Il
forum autismo-biologia è un forum creato da ANGSA per fare discuter
di autismo medici, professionisti della Sanità e ricercatori. Il
motivo della scelta del sostantivo “biologia” e non “medicina”
è dovuto al fatto che la medicina è anche riabilitazione e la
riabilitazione sconfina con l’educazione. Per questo i
professionisti della sanità che desiderano discutere di problemi
riabilitativi possono farlo nel forum autismo-scuola. Naturalmente
ogni iscritto al forum è libero di parlare di ciò che vuole, per
cui alcuni temi trattati esulano dalla biologia in quanto tale e
possono interessare tutti coloro che hanno a che fare con l’autismo.
Il dibattito che si è sviluppato sull’autismo in età adulta, sul
rapporto tra risultati a lungo termine dei diversi trattamenti e
conoscenza di questa realtà al momento attuale ci pare di tale
interesse che valga la pena divulgarlo oltre la comunità degli
iscritti a detto forum.
21
maggio 2013
Pur
comprendendo la complessità e i criteri di rigore statistico e
scientifico necessari, che molto probabilmente rendono la domanda
poco pertinente, vi chiedo se esistono studi e ricerche recenti che
mettano in relazione le terapie di intervento educativo precoci con
gli outcomes negli adulti Armando
21
maggio 2013
Qualche
tempo fa occupandomi dello stesso argomento ho trovato questi lavori,
probabilmente ce ne sono altri:
-
Mc Govern, Sigman. Continuity and change from early childhood to
adolescence in autism. Journal of Child Psychology and Psychiatry
46:4 (2005) -
Billstedt, Gillberg, Gillberg. Autism in adults: symptom patterns and
early childhood predictors. Use od the DISCo in a community sample
followed from childhood. Journal of Child Psychology and Psychiatry
48:11 (2007) -
Mailick Seltzer et al. The Symptoms of Autism Spectrume Disorders in
Adlescence and Adulthood. Journal
of Autism and Developmental Disorders, Vol 33. n 6, december 2003
inoltre
materiale interessante si può trovare nelle linee guida NICE del
2011: Autism Recognition, referral, diagnosis and management of
adults on the autism spectrum
Cordiali
saluti
Dr Daniele Arisi Responsabile Unità Operativa di
Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza Azienda
Istituti Ospitalieri di Cremona
22
maggio 2013
Nel
2011 è stato pubblicato un importante lavoro che, nell’ambito
della rassegna critica della letteratura sulle terapie dello spettro
autistico pubblicata nella decade 2000 - 2010, si pone lo stesso
problema posto da Armando nel messaggio di ieri
Warren
Z, Veenstra-VanderWeele J, Stone W, Bruzek JL, Nahmias AS, Foss-Feig
JH, Jerome RN, Krishnaswami S, Sathe NA, Glasser AM, Surawicz T,
McPheeters ML. Therapies for Children With Autism Spectrum Disorders.
Comparative Effectiveness Review No. 26. (Prepared by the Vanderbilt
Evidence-based Practice Center under Contract No. 290-2007-10065-I.)
AHRQ Publication No. 11-EHC029-EF. Rockville, MD: Agency for
Healthcare Research and Quality. April 2011. Available at:
www.effectivehealthcare.ahrq.gov/reports/final.cfm.
Più
che dare risposte il lavoro evidenzia le molte domande a cui ora non
si puo’ dare risposta.
Il
follw up delle terapie, quando c’è, è di pochi mesi o pochi anni
e la migliore qualità di vita in età adulta di chi è stato
trattato precocemente con gli approcci più evidence based per ora
resta un auspicio, ma non una realtà documentata.
Il
lavoro si conclude con una raccomandazione per le ricerche future
“Future
studies should extend the follow up period and assess the degree to
which outcomes are durable”
Gli
studi futuri dovrebbero estendere il periodo di osservazione e
determinare in quale misura i risultati dell’intervento sono
duraturi nel lungo periodo.
