[autismo-biologia] presentazione di un caso clinico

daniela marianicerati marianicerati a yahoo.it
Dom 27 Dic 2009 18:15:54 CET


Dopo che Bice Chini ci ha fatto sognare prospettandoci una possibile
recente disponibilità di farmaci che agiscono su quello che è lo
zoccolo duro dell’autismo, la difficoltà a interagire socialmente con
gli altri esseri umani, io tornerei al triste presente, a
quell’aspetto dell’autismo di cui si tende a non parlare mai: la vita
adulta. Essa  occupa la gran parte della vita di queste persone che
hanno una disabilità che mina in profondità la qualità della vita, ma
non la quantità. Si parla sempre di piccoli e, recentemente, di
piccolissimi, ma parlare di adulti è quasi un tabù.
I venditori di “metodi” non ne parlano perché, in modo palese o
velato, tendono a far credere che chi compra il loro metodo da adulto
non avrà più problemi.
Il SSN qualcosa fa, ma sempre meno, dall’età prescolare alla maggiore
età, poi li abbandona. La scuola non c’è più fisiologicamente. La
mamma fino all’ultimo respiro difende il figlio dall’abbandono, cerca
di tenere alta, per quanto puo’, la sua  qualità di vita . Ma l’ultimo
respiro arriva e si apre un lungo periodo di vita in cui il figlio
c’è, ma la mamma non più.
Di questa triste realtà, tanto triste che nessuno ne vuole parlare, i
fondatori dell’ANGSA si sono occupati fin dalla sua costituzione e
hanno evitato di usare la parola “bambini”, usando invece la parola
“soggetti” proprio per ricordare che la grave condizione si prolunga
oltre l’età infantile e dura tutta la vita
Ed ecco che un numero sempre maggiore di soci ANGSA, associazione che
nel 2010 compie 25 anni,  sono fratelli e, soprattutto,  sorelle.
Una di queste, che è sempre stata vicina al fratello, ma lo è in modo
particolare dopo la perdita della mamma, ci esprime le sue
preoccupazioni e ci fa notare le criticità nella gestione del fratello
da molti punti di vista e, in particolare, nella gestione dei farmaci.
Credo che valga la pena di esaminare il caso di questo giovane
ultratrentenne perché credo che non sia un caso isolato.
Dopo la morte della mamma il giovane è ospite di una struttura che si
trova a 75 KM dalla famiglia, scelta dall’AUSL in quanto meno costosa
di quella proposta dalla sorella, a 20 Km da casa. Nonostante questo,
la sorella fa il possibile per essergli vicino, compatibilmente con
gli impegni famigliari ( ha due figli piccoli) e professionali ( è
maestra di scuola dell’infanzia)
La sorella lo conosce molto bene e ha l’impressione che i farmaci che
sta assumendo non gli facciano bene. Sappiamo che i farmaci sono solo
sintomatici e il parere di chi conosce il paziente da molti anni, che
è in sintonia con lui, che con lui sa “comunicare” nonostante tutto,
dovrebbe essere la guida della terapia.
I farmaci sono
Mattino: 1) EN fiale da 2 ml dose 1/2 fiala, 2) DISIPAL dose 1 compressa, 3)
PROZIN da 100 mg dose 1/2 compressa. Dopo pranzo: 1) EN fiale da 2 ml dose
1/2 fiala, 2) PROZIN 1/2 compressa. Sera: 1) EN da 5 ml dose 1 fiala, 2)
PROZIN dose 2 compresse, 3) DALMADORM dose 2 compresse.

