Rif: [autismo-biologia] presentazione di un caso clinico

patty lab. pattyactive a alice.it
Dom 27 Dic 2009 19:28:38 CET


Dopo aver attentamente letto questo messaggio, essendo mamma di un
adolescente, 
quindi prossima ad incontrare la realtà così ben descritta dalla dott.ssa
Daniela ,
mi auguro e auguro a tutti che il nuovo anno sia veramente migliore .
Auguri a tutta la lista

 
-------Messaggio originale------- 
 
Da: daniela marianicerati 
Data: 27/12/09 18.42.54 
A: lista autismo-biologia 
Oggetto: [autismo-biologia] presentazione di un caso clinico 
 
Dopo che Bice Chini ci ha fatto sognare prospettandoci una possibile 
recente disponibilità di farmaci che agiscono su quello che è lo 
zoccolo duro dell’autismo, la difficoltà a interagire socialmente con 
gli altri esseri umani, io tornerei al triste presente, a 
quell’aspetto dell’autismo di cui si tende a non parlare mai: la vita 
adulta. Essa occupa la gran parte della vita di queste persone che 
hanno una disabilità che mina in profondità la qualità della vita, ma 
non la quantità. Si parla sempre di piccoli e, recentemente, di 
piccolissimi, ma parlare di adulti è quasi un tabù. 
I venditori di “metodi” non ne parlano perché, in modo palese o 
velato, tendono a far credere che chi compra il loro metodo da adulto 
non avrà più problemi. 
Il SSN qualcosa fa, ma sempre meno, dall’età prescolare alla maggiore 
età, poi li abbandona. La scuola non c’è più fisiologicamente. La 
mamma fino all’ultimo respiro difende il figlio dall’abbandono, cerca 
di tenere alta, per quanto puo’, la sua qualità di vita . Ma l’ultimo 
respiro arriva e si apre un lungo periodo di vita in cui il figlio 
c’è, ma la mamma non più. 
Di questa triste realtà, tanto triste che nessuno ne vuole parlare, i 
fondatori dell’ANGSA si sono occupati fin dalla sua costituzione e 
hanno evitato di usare la parola “bambini”, usando invece la parola 
“soggetti” proprio per ricordare che la grave condizione si prolunga 
oltre l’età infantile e dura tutta la vita 
Ed ecco che un numero sempre maggiore di soci ANGSA, associazione che 
nel 2010 compie 25 anni, sono fratelli e, soprattutto, sorelle. 
Una di queste, che è sempre stata vicina al fratello, ma lo è in modo 
particolare dopo la perdita della mamma, ci esprime le sue 
preoccupazioni e ci fa notare le criticità nella gestione del fratello 
da molti punti di vista e, in particolare, nella gestione dei farmaci. 
Credo che valga la pena di esaminare il caso di questo giovane 
ultratrentenne perché credo che non sia un caso isolato. 
Dopo la morte della mamma il giovane è ospite di una struttura che si 
trova a 75 KM dalla famiglia, scelta dall’AUSL in quanto meno costosa 
di quella proposta dalla sorella, a 20 Km da casa. Nonostante questo, 
la sorella fa il possibile per essergli vicino, compatibilmente con 
gli impegni famigliari ( ha due figli piccoli) e professionali ( è 
maestra di scuola dell’infanzia) 
La sorella lo conosce molto bene e ha l’impressione che i farmaci che 
sta assumendo non gli facciano bene. Sappiamo che i farmaci sono solo 
sintomatici e il parere di chi conosce il paziente da molti anni, che 
è in sintonia con lui, che con lui sa “comunicare” nonostante tutto, 
dovrebbe essere la guida della terapia. 
I farmaci sono 
Mattino: 1) EN fiale da 2 ml dose 1/2 fiala, 2) DISIPAL dose 1 compressa, 3)

PROZIN da 100 mg dose 1/2 compressa. Dopo pranzo: 1) EN fiale da 2 ml dose 
1/2 fiala, 2) PROZIN 1/2 compressa. Sera: 1) EN da 5 ml dose 1 fiala, 2) 
PROZIN dose 2 compresse, 3) DALMADORM dose 2 compresse. 
 