Daniela
Mariani Cerati
22
maggio 2013
Poichè
il Laboratorio Autismo del Dipartimento che dirigo raccoglie e
analizza sistematicamente, da quasi 20 anni, tutta la
letteratura sul tema dell'outcome negli adulti, mi sento quasi in
obbligo di intervenire. Opportunamente la dott.ssa Mariani Cerati
segnala il lavoro di Warren e coll, uno dei migliori tra quelli
recenti, cui aggiunge sagge considerazioni. Del resto, chi si
sobbarcasse la fatica di leggere per esteso le Linee Guida NICE,
citate in un intervento precedente da un altro collega, dopo molte
centinaia di pagine, qualche fatica e più di un malumore,
arriverebbe più o meno alle stesse conclusioni: si sa poco, le
evidenze sono deboli e la situazione è molto confusa.
Ciò
premesso, provo a fornire uno sguardo generale. Lo stato delle
conoscenze, a grandi linee, è riassumibile così:
1.
Stabilire un rapporto tra trattamenti ed outcome complessivo in un
ambito come l'autismo è comunque un compito non facile, almeno se si
cerca di uscire dalla logica da stadio (o del business). Un
bell'articolo di Lancet 3 anni fa metteva bene in luce le molte e
insuperate debolezze intrinseche in questo campo
2. A
breve termine ci sono prove abbastanza consistenti di efficacia sia
per alcuni trattamenti intensivi comportamentali precoci (EIBI), sia
per interventi psicoeducativi, sia per interventi specifici e
strutturati di tipo evolutivo. (LG ISS 2012)
3.
Sempre a breve termine, non vi è invece evidenza di una "gerarchia"
tra i diversi trattamenti precoci che hanno dimostrato una loro
efficacia (LG ISS 2012; Howlin et al 2009) su diversi aspetti della
complessa condizione umana "autismo"..
4. A
lungo termine, poi, l'outcome è ancora meno facilmente correlabile
alla singola tipologia di intervento (anche per l'ovvia
ulteriore complessità dei fattori in gioco); paradossalmente (ma
fino ad un certo punto) ciò è particolarmente vero per i casi che
vanno "molto bene", come già vecchi studi di popolazione
avevano mostrato. Come ricordava Mariani Cerati, di fatto disponiamo
di pochissime evidenze. E' tuttora più facile indicare i predittori
di un outcome povero (QI>70, grave compromissione del linguaggio,
comorbidità importanti, nessun intervento specifico...)che
quelli di un outcome buono
5.
Cominciano tuttavia a comparire evidenze (anche se deboli) che
interventi abilitativi precoci e specifici continuati
coerentemente nel tempo, anche dopo l'età evolutiva, possano sortire
esiti migliori
6.
Ciò che sembra fare la differenza parrebbe non il singolo
trattamento, ma la coerenza, specificità, sistematicità, durata nel
tempo e continuità del progetto, in una atmosfera generale di
sostegno e accompagnata dalla organizzazione di contesti adatti. Se
queste condizioni sono soddisfatte, si osservano lenti ma
significativi spostamenti verso l'alto nella scala di autonomia e
capacità adattativa (Howlin 2006)
7.In
sostanza non vi è intervento che di per sè consenta di uscire
dall'autismo (condizione peraltro ben più complessa e con radici
biologiche ben più forti dei deboli strumenti di cui
disponiamo); ma in contesti adatti, con interventi specifici (cioè
centrati sulle caratteristiche del funzionamento della mente
autistica) e, come si diceva, all'interno di una progettuàlità
coerente e continuata nel tempo le persone autistiche possono
continuare un loro percorso di crescita e, in alcuni casi, anche
sviluppare capacità sorprendenti.
8.
In presenza di adeguati servizi, contesti ed interventi è
stato ripetutamente dimostrato infatti che sono possibili
importanti e misurabili miglioramenti anche in età giovanile-adulta
in diverse aree sintomatologiche e competenze: nella comunicazione
verbale e non verbale, nell'uso appropriato degli oggetti, nella
tolleranza ai cambiamenti, nella partecipazione ad attività
collettive (Schoepler e Mesibov 1989) nella reciprocità sociale
e comunicativa (Orsi et al 2011), in tutti i domini dell' ADI-R
(Seltzer 2003), in tutte le aree della Vineland (Orsi et al 2008,
2012); miglioramenti non solo dunque nei comportamenti, ma nella
qualità di vita complessiva, perfino in aree che costituisco il
"nucleo duro" dell'autismo, come la reciprocità sociale e
comunicativa
9.
