[autismo-biologia] [autismo-scuola] significato mutevole di autismo

Enrico Toffolo enrico.toffolo.67 a gmail.com
Lun 20 Mar 2023 09:37:32 CET


io sono preoccupato di altri "danni epocali" e le rassicurazioni pervenute
da più parti mi danno i brividi.

Purtroppo ho letto e sto rileggendo i documenti.

ET

Il giorno dom 19 mar 2023 alle ore 22:24 ftstellino a inwind.it <
ftstellino a inwind.it> ha scritto:

> Scusate,
> Ma qui si rischia veramente di fare danni epocali.
>
> Come a dire che ad una persona con depressione che va da un oncologo
> perché pensa/spera di avere un tumore, che non ha, il medico glielo
> diagnosticasse per farlo sentire meglio e magari provare a vedere se "esce"
> dalla depressione.
>
> È assurdo parlare di funzionamento autistico.
> Così si ingenera solo confusione nella persona, che tra l'altro ha
> evidentemente delle problematiche/disturbi psichici.
> E poi ci ritroviamo a doverci confrontare con persone che credono di
> essere autistiche, che pensano di avere una diagnosi di autismo e che
> pretendono di parlare a nome delle persone autistiche, a volte anche
> aggredendo verbalmente ritenendo di avere la 'luce della conoscenza'.
>
> Così rischiamo di fare danni epocali. Ripeto.
> Perché pure chi ci deve ascoltare per poter indirizzare le politiche del
> welfare sanitario e sociale va in confusione.
>
> Mi auguro che i tanti camici bianchi presenti ed amici (perdonatemi la
> metonimia, ma è per meglio identificarvi), non sostengano questa presunta
> deontologia degli psicologi.
>
> Perdonatemi anche lo sfogo.
>
> Un caro saluto
>
> Stefania Stellino
>
>
>
> Inviato da Libero Mail
>
>
> Il 19 marzo 2023 17:12:07 UTC David Vagni <david.vagni a gmail.com> ha
> scritto:
>>
>> Cara Raffaella,
>> condivido quanto hai riportato anche se sai bene che mi scontro con
>> alcuni advocate, come hai detto sono adulti autodeterminati ed eventuali
>> differenze di vedute non dovrebbero far venir meno un clima di
>> collaborazione tra professionisti, famiglie e advocate.
>> Concordo sul resto dei punti della tua risposta.
>>
>> Vorrei approfittare dell’occasione per specificare un aspetto che reputo
>> rilevante all’interno della discussione (non con te, ma con chi dice che
>> “non vanno fatte diagnosi") e che reputo sia parte della confusione. Te sei
>> psicologa, come sono psicologi le persone che fanno diagnosi presso il
>> centro a cui sono associato.
>> In quanto psicologi è un dovere cercare di seguire la deontologia della
>> propria professione in accordo con i codici e pareri dell’Ordine
>>
>> A questo link c’è un parere a mio avviso molto importante
>> https://www.psy.it/allegati/parere_diagnosi.pdf sulla possibilità degli
>> psicologi di fare diagnosi psicopatologiche ma che, lateralmente, riporta
>> la più generale definizione di diagnosi.