Tra i neurolettici è stato scelto il Prozin, la clorpromazina, il più
vecchio dei neurolettici, quello dotato di maggior potere sedativo,
almeno nella popolazione degli schizofrenici. Con la clorpromaziona,
per quanto mi risulta, non è stata fatta nessuna sperimentazione sulle
persone con autismo. La scelta sarà stata fatta per sfruttare il
potere sedativo? O perché costa 2,01 euro per 20 compresse da 100 mg.
di contro ai 156,01 euro del risperidone 3 mg 60 compresse?
Abbiamo già discusso a lungo sull’uso dei neurolettici nelle persone
autistiche. E’ chiaro che il singolo caso va esaminato a sé. Ma se la
sorella dice che non vede bene il fratello, il curante non dovrebbe
ignorare questa fonte, che è la più attendibile, ora che la mamma non
c’è più.
Ma chi è il curante?
Copio un altro messaggio della sorella
“la  responsabilità medica della psichiatra è rivolta soprattutto a
persone sofferenti di schizofrenia, Per quanto riguarda mio fratello,
la responsabilità è dell’assistente sociale che si occupa
dell'handicap adulto, che richiede la sua collaborazione per
continuare la terapia prescritta nel 2007 dopo il ricovero in diagnosi
e cura, in un momento di acuzie, terapia che a loro parere deve
continuare per evitare un altro ricovero”

Dunque: apparentemente il pz. è seguito da un medico specialista, che
dovrebbe sapere attualizzare la prescrizione di psicofarmaci, ma in
realtà la psichiatra non sente il pz come suo, non si impegna ad
aggiornare la terapia, continua a prescrivere i farmaci dati alla
dimissione da un ricovero del 2007.
Non  tiene in nessuno conto quanto dice l’attenta e affettuosa sorella
e, qualunque cosa succeda, pare che il pz sia condannato a continuare
questa cura vita natural durante.
E se il pz non è della psichiatra della struttura, di chi è?

Una situazione del tutto simile è descritta nel libro “Il mondo di
Sergio”, Mauro Paissan, Fazi Editore, Roma, marzo 2008, 184 pagine, 16
euro.
Copio qualche riga dalla recensione che ho pubblicato sul bollettino
dell’angsa, anno XX, 1-2 2008, 79-80
“Un’altra situazione, che non è solo di Sergio, ma dell’intera
categoria delle persone autistiche divenute adulte: non sono di
competenza di nessuno.
Sergio aggredisce, distrugge, è agitatissimo. Dovrebbe avere il pieno
diritto ad essere ricoverato nel reparto di Psichiatria e a ricevere
qui la cura per l’emergenza e l’avviamento ad una cura e/o ad un luogo
di cura a lui adatto dopo il momento acuto.
No. Ai genitori viene detto “ questo non è il suo posto. E’ un
handicappato e quindi non  è di competenza psichiatrica”  Ma non viene
visitato e preso in carico da qualche servizio o professionista che lo
ritenga poi di sua competenza. Viene semplicemente dimesso e
riaffidato ai genitori che devono fornire l’assistenza che nessun
servizio è capace di fornire.
Anche questa situazione è la regola e non l’eccezione. Le persone
autistiche adulte, a parte lodevoli eccezioni, non sono di nessuno. I
servizi di neuropsichiatria infantile non li vogliono perché hanno
superato l’età, i servizi di psichiatria adulti non li vogliono perché
sono handicappati ed evidentemente l’onore di essere da loro curati lo
hanno solo persone brillanti e intelligenti. Eppure ad un certo punto
del libro c’è un elenco lunghissimo di farmaci psicotropi, di cui per
Sergio è stata verificata l’inefficacia o, spesso, l’effetto
paradosso. Non si capisce chi, se non gli psichiatri, li dovrebbe
prescrivere, sospendere, monitorarne gli effetti collaterali,
adattarne il dosaggio”

Il problema della gestione dei farmaci, che dovrebbe far parte di una
gestione globale della persona con autismo, e non essere sostitutiva
dell’ assenza di un progetto abilitativo/educativo, riguarda la quasi
generalità degli adulti con autismo.
Sino ad ora si è fatta la politica dello struzzo. C’è qualche segnale
positivo che spero venga imitato: la creazione di Centri Autismo che
non pongono limiti di età, come è avvenuto a Rimini e a Mondovì e come
sta avvenendo col nascente Centro di Ravenna. Si spera che, con la
nascita di questi centri, gli adulti non continuino ad essere figli di
nessuno.
E sperando, come vuole il periodo, in un anno migliore, auguro buon
anno a tutti gli iscritti alla lista
Daniela



      


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