A fronte di queste evidenze la maggioranza degli studi riflette
invece lo stato disastroso dei contesti e dei servizi; il panorama
drammatico che ne deriva (ben noto peraltro alle famiglie) testimonia
come in assenza di condizioni (contesti, progettualità,
interventi) adeguate il giovane adulto e l'adulto con autismo
vadano incontro spesso ad una perdita anche delle capacità prima
acquisite, talvolta ad un aggravamento dei sintomi, alla comparsa di
co-morbidità, ad un peggioramento complessivo della qualità di
vita, loro e dei care-givers (Engstrom 2003; Howlin 2004; Billsteldt
2005 e 2007; Mugno 2007.......)
10.
Dunque: non
bastano buoni interventi infantili per modificare sostanzialmente
l'evoluzione delle vite delle persone con autismo
11.
L'autismo in definitiva è un'area in cui non solo l'adeguatezza, ma
la continuità e la coerenza dei contesti e degli interventi fa,
a lungo andare la differenza. La continuità è fondamentale: è un
errore grave pensare che il destino delle persone con autismo cambi
solo con interventi limitati all'infanzia, che ci sia una "tecnica"
di per sè risolutiva e che dopo l'età evolutiva non ci sia più
niente da fare. Ciò comporta l'abbandono dei giovani e
adulti autistici in una dimensione puramente
"assistenziale", come vuoti a perdere. Questa
impostazione non ha alcun fondamento in quanto finora si conosce.
Come
ha scritto Howlin "on the whole, it would appear that the huge
increase
in education facilities forchildren
ha not
resulted in a signifiant general improvement in outcome for adults"
(2006). Così
come l'autismo, anche il lavoro per l'autismo dura, quasi
sempre, tutta la vita.
Molti
cordiali saluti a tutti
Francesco
Barale
Prof.Francesco
Barale Ordinario di Psichiatria Direttore Brain and Behavior
Sciences Department
Università
di Pavia tel: ++39 0382 987 250 - 246 fax: ++39 0382
987570 mailto: [email protected]
23
maggio 2013
Concordo
con le riflessioni del Prof Barale.
L’intervento
precoce può migliorare e modificare alcuni aspetti dell’autismo,
rendendo il bambino più aperto flessibile curioso rispetto alle
persone e all’ambiente, sviluppare abilità e interessi. Vi possono
essere anche modifiche alla diagnosi iniziale.
Ma
sarebbe riduttivo parlare solo di intervento precoce se non si pensa
che i contesti di vita devono essere essi stessi lo stimolo per il
mantenimento di abilità, interessi e soddisfazione.
Non
si può pensare a comparti stagni nel progetto di vita delle persone
con autismo che hanno la necessità di una mediazione sociale, per l’
inserimento nei vari ambienti. Una mediazione che si può sfumare o
incrementare a seconda dei cambiamenti e apprendimenti da proporre.
Quando mi capita di sentire di persone con autismo che svolgono
lavori veri e utili mi si allarga il cuore, quando visito Centri
Diurni e vedo che vengono proposte attività stereotipate, che
vengono riproposte come riempitivo mi deprimo. Ma gli interessi
stereotipati dovrebbero essere una caratteristica dell’autismo e
non dei Centri Diurni.
Purtroppo
la mentalità e la distanza dai bisogni delle persone con autismo
in molti centri diurni e residenziali, che svolgono attività
puramente assistenziali, non aiutano il mantenimento e lo sviluppo
delle abilità acquisite.
Molti
dei nostri ragazzi dopo la fine della scuola si deprimono e quando si
perdono interessi, si perde anche la gioia di vivere e compaiono le
regressioni.
C’è
ancora tanta strada da fare.
Sonia
Zen Presidente Angsa Veneto
24
maggio 2013
Credo
che i tempi siano ormai maturi per iniziare a parlare di adulti in
modo diverso. Il Prof. Barale, con ragione, si sente chiamato
in causa. Egli, più di altri, ha contribuito ad iniziare la
riflessione sulla imprescindibilità della presa in carico sanitaria.
Ciò che egli chiama la regia del progetto di vita.