>>
>> […] Il concetto di diagnosi ha vari significati non univoci lungo un
>> continuum che va da un’accezione ristretta di identificazione di una
>> patologia ad *un’accezione ampia di identificazione di un fenomeno sulla
>> base dell’individuazione dei fattori che la caratterizzano *(storia del
>> soggetto, sintomi fisici e psichici, modalità comportamentali, attività
>> mentale, informazioni ottenute con varie modalità di valutazione). I*l
>> concetto di diagnosi, pertanto, non è univocamente ed esclusivamente
>> connesso a quello di “identificazione di patologia”*, come usualmente
>> viene inteso poiché quest’ultimo riguarda soltanto l’ambito biomedico e,
>> anche in ambito medico, è praticabile solo in alcuni settori e per alcune
>> patologie, non in tutte le branche della medicina e per tutte le malattie. *La
>> diagnosi assolve molteplici funzioni e compiti a più livelli: a) necessità
>> di categorizzare le informazioni, b) facilitazione della comunicazione fra
>> addetti ai lavori, c) facilitazione della comunicazione con il paziente, d)
>> orientamento delle scelte terapeutiche. In questo senso, la diagnosi è,
>> nell’accezione ampia dei suoi significati possibili, insieme un atto
>> conoscitivo di raccolta e categorizzazione delle informazioni ed un atto
>> pragmatico di comunicazione fra i soggetti implicati a diverso titolo e
>> livello nel fenomeno oggetto di osservazione *[…] La diagnosi
>> psicologica può essere realizzata a diversi livelli a seconda del contesto
>> in cui trova applicazione e in relazione alle funzioni interessate,
>> dall’ambito lavorativo *al disagio psicologico di livello pre-clinico*,
>> alla psicopatologia maggiore, alle malattie mediche […] La diagnosi
>> basata sui sintomi non è tuttavia l’unico modo per effettuare una diagnosi
>> descrittiva, e anzi questa modalità viene ampiamente criticata dalla
>> comunità scientifica internazionale. Pertanto anche la diagnosi
>> differenziale basata sui sintomi non è l’unica possibile. Modalità
>> alternative di effettuare la diagnosi descrittiva e differenziale sono
>> state a più riprese proposte alla comunità scientifica e si basano
>> sull’osservazione e l’identificazione *delle funzioni psicologiche che
>> sottendono i fenomeni clinici osservati,* e non
>> meramente sull’osservazione e l’identificazione dei sintomi. […].
>>
>> Riporto questo per dire che, se una persona va da uno psicologo e gli
>> chiede “aiutami a capire come funziono” rilasciare in una *diagnosi* (perché
>> comunque è una diagnosi il documento che si rilascia): “non hai nessun
>> disturbo, quindi non hai niente”, *forse *può essere accettabile per un
>> medico che opera all’interno di un modello medico, ma sicuramente non è
>> deontologicamente corretto per uno psicologo.
>> Riportare che la persona ha un “funzionamento cognitivo autistico pur in
>> assenza di difficoltà clinicamente rilevanti che costituiscono un disturbo”
>> o che “soddisfa i criteri dell’autismo ma *al momento* non sono presenti
>> difficoltà rilevanti nel funzionamento adattativo” o qualsiasi simile
>> definizione (e spiegando in cosa, perché, in quali processi emotivi,
>> cognitivi, etc.) è un *atto dovuto* da un punto di vista etico e
>> deontologico a mio avviso e ritengo che contestarlo significhi non capire
>> in cosa dovrebbe consistere il lavoro di un psicologo, che in primo luogo
>> dovrebbe riguardare il comprendere e aiutare le persone e solo in quanto
>> funzionale a questo scopo, determinare se è presente o meno un disturbo.
>>
>>
>> Il giorno 14 mar 2023, alle ore 09:55, Ambulatorio Autismo <
>> ambulatorioautismoadulti a gmail.com> ha scritto:
>>
>>
>> Buon giorno a tutti,
>> mi fa piacere che il Sig. Fagni condivida anche lui che l’autismo 0 non
>> esiste, quindi penso che possiamo  bandire per sempre dai nostri discorsi
>>  questa definizione  sbagliata che può fuorviare chi non ha le giuste
>> conoscenze.
>>
>> Posso comprendere le sue perplessità e i suoi dubbi ma vedo che la sua
>> mail è piena di criticità e sfiducia verso l’operato dei clinici.
>> Naturalmente fra gli esseri umani ci sono delinquenti di tutti i tipi,
>> persone poco professionali e persone che cerano di approfittare
>> economicamente della loro posizione. Credo che questo tipo di persona sia
>> ben distribuita in tutte le professioni, i tutti i contesti sociali e
>> in qualsiasi tipo di funzionamento umano. Quindi ce ne sono sicuramente
>> anche fra psicologi psichiatri e neuropsichiatri. Ma questa considerazione
>> non dovrebbe a mio modo di vedere portarci a una sfiducia così grande come
>> quella che traspare dai suoi commenti. Comprendo i suoi dubbi ma
>>  francamente trovo difficile interloquire su una posizione così general
>> generica che riguarda l’umanità tutta.