Tra i neurolettici è stato scelto il Prozin, la clorpromazina, il più 
vecchio dei neurolettici, quello dotato di maggior potere sedativo, 
almeno nella popolazione degli schizofrenici. Con la clorpromaziona, 
per quanto mi risulta, non è stata fatta nessuna sperimentazione sulle 
persone con autismo. La scelta sarà stata fatta per sfruttare il 
potere sedativo? O perché costa 2,01 euro per 20 compresse da 100 mg. 
di contro ai 156,01 euro del risperidone 3 mg 60 compresse? 
Abbiamo già discusso a lungo sull’uso dei neurolettici nelle persone 
autistiche. E’ chiaro che il singolo caso va esaminato a sé. Ma se la 
sorella dice che non vede bene il fratello, il curante non dovrebbe 
ignorare questa fonte, che è la più attendibile, ora che la mamma non 
c’è più. 
Ma chi è il curante? 
Copio un altro messaggio della sorella 
“la responsabilità medica della psichiatra è rivolta soprattutto a 
persone sofferenti di schizofrenia, Per quanto riguarda mio fratello, 
la responsabilità è dell’assistente sociale che si occupa 
dell'handicap adulto, che richiede la sua collaborazione per 
continuare la terapia prescritta nel 2007 dopo il ricovero in diagnosi 
e cura, in un momento di acuzie, terapia che a loro parere deve 
continuare per evitare un altro ricovero” 
 
Dunque: apparentemente il pz. è seguito da un medico specialista, che 
dovrebbe sapere attualizzare la prescrizione di psicofarmaci, ma in 
realtà la psichiatra non sente il pz come suo, non si impegna ad 
aggiornare la terapia, continua a prescrivere i farmaci dati alla 
dimissione da un ricovero del 2007. 
Non tiene in nessuno conto quanto dice l’attenta e affettuosa sorella 
e, qualunque cosa succeda, pare che il pz sia condannato a continuare 
questa cura vita natural durante. 
E se il pz non è della psichiatra della struttura, di chi è? 
 
Una situazione del tutto simile è descritta nel libro “Il mondo di 
Sergio”, Mauro Paissan, Fazi Editore, Roma, marzo 2008, 184 pagine, 16 
euro. 
Copio qualche riga dalla recensione che ho pubblicato sul bollettino 
dell’angsa, anno XX, 1-2 2008, 79-80 
“Un’altra situazione, che non è solo di Sergio, ma dell’intera 
categoria delle persone autistiche divenute adulte: non sono di 
competenza di nessuno. 
Sergio aggredisce, distrugge, è agitatissimo. Dovrebbe avere il pieno 
diritto ad essere ricoverato nel reparto di Psichiatria e a ricevere 
qui la cura per l’emergenza e l’avviamento ad una cura e/o ad un luogo 
di cura a lui adatto dopo il momento acuto. 
No. Ai genitori viene detto “ questo non è il suo posto. E’ un 
handicappato e quindi non è di competenza psichiatrica” Ma non viene 
visitato e preso in carico da qualche servizio o professionista che lo 
ritenga poi di sua competenza. Viene semplicemente dimesso e 
riaffidato ai genitori che devono fornire l’assistenza che nessun 
servizio è capace di fornire. 
Anche questa situazione è la regola e non l’eccezione. Le persone 
autistiche adulte, a parte lodevoli eccezioni, non sono di nessuno. I 
servizi di neuropsichiatria infantile non li vogliono perché hanno 
superato l’età, i servizi di psichiatria adulti non li vogliono perché 
sono handicappati ed evidentemente l’onore di essere da loro curati lo 
hanno solo persone brillanti e intelligenti. Eppure ad un certo punto 
del libro c’è un elenco lunghissimo di farmaci psicotropi, di cui per 
Sergio è stata verificata l’inefficacia o, spesso, l’effetto 
paradosso. Non si capisce chi, se non gli psichiatri, li dovrebbe 
prescrivere, sospendere, monitorarne gli effetti collaterali, 
adattarne il dosaggio” 
 
Il problema della gestione dei farmaci, che dovrebbe far parte di una 
gestione globale della persona con autismo, e non essere sostitutiva 
dell’ assenza di un progetto abilitativo/educativo, riguarda la quasi 
generalità degli adulti con autismo. 
Sino ad ora si è fatta la politica dello struzzo. C’è qualche segnale 
positivo che spero venga imitato: la creazione di Centri Autismo che 
non pongono limiti di età, come è avvenuto a Rimini e a Mondovì e come 
sta avvenendo col nascente Centro di Ravenna. Si spera che, con la 
nascita di questi centri, gli adulti non continuino ad essere figli di 
nessuno. 
E sperando, come vuole il periodo, in un anno migliore, auguro buon 
anno a tutti gli iscritti alla lista 
Daniela 
 
 
 
 
 
 
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