Allora
vi è da chiedersi perchè le famiglie non mettano in campo la stessa
determinazione che si è prodotta per ottenere la Linea Guida,
l’Accordo della conferenza unificata, le richieste di Programmi per
l'autismo in quasi tutte le regioni, per pretendere che l'autismo
adulto venga affidato alle Psichiatrie, oppure che i vari
Programmi Autismo mantengano la presa in carico anche in età
adulta ( ad esempio il servizio del Dr. Arduino ). E' solo
il logorio di anni di accudimento che porta i genitori ad abbandonare
l'impegno? Stanchezza, età che avanza e che richiederebbe
fisiologicamente che i figli non avessero più bisogno di noi, ma non
solo. A me pare che vi sia altro. A me pare che gran parte del mondo
scientifico non supporti a sufficienza la cultura dell'abilitazione
dopo l'infanzia.
Come
in un gioco dell'oca, arrivati alla casella "ADULTI", si
torna indietro. In quasi tutto il territorio nazionale l'affidamento
al sociale ha prodotto l'appiattimento di cui tanto ci lamentiamo.
Abbiamo
servizi che, pur nell'assistenzialismo di vecchia memoria, adottano
approcci che si rivelano più vantaggiosi per la Disabilità
Intellettiva in generale, ed invece persone con autismo
che, lasciate senza intervento specifico, rischiano l'involuzione.
Ma,
quando si relaziona ai convegni, parlare di età adulta significa,
troppo spesso, l'esposizione di esperienze dalle quali non si
traggono riferimenti indicatori di particolari metodologie di
intervento.
Negli
adulti pesiamo la validità degli interventi troppo
spesso attraverso una scala di valutazione riguardante
l'accoglienza, l'empatia degli Operatori, un ipotetico benessere
dell'assistito misurato quasi unicamente sull'assenza di
comportamenti disadattivi .. Giovani vite all'ingrasso per le
quali fare merenda è già un diversivo, perchè nulla di meglio si
offre loro.
Giovani
che occupano uno spazio, più che vivere. Ho visto Educatori tagliare
e sbucciare una mela ad una intera tavolata di disabili, fra cui un
ragazzo che a casa assolve autonomamente questa incombenza. Ma ho
anche visto troppi genitori che tacciono e si adeguano.
Credo
che dobbiamo iniziare a cambiare le cose da dentro: usufruire dei
Servizi perchè questo offre il menù, ma continuare a pretendere
trattamenti e non assistenza. Proporre, stimolare alla formazione,
farsi partner dei cambiamenti, coinvolgendo gli Operatori e le
dirigenze, per quanto possiamo.
Proporre
progetti personalizzati per i ragazzi più capaci, senza acquistare
il comodo pacchetto take away, anche se inizialmente costa
impegno della famiglia.
Dagli Esperti
deve venire però un messaggio chiaro: anche in età adulta
occorre lavorare, sia per consolidare sia per migliorare le abilità.
Se si profondessero le stesse energie dedicate all'infanzia, credo
che potremmo avere anche molti più studi cui riferirci, ma qui il
cerchio si chiude: chi dovrebbe dedicarsi a questi studi se non
sappiamo neppure chi debba occuparsi dell'età adulta?
Ecco
allora che torniamo al discorso iniziale: senza una regìa non vi è
progetto adeguato, nè monitoraggio o responsabilità degli
esiti.
Ecco
perchè credo inutile ogni altra riflessione, se prima non ci
occupiamo seriamente di ottenere una presa in carico sanitaria.
Eppure, in questa battaglia spesso mi sento sola, perchè per
molti genitori l'affidamento ai servizi sociali o a generici servizi
per la disabilità è già sufficiente. E questo è comodo e
funzionale all'attuale programmazione socio sanitaria, in un'ottica
miope che non valuta il costo della mancanza di autonomia che tali
servizi produrranno.
Solo
un forte movimento culturale, che partendo dagli Esperti più
autorevoli coinvolga le famiglie, credo possa cambiare le cose. Ma
sulle resistenze del mondo psichiatrico qualche autorevole voce ha
già espresso le sue riserve.
Dobbiamo
disperare? Qualcuno degli Esperti della lista offre una
testimonianza più ottimistica?
Grazie
dell'ascolto
Noemi
Cornacchia
Presidente
angsa Emilia Romagna
Le
molte valenze del lavoro
Nel libro della Genesi il
lavoro è presentato come una maledizione. In conseguenza del
peccato Dio dice ad Adamo: ”Lavorerai col sudore della fronte”.
Noi sappiamo che il lavoro ha talvolta questa caratteristica di
fatica, di costrizione, di penoso dovere contrapposto al piacere, ma
sappiamo anche che il lavoro ha tante valenze positive: la
soddisfazione di vedere il risultato del proprio lavoro, qualunque
esso sia, l’incontro con altre persone con le quali possono nascere
belle amicizie, un fattore che dà un ritmo alla giornata e
aumenta l’autostima, un valido motivo per alzarsi alla mattina,
oltre naturalmente alla soddisfazione dello stipendio alla fine del
mese.
Se questo è valido
per tutti, lo è molto di più per chi ha poche risorse.
Chi infatti ha cultura, interessi, amici, fantasia e soldi, sa
benissimo come passare piacevolmente il tempo anche senza lavorare,
ma questo non vale per chi non ha queste fortunate caratteristiche.
Al
convegno di Modena del 5 febbraio 2011 ad un certo punto c’è
stato un applauso
che non finiva più. Chi passava di lì poteva pensare
che l’Italia
avesse vinto ai mondiali. No! Veniva annunciata una vittoria molto
più grande. Ingrid Bonsi, dell’ASL di Bologna, aveva
ricevuto l’applauso
dopo avere detto “In giugno abbiamo ricevuto una telefonata che ci
comunicava che avevano intenzione di assumere Andrea alla cucina
dell’ospedale
con un regolare stipendio”
Dunque
è possibile. E speriamo che Andrea sia il primo di una lunga
serie. So
per certo che Ingrid, dopo questo successo, non vede l’ora di
cominciare
un altro inserimento per procurare alla nazione un altro contribuente.
Ma sentiamo la bella storia dalla viva voce di Ingrid
Nel
2008 l’ANGSA Emilia Romagna ha organizzato due convegni sul lavoro
delle persone con autismo.La videoregistrazione integrale dei convegni
è ai seguenti link
Mentre per
l’integrazione
dei bambini e adolescenti si ha un interlocutore privilegiato che è
la scuola, per gli adulti i luoghi di lavoro devono corrispondere
alle diverse inclinazioni della persona disabile, così come avviene
per ogni cittadino lavoratore.
Un lavoro che si addice a
molte persone con disturbi dello spettro autistico è
l’alimentarista, l’addetto a qualche mansione in ambienti in cui
si prepara del cibo.
Il lavoratore, in genere
di buon appetito, trova nell’ambiente stesso e nella finalità del
lavoro lo stimolo e la motivazione, ma deve essere educato a
rispettare le regole dell’igiene e della prevenzione delle
tossinfezioni alimentari.
Nell’ASL di Bologna si è
creata una collaborazione molto costruttiva tra la Neuropsichiatria
Infantile, l’Handicap Adulti, il Dipartimento di Salute Mentale e
il Servizio di Igiene degli Alimenti e Nutrizione del Dipartimento di
Sanità Pubblica dell’ASL.
Quest’ultimo ha
segnalato ai Servizi le cucine industriali più adatte alle esigenze
dell’utente e ha educato l’educatore di sostegno al rispetto
delle regole di igiene in modo che l’educatore le trasferisse poi
all’utente.
Questa collaborazione è
stata così coinvolgente che il Direttore del Servizio di Igiene
degli Alimenti e Nutrizione dell’ASL, Dottoressa Emilia Guberti, ha
potuto tenere una relazione ad un convegno sulla disabilità il
cui tema generale era “Equità d’accesso come sfida nei Servizi
sanitari e socio-sanitari”
Per
le persone con disturbi dello
spettro autistico devono valere gli stessi principi che guidano
l’esistenza dei cittadini in generale.
Il lavoro dovrebbe essere uno degli
elementi fondamentali dell’essere adulto, ma per ogni persona
bisogna rispettare le sue abilità e preferenze.
Per un inquadramento generale del
significato che il lavoro puo’ assumere per le persone con autismo,
anche a prescindere dalla riscossione dello stipendio, rimandiamo ad
un articolo del 2005 pubblicato sulla rivista “Integrazione
scolastica e sociale” della Erickson
Come
esperienze italiane, dopo avere
presentato alcune possibilità offerte dalle cucine delle mense,
pubblichiamo due testimonianze che riguardano il lavoro in
biblioteca.
La biblioteca puo’ offrire del lavoro
sia a persone con abilità di alto livello, competenti nell’uso del
computer, sia a persone meno dotate, che un Direttore intelligente e
solidale sa mantenere sempre in esercizio, evitando quella noia e
quell’inedia che sono alla base di tanti comportamenti problema,
anche molto gravi.
Esperienza Numero 1
Alberto
sta frequentando l’ultimo
anno di scuola secondaria superiore di secondo grado. Ha imparato
bene a usare il computer e dall’anno scorso frequenta per due
mattine la settimana una biblioteca dove ha il compito di
scannerizzare gli indici di tutti i libri.
Lo scorso anno si è fatto tanto
apprezzare che la direttrice gli ha proposto un tirocinio estivo di
un mese, con la retribuzione che si dà solitamente agli studenti
universitari che prestano un servizio occasionale nell’ambito
dell’Università.
Su questa esperienza hanno dato un loro
parere i genitori di Alberto e l’educatrice Ingrid Bonsi, la stessa
che ha guidato Andrea nel percorso che ha fatto di lui un cittadino
che lavora e paga le tasse
Ringraziando
per la possibilità di
accedere alla relazione di Ingrid Bonsi, desideriamo far conoscere la
nostra recente esperienza in materia di inserimento lavorativo ed
integrazione; infatti nostro figlio Alberto di 17 anni, che frequenta
il 4° anno delle Superiori, a seguito di un progetto di formazione
lavorativa previsto dalla Provincia di Bologna (PIAFST), ha iniziato
quest'anno un percorso presso una Biblioteca dell'Università di
Bologna. Grazie alla preziosa opera dell'educatore Piero Gatto ed
alla capacità di accoglienza dell'ambiente in cui è stato inserito,
Alberto ha cominciato ad offrire la sua collaborazione in campo
informatico provvedendo a digitalizzare i contenuti di alcuni testi
che poi vengono messi a disposizione degli studenti. Il progetto è
andato avanti molto bene tanto è che alla fine della scuola, insieme
alla NPI dott.ssa Agazzi, alla Pedagogista, dott.ssa Pesavento ed
all'educatore, è stata data la possibilità ad Alberto, per il
periodo estivo, di una Borsa Lavoro che gli permettesse di
proseguire nel suo percorso di integrazione. Ovviamente tutto questo
non
sarebbe stato possibile se anche l'Università di Bologna non
avesse dato la sua disponibilità ad accogliere il ragazzo.
Quest'esperienza permetterà ad Alberto di affinare le sue capacità
e di ampliare le sue conoscenze; soprattutto gli permetterà di
impegnare il proprio tempo adesso che è finita la scuola. Proprio
come dice Daniela, "Trovare una mansione, scandire il tempo
della giornata, avere un motivo per alzarsi dal letto alla
mattina e stare insieme ad altre persone sono già dei valori....".
Speriamo che in futuro iniziative di questo tipo diventino la regola
e non un'eccezione.
I genitori di Alberto
La
parola all’educatrice
professionale dell’ASL Ingrid Bonsi
Sono
molto contenta che la borsa lavoro
di Alberto sia stata un successo.
Alberto è un ragazzo in gamba
con buone competenze. Se supportato adeguatamente sono certa che
potrà avere grandi soddisfazioni personali (e anche mamma e
papà!).
Anche questa esperienza è risultata essere positiva
perchè tutti gli attori coinvolti (famiglia, scuola, ente di
formazione, ausl, università) hanno collaborato attivamente facendo
rete.
Come nel caso di Andrea, anche qui quello che ha fatto la
differenza (oltre alla professionalità di Piero Gatto e di Chiara
Pesavento) è stato l'ambiente che ha accolto Alberto, un Ente
Pubblico che ha veramente accettato di essere pubblico.
Andrebbe
promossa ulteriormente questa cultura dell'accoglienza nelle aziende,
sia pubbliche che private. Un po' ci sta provando la Coop. CSAPSA con
i progetti sulla responsabilità d'impresa, premiando ogni anno
aziende che si dimostrano "più responsabili" e più
collaborative nei progetti d'integrazione.
Complimenti ancora ad
Alberto!
Ingrid Bonsi
Esperienza Numero 2
Roberta
ha cominciato a frequentare una
biblioteca comunale un giorno alla settimana quando frequentava la
scuola superiore.
La direttrice e le impiegate l’hanno
sempre accolta con simpatia e non le hanno mai permesso di passare le
ore in biblioteca in ozio che, come dice Bendetto da Norcia, è
“nemico dell’anima”.
Finita la scuola, è stato stipulato un
contratto tra l’ASL e la biblioteca per continuare la frequenza
della stessa come “riabilitazione in situazione”
Ora Roberta ha trent’anni e continua
a frequentare la stessa biblioteca.
Roberta usufruisce di un coordinamento
pedagogico da parte di una educatrice esperta, che sceglie, insieme
alla Direttrice, le mansioni da affidarle. Queste le devono dare
soddisfazione e devono essere di un livello tale per cui Roberta le
possa eseguire in autonomia, relativa o assoluta.
La consulenza dell’educatrice è
indispensabile per la scelta del tipo di lavoro e per impedire che si
diano a Roberta lavori al di sopra delle sue possibilità, come
inviterebbe a fare il suo aspetto di normalità, che maschera una
disabilità profonda, pur con qualche abilità spendibile per
“lavorare”.
Un altro compito fondamentale
dell’educatrice è insegnare a Roberta ad eseguire un compito nuovo
utilizzando le strategie facilitanti dell’approccio
comportamentale: analisi del compito e sua suddivisione in azioni
semplici (task analysis);
aiuto fisico prima, imitativo e verbale poi
(prompt); diminuzione progressiva dell’aiuto fino all’estinzione
(fading).
Riportiamo alcuni dei lavori che
Roberta ha eseguito in tutti questi anni.
Ricopertura
libri.
La
Direzione della biblioteca ha deciso
di ricoprire tutti i libri con una copertina di plastica.
L’Educatrice ha fatto lo schema che
segue per insegnare a Roberta il lavoro. Un’altra educatrice l’ha
accompagnata per l’apprendimento.
Il lavoro si presta ad essere eseguito
in collaborazione, anche quando ben acquisito.
Questa attività ha tenuto occupata
Roberta per molti mesi e lei è diventata sempre più disinvolta
nell’esecuzione.
Timbratura
La
Direzione della biblioteca ha deciso
di timbrare tutti i libri alla pagina 63.
Per timbrarli Roberta deve tirare giu
un certo numero di libri dagli scaffali, sfogliare ogni libro in modo
da arrivare alla pagina 63, fare il timbro e rimettere i libri a
posto.
Nati
per leggere
La
Biblioteca ha partecipato
all’iniziativa “Nati per leggere”
http://www.natiperleggere.it/index.php?id=5
Nell’ambito di questa bella
iniziativa rivolta all’infanzia ha dato l’incarico alla nostra
Roberta di preparare delle borsine contenenti due librini, un
segnalibro e un piccolo calendario da distribuire ai nuovi nati della
città attraverso i pediatri.
Considerazioni
finali
Queste
e altre attività hanno tenuto
impegnata Roberta in un lavoro vero, di cui lei vede l’utilità, un
lavoro che, se non fosse fatto da Roberta, dovrebbe essere fatto da
altri.
Sia Roberta che la famiglia sono molto
contente di questa frequentazione.
Roberta non è pagata e la biblioteca
non riceve nessun incentivo se non la riconoscenza della famiglia e
la soddisfazione di Roberta.
Ricordiamo ancora una volta che questi
inserimenti, che continuano in età adulta l’integrazione iniziata
con la scuola, e che, in un mondo primitivo e rurale, potrebbero
essere fatti nell’ambito di casa e bottega, nella nostra Società
complessa sono possibili solo con la mediazione delle Istituzioni.
La Biblioteca è comunale. Roberta è
in carico all’ASL. La frequenza è regolamentata da un contratto
tra queste due Istituzioni e l’ASL paga una assicurazione per
coprire eventuali incidenti o altre problematiche che si dovessero
verificare sul “lavoro”