>>
>>  Su tre cose non sono invece assolutamente d’accordo con il Sig. Fagni:
>> 1. dire che se "uno ha sempre avuto le capacità di superare le sue
>> difficoltà, senza fare nessun tipo di terapia ed avere nessun tipo di
>> supporto, significa che il criterio D non è soddisfatto” è proprio
>> sbagliato. La sofferenza psichica lascia sempre una traccia che il clinico
>> deve saper valutare e comunque è sempre necessario che si chieda come sta e
>> quanta fatica faccia la persona nel presente. A parte il fatto che in
>> genere le persone adulte che arrivano al percorso diagnostico hanno già
>> fatto prima percorsi di supporto psicologico di cui non sono soddisfatte,
>> ci possono essere innumerevoli  motivi per cui una persona non ha richiesto
>> aiuto, da quello economico alla sfiducia nel lavoro psicologico,
>> dall’orgoglio a forme di malessere tanto forte da impedire di attivarsi,
>> dal non vedere riconosciuto il proprio bisogno al sentirsi dire che non c'è
>> necessità di terapia. E sicuramente ce ne sono tantissimi altri. Non è
>> detto che non avere o non aver avuto una terapia  sia indice di mancanza di
>> bisogno. È compito del clinico valutare la sofferenza e il bisogno ed è suo
>> compito dotarsi delle capacità, della formazione e degli strumenti per
>> saperla riconoscere e saperla comprendere. Posso capire la sfiducia nella
>> capacità dei clinici di fare valutazioni di questo tipo ma trovo sbagliato
>> fare una generalizzazione così negativa.
>> Negli anni ’90 c’erano pochissimi clinici capaci di diagnosticare
>> l’autismo, oggi proliferano i servizi e naturalmente è difficile scegliere
>> e può essere difficile valutare la competenza di un clinico. Ma io sono
>> contenta che i servizi prolifichino perchè questo stimola la crescita
>> professionale.
>> E inoltre naturalmente  ogni adulto che si deve occupare della salute dei
>> suoi cari deve impegnarsi a ricercare il clinico migliore. Non è una cosa
>> che riguardi solo l’autismo.
>>
>> 2. Lo stesso vale per quando scrive “ E  i vari test sono facili da
>>  indirizzare. Io posso decidere il punteggio che voglio avere in un test
>>  che voglia "misurare" i miei sintomi autistici, ma se si vuole valutare il
>> mio autismo sul presente un clinico non potrebbe mai darmi una diagnosi…”.
>> Il Sig. Fagni, come del resto chiunque,  può al massimo scaricare i test
>> autosomministrati e se vuole manipolarli  basta che scarichi i punteggi o
>> li cerchi nei libri in cui sono pubblicati.  Così certamente si,  potrebbe
>> manipolarli. Ma un clinico serio non farebbe mai la diagnosi  solo ed
>> esclusivamente su quel tipo di test, proprio perchè essendo facilmente
>> reperibili sono anche facilmente manipolabili. Nonostante questo le
>> ricerche scientifiche ci dicono che comunque alcuni di questi test, come la
>> RAADS-R, per esempio, sono molto forti ma naturalmente si parte
>> dall’assunto che chi compila lo faccia rispondendo in modo onesto. Per
>> fortuna non abbiamo a disposizione solo test autosomminstrati, questi non
>> sono gli  unici test disponibili. Un clinico competente dovrebbe sapere
>>  che ci sono test che raccolgono altri tipi di informazioni che non sono
>> soggette a punteggi tipo “risposta giusta o sbagliata” o con i criteri dei
>> test disponibili on line. Ci sono interviste alle famiglie, interviste ad
>> altri operatori e test che riflettono il parere del clinico. È l’insieme
>> dei risultati di questi test che un clinico esperto dovrebbe saper
>> valutare. In ogni caso mi pare evidente che si continui a sottovalutare il
>> fatto  che la diagnosi è sempre clinica perché non esiste un test che possa
>> considerarsi completamente sicuro al 100%. Questa cosa è ampiamente
>> dichiarata e documentata anche scientificamente ovunque.  I test possono
>> sostenere il giudizio diagnostico ma questo è, alla fine, sempre e solo del
>> clinico. Questo significa che  la diagnosi riflette sempre  il parere
>> professionale del professionista, anche indipendentemente dall’esito dei
>> test. Questo da una maggiore responsabilità al clinico che dovrebbe quindi
>> essere molto attento. Naturalmente il Sig. Fagni non è un professionista e
>> quindi non conosce i test e non sa quale tipo di lavoro deve fare il
>> clinico quando li somministra. Ma proprio per questo trovo che sia
>> fuorviante che faccia affermazioni di questo tipo con tanta sicurezza
>> invece, magari, di chiedere qualche informazione in più.
>> Vorrei anche sottolineare che se una persona che richiede un parere
>> diagnostico mente, la responsabilità primaria è sua perché così facendo
>> distrugge la relazione con il clinico. Ci possono essere innumerevoli
>> motivi per cui una persona mente oltre a quelli che il Sig. Fagnmi descrive
>> nella sua mail e ci sono anche tante persone che cercano in tutti i modi di
>> farsi togliere la diagnosi di autismo cercando in tutti i modi di apparire
>> neurotipiche.  In ogni caso, poiché non esiste un test incontrastabile,
>> come potrebbe essere un test genetico, se un paziente mente bene potrebbe
>> comunque indurre un parere sbagliato nel clinico. I clinici devono stare
>> attenti e dotarsi di strumenti, della formazione e della supervisione che
>> serve per contenere questi problemi ma naturalmente potrebbero comunque
>> cadere vittima dell’imbroglio. Ma se è imbrogliato il clinico è la vittima
>> e non il responsabile della menzogna. Chi mente è responsabile.
>>
>> 3. Infine quando dice che non è mutata la diagnosi di autismo per i vari
>> manuali. In realtà il DSM-5 segna un cambiamento epocale perché definisce i
>> Disturbi del Neurosviluppo, che prima non erano definiti, e pone le basi
>> per un’unica diagnosi di autismo escludendo in modo definitivo la
>> disabilità intellettiva e il disturbo del linguaggio dai sintomi di
>> autismo. Un grande cambiamento che suscita ancora molte discussioni come
>> del resto si evince dallo scambio nato dalla mail di Carlo Hanau.
>>
>>
>> Per quanto riguarda Neuropeculiar: il Sig. Fagni si sbaglia, io non ho
>> sollevato nessun discorso né punto nè domanda su questa associazione né sui
>> suoi soci in questa sede né in altre e non ho posto alcuna domanda per cui
>> lui, o chiunque altro, mi debba risposte.
>> Non ho mai preso  le loro difese perché non ho mai pensato che ne abbiano
>> bisogno. Sono persone adulte autonome e autodeterminate, responsabili delle
>> loro scelte e delle loro posizioni.
>> Preciso che,  insieme ad altri colleghi, faccio parte del Comitato
>> Scientifico dell’Associazione. Io mi confronto spesso con loro  e non ho
>> mai avuto problemi a trovare un piano di confronto rispettoso delle
>> posizioni personali, anche quando non siamo d’accordo. Ritengo quindi che
>> chiunque possa trovarlo se lo desidera. Mi pare però poco corretto porre
>> queste critiche in una sede dove nessuno di loro è presente non permettendo
>> nessun tipo di confronto che consenta alle altre persone della lista di
>> conoscerli e di poter fare le proprie valutazioni.
>>
>> Infine vorrei dire a Carlo che  trovo grave questa scollatura fra
>> genitori e persone autistiche, saper accettare che ci siano diversi livelli
>> di ricaduta sulla qualità di vita dovrebbe rassicurare sul fatto che non
>> verranno trascurate le persone che hanno dalla loro condizione gravi
>> ripercussioni sulla qualità di vita e sull’indipendenza e l'autonomia, ma
>> per garantire che ciò accada non serve litigare, servirebbe invece
>> promuovere la formazione dei clinici. Perché è da loro che dipende la
>> valutazione della ricaduta sulla qualità di vita e sono loro che dovrebbero
>> saper spiegare chi quando e perché ha bisogno di incerto tipo di aiuto.
>> Card si possa trovare un giusto equilibrio fra ascoltare i clinici e
>> ascoltare le persone autistiche e ascoltare i genitori. Ma anche ascoltare
>> chiunque avario titolo voglia zarlaredi autismo. Paleseante nessuno può
>> parlare per tutti e forse tutti dovrebbero parlare. Per sé o per le proprie
>> associazionni o gruppi.
>>
>> Io credo che i clinici possano definirsi davvero competenti di autismo se
>> lo conoscono in tutte le sue declinazioni, stili di funzionamento
>> cognitivo, se lo conoscono nei bambini così come negli adulti, se hanno
>> potuto interagire in diversi contesti non solo in quello clinico.
>>
>> Quando sono stata alla Divison TEACCH alla fine degli anni ’90 ho capito
>> che l’autismo era qualcosa di molto più vasto e complesso di quello che noi
>> percepivamo in Italia e ho capito che non avevamo alcuna idea di cosa fosse
>> quello che allora chiamavamo autismo HF (High Functioning). Alla Division
>> TEACCH già da almeno un decennio  avevano servizi differenziati anche in
>> base alla ricaduta sulla qualità di vita e sull’autonomia, avevano gruppi
>> diversificati per stile di funzionamentocognitivo e collaboravano non solo
>> con i genitori ma anche con le persone autistiche, io stessa sono stata
>> parecchio tempo con persone autistiche che mi hanno  spiegato il loro stile
>> di funzionamento e il lavoro clinico di cui godevano. Era la prima volta
>> che mi accadeva d è stata un’esperienza che ha segnato le mie scelte.
>> Proprio allora ho fatto alcune scelte professionali che hanno dato una
>> direzione al mio lavoro: ho scelto di tradurre con altri colleghi i test
>> gold standard in Italiano, di  promuovere la formazione su come fare la
>> diagnosi, e ho scelto di approfondire la diagnosi nelle direzioni più
>> complesse: nei bambini molto piccoli e negli adulti senza disabilità
>> cognitiva. Proprio grazie a queste scelte, posso  affermare di essere
>>  certamente stata uno dei primi clinici italiani a fare al diagnosi ad
>> adulti senza compromissione cognitiva che si chiedevano se potevano essere
>> autistici. Ma prima di allora avevo lavorato per moltissimi anni solo con
>> persone autistiche  disabili intellettive e lavoro con loro tantissimo
>> ancora oggi. Io so bene che è proprio perché ho lavorato tanto con loro che
>> ho imparato molte cose che mi sono state molto utili per comprendere meglio
>> le persone autistiche senza compromissione cognitiva. Allo stesso modo
>> poter  ascoltare persone che possono descrivere il proprio mondo interno mi
>> ha permesso di imparare  cose utilissime anche per le persone con
>> disabilità intellettiva.
>>
>> Io ho fatto scelte su cui ho sempre messo la faccia e ancora oggi mi
>> impegno al meglio che posso per tenere aperto uno stabile confronto con le
>> persone autistiche che si occupano di advocacy così come con moltissime
>> altre persone autistiche molto meno presenti sui social, così come con
>> tanti genitori con cui lavoro quotidianamente e, anche se indirettamente,
>> osservando i bambini e tutte quelle persone autistiche di ogni età e stile
>> di funzionamento che non possono descriverci il loro mondo interno ma ci
>> mostrano come agiscono. Mi confronto con colleghi di tutti i tipi, leggo i
>> loro libri, anche quelli dei professionisti psicodinamici.
>> Ascoltare, leggere e confrontarsi  sono per me strumenti di conoscenza.
>> Naturalmente rivendico l’originalità del mio pensiero e rifiuto
>> assolutamente di prendermi la responsabilità di cose che non ho mai detto
>> né affermato.  Se promuovo qualcosa che dice un’altra persona, sia essa un
>> clinico, un genitore o una persona autistica vuol dire che quel contenuto
>> mi è piaciuto e che l'ho trovato stimolante. Solo di quello che condivido e
>> di ciò che dico personalmente mi prendo la responsabilità.
>> Ritengo che soprattutto in questo momento storico in cui i criteri
>> diagnostici si son tanto allargati, sia importantissimo, anche essenziale,
>> per clinici  osservare e ascoltare per imparare.
>> Ma andrebbe ricordato che osservare e ascoltare non significa aderire a
>> qualsiasi cosa, significa raccogliere elementi per poter pensare e fare le
>> proprie riflessioni e le proprie scelte in una visione più ampia.
>> Giudicare senza un confronto induce sempre e solo a grandi tensioni.
>>
>> Buona giornata a tutti
>> Raffaella Faggioli
>>
>>
>>
>> Il giorno 9 mar 2023, alle ore 11:24, albertofagni a libero.it ha scritto:
>>
>> Dottoressa Faggioli,
>>
>> io sono d'accordo con lei quando dice che NON esiste l'autismo di livello
>> ZERO , termine che probabilmente ho iniziato ad sare io, per spiegare come
>> ci siano troppi autistici o comunque persone che si dichiarano tali, ma che
>> non rientrano nei criteri della diagnosi.
>> E come lei sono dell'idea che non si possa usare il termine autistico
>> come semplice aggettivo al di fuori di una diagnosi medica.
>>
>> Questo punto per me è basilare perché troppe volte leggo di diagnosi
>> "senza disturbo" cioè senza che il criterio D sia soddisfatto, nei tanti
>> gruppi di autismo e vengono difese dagli stessi professionisti .
>> Con Vagni ho avuto una discussione su questo punto sul mio profilo
>> Facebook
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>>
>> In quella discussione David ha difeso la possibilità di fare diagnosi
>> psicologiche di autismo senza disturbo e di poterle definire diagnosi e non
>> valutazioni . Ciò ovviamente genera confusione e molti penseranno di avere
>> una vera diagnosi e non di avere solamente dei tratti autistici e al limite
>> essere subclinici.
>>
>> Adesso leggo che entrambi riteniate sia corretto fare diagnosi prendendo
>> in considerazione tutti quelli che raccontano di aver affrontato difficoltà
>> nella vita per cavarsela ed essere autonomi, basta che questa sofferenza
>> sia dovuta ad alcuni tratti autistici.
>> Lei afferma in una sua risposta che chi cerca una diagnosi vada accolto
>> perché cerca risposte a delle difficoltà.
>> Concordo, ma ciò non significa che tutte siano da accogliere con delle
>> diagnosi .
>> Perché se uno ha sempre avuto le capacità di superare le sue difficoltà,
>> senza fare nessun tipo di terapia ed avere nessun tipo di supporto,
>> significa che il criterio D non è soddisfatto.
>> Perché se la diagnosi dovesse premiare  tutti quelli che raccontano
>> sofferenze e difficoltà superate, nessuno sarebbe esente da diagnosi.
>> Aggiungo che spesso queste persone hanno delle difficoltà che sono
>> ascrivibili a ben altre diagnosi dalle quali provengono, ma che trovandole
>> più stigmatizzanti della diagnosi di autismo (e meno fighe) cercano di
>> rifugiarsi in quella di autismo.
>> Ora con tutta la fiducia che posso avere nei clinici, se la diagnosi si
>> fa solo sul racconto di difficoltà superate, non sarà difficile per ch
>> conosce lo spettro avere una diagnosi di autismo (oramai anche on line)
>> E  i vari test sono facili da  indirizzare. Io posso decidere il
>> punteggio che voglio avere in un test  che voglia "misurare" i miei sintomi
>> autistici, ma se si vuole valutare il mio autismo sul presente un clinico
>> non potrebbe mai darmi una diagnosi , né io  vorrei mai una diagnosi che mi
>> limita e che non mi darebbe alcun supporto utile, visto che sono
>> completamente autonomo.
>> E se fossi altro , cioè bipolare, depresso etc etc , comunque una
>> diagnosi non pertinente, per quanto più figa, mi allontanerebbe dai
>> supporti e dalle terapie corrette.
>> Io temo che oramai chi ha avuto difficoltà nella vita legate alla propria
>> omosessualità, alla propria depressione o per qualsiasi altro motivo, può
>>  spingere per avere una diagnosi di autismo .
>> Senza voler accusare nessuno mi chiedo e vi chiedo se non ci sia il
>> rischio che molti da clinici si stiano trasformando (in modo anche
>> inconsapevole) in VENDITORI di diagnosi ?
>>
>> Altro punto al quale vorrei rispondere è sul fatto che lei dottoressa ha
>> preso le difese dei vari attivisti , i quali si lamentano che qualcuno
>> possa mettere in dubbio le loro diagnosi.
>> Siccome sappiamo benissimo che la critica è rivolta soprattutto a me da
>> parte dei suoi pazienti di Neuropeculiar (mi piace essere molto diretto) ,
>> faccio notare alcune cose :
>>
>> - Io non metto in dubbio le loro diagnosi ,ma come descrivono le
>> diagnosi, che vorrebbero slegare dai vari manuali diagnostici. Sono loro a
>> metterle in dubbio casomai.
>> - Alcuni di quelli che loro invitano ai loro convengni e che si
>> definiscono autistici, hanno ammesso di non avere una diagnosi e che non
>> l'hanno mai cercata non avendo bisogno di supporti.
>> - Visto che usano la loro diagnosi per vendersi come formato come se
>> fosse un titolo di studio, non vedo perché non dovrebbero renderla pubblica
>> ? ( Questa è una mia provocazione, ma davvero chi ha una diagnosi può fare
>> il formatore senza avrebbe i titoli? )
>>
>> - Le stesse persone che si lamentano che le loro diagnosi siano messe in
>> dubbio, sono quelle che attaccano i genitori, dicendo loro che un genitore
>> NON ha alcun diritto di parlare di autismo, ma solo loro possono in quanto
>> autistici... Come se loro potessero sapere come pensa e, cosa pensa e cosa
>> prova un autistico non verbale.
>>
>> - Sempre loro hanno creato un clima di guerra alle definizioni mediche e
>> corrette , tanto che molti professionisti hanno smesso di scrivere e non si
>> espongono per non essere attaccati .Proprio durante questa discussione
>> alcuni professionisti mi hanno scritto in privato, dicendosi d'accordo con
>> la mia posizione, ma che non avrebbero scritto poiché stanchidel clima di
>> attacco alle posizioni corrette e mi hanno anche fatto notare che sono
>> sempre meno i professionisti che si espongono nelle discussioni su questa
>> lista .
>> Non è un caso che a farlo siate stati soprattutto in due , entrambi molto
>> vicini alle posizioni di questi attivisti o comunque li si voglia definire.
>>
>> Quindi non è mutata la diagnosi di autismo per i vari manuali, ma sta
>> mutando perché si è creato un mercato , si è creato il bisogno di ricercare
>> una diagnosi.
>>
>> Saluti
>> Alberto Fagni
>> (mi scuso per gli errori, ma preferisco non rileggere )
>>
>> Il 08/03/2023 11:15 Raffaella Faggioli <
>> ambulatorioautismoadulti a gmail.com> ha scritto:
>>
>>
>> Ciao David, naturalmente è necessario tenere conto che abbiamo
>> professionalità diverse,  sensibilità diverse e  responsabilità diverse.
>> Naturalmente io sono principalmente un clinico impegnata  stabilmente nella
>> valutazione diagnostica di persone di tutte le età e di tutti i
>> funzionamenti cognitivi  e solo in seconda battuta sono una ricercatrice
>> (nella pratica quotidiana, io produco idee di ricerca e una montagna di
>> dati che altri leggono)
>>
>> Magari mi sbaglio ma mi sembra che anche sui i bambini in realtà siamo
>> d'accordo nel momento stesso in cui scrivi: Il problema è che tu *sai*
>>  che *prima o poi quel bambino cadrà*. Ed è esattamente per questo che
>> non esiste il livello 0 nei bambini perché noi sappiamo che prima poi, hai
>> ragione spesso ai cambi di ciclo scolastico, ci sarà qualche cosa che lo
>> porterà alla sofferenza e a sentirsi in dovere di mascherarsi, a non
>> sentirsi “normale” e a percepire una diversità che lo farà  sentire solo al
>> mondo (un extraterrestre, metafora molto significativa, chiara e diretta
>> usata da moltissime persone autistiche) e quindi anche poco amato. Non
>> basta  questo come ricaduta sulla qualità di vita? Io direi proprio di si.
>> La sofferenza testimoniata da  tanti adulti autistici, l’intenso lavorio
>> interiore che devono fare gli adolescenti, che magari non si mettono sui
>> social, ma che noi terapeuti che li seguiamo costantemente ben conosciamo e
>> che conoscono i loro genitori, non dovrebbe lasciarci indifferenti.
>>
>> Naturalmente anche per me, con un bambino l’approccio clinico è molto
>> diverso da quello con gli adulti ed è naturale che un clinico possa avere
>> dubbi, io stessa li ho e quando li ho mi prendo il tempo per definire il
>> mio giudizio diagnostico. Ma la diagnosi a un bambino è una proiezione in
>> avanti che influenzerà tutta la sua vita: una volta fatta ci aspettiamo e
>> anche pretendiamo che il mondo intero tenda ad  adattarsi al suo stile di
>> funzionamento e che gli adulti che si occupano della sua educazione
>>  mettano in atto strategie educative più mirate, strategie di conversazione
>> più adatte al suo stile di funzionamento, protezione dall’esposizione
>> incontrollata e costante a stimoli sensoriali e sociali inadeguati e
>> forieri di sofferenza e stress. Quanti adulti autistici ci dicono che
>> quando stanno in un gruppo intento in una conversazione si sentono
>> stabilmente in allerta? Vogliamo “regalare” questo tipo di sensazioni e
>> queste fatiche ai bambini?.
>> Sappiamo che questo tipo di sforzo e di sofferenza porta in adolescenza a
>> problematiche psichiatriche. La diagnosi deve quindi a mio avviso essere
>> pensata anche per contenere questa inutile devastazione. La diagnosi
>> dovrebbe proteggerli da eccessivi sforzi di mascheramento così come dal non
>> sentirsi accettati per quello che si è o dalla sensazione di essere
>> extraterrestri. Dovrebbe permettere agli adulti che si occupano della loro
>> educazione di farli crescere il più confidenti possibile in sè stessi, con
>> meno sensazione di estraniamento, più legittimati. Una diagnosi sbagliata
>> nei bambini, anche in quelli in plus dotazione e con un linguaggio
>> pienamente fluente, avrà una ricaduta sulla salute psicologica, sulla
>> sofferenza psichica e sull’esposizione a non sentirsi compresi. Inoltre
>> avrà una ricaduta sulla possibilità di autodeterminarsi.
>> Se esito a fare la  diagnosi a un bambino non è perché lo vedo a livello
>> 0, che ribadisco non esiste, ma perché ci sono situazioni in cui i sintomi
>> sono difficili da decifrare in pochi incontri ed è necessario conoscerlo
>> meglio e in modo più profondo.
>> Ci possono essere molti motivi per cui il suo stile di funzionamento
>> autistico non è immediatamente apprezzabile e la conoscenza, stare in
>> relazione è, in questi casi, l’unica strategia che abbiamo per capire.
>>
>> Ma non è mai quello che viene proposto come il livello 0  per gli adulti,
>> anzi se mai ci sono bambini, soprattutto piccoli, anche chiaramente
>> autistici che non hanno una vera e propria ricaduta sulