che esso assume. Studiare i meccanismi fisiopatologici che lo sostengono è corretto se non li inficiamo sovrapponendo loro ipotesi psicologiche indimostrabili e improduttive. Oltretutto attribuire, anche nei casi più severi, flash affatto estemporanei  di normalità, a fronte del nulla periodico, appare ancora una volta roccambolesco.
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> Non si può incolpare nessuno di questo moderno gusto per l’indimostrabile. Tutto il mondo scientifico attuale perora questo assurdo punto di vista piccandosi di decifrare il messaggio adattivo nell'orrore. L'"analisi funzionale"(AF) individua ciò che genererebbe "ogni" comportamento patologico (adattivo nell'intento ma disadattivo nei risultati) in esame. La conseguenza (ambientale) di esso poi sarà giudicata,  favorevole o sfavorevole, rispetto alla "funzione" che è "già presente", seppure da individuare.  Dire oggi che "questa benedetta funzione" non c'è, è incoerente rispetto a un intero processo culturale.
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> Secondo i dettati dell'arte, c'è certamente uno stress, un disagio, una frustrazione, un desiderio e via di questo passo, che scatena il comportamento problematico, stereotipie comprese (nonostante la continuità che le caratterizza). L'indimostrabile si nasconde dietro ipotesi che diventano legge. I trattati di psichiatria che studiavamo non più di una decina d'anni fa e che fanno bella mostra negli scaffali dei ns studi,  individuano la valenza clinica di  un comportamento (ad es) "ossessivo compulsivo" successivamente alla sua emissione. Le "attività ossessivo compulsive" diventavano tali solo quando il disagio della loro emissione diventava contraddizione tra vissuto e interiorità. La causa era eventualmente profonda e non facilmente individuabile o elaborabile. Era dirimente nell'uso della terminilogia psichiatrica il tipo di "consapevolezza" (qualunque questa fosse) successiva all'accesso patologico. In autismo tutta questa  dottrina salta, ma anzichè evocare dei distinguo nosografici auspicabili, accoglie una promiscuità evidente di termini in base, non pertinenti a criteri clinici rigorosi ma dettati solo dall’età del pz e dalla specialità (NPI – P – N )che se ne assume la presa in carico. Le stereotipie motorie diventano attività ossessivo compulsive; le stereotipie ideative, psicosi, allucinazioni, ecc. basta avere più di sedici-diciott’anni. 
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> Sugli altri CP non mi dilungo in quanto mi preoccupano assai meno che il DS. Essi sono la resistenza all'adattivo. E' il patologico occasionale che difende il patologico costante. Si estinguono quando l’accesso all’adattivo è francamente consueto perché sono il rito di tutela del funzionamento patologico principale. Sono il modo, assai variegato di respingere l’adattivo e riconsegnarsi al funzionamento spontaneo, attrattivo, dominante della sindrome. Ho spiegato a lungo perché e come funzionano ma vedo che non serve. Evidentemente si preferiscono le ipotesi più bizzarre alle banali, seppure faticose e impegnative, soluzioni gd l'abilitazione dimostra. Il CP si estingue quando la persona diventa flessibile, attentiva, partecipe al mondo adattivo , ad un modo altro di esistere. Per farlo bisogna contrastare l’andamento, il disfunzionare stereotipato.
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> Il giorno 01/ago/2013, alle ore 09:28, Fondazione Marino <fondazionemarino a gmail.com> ha scritto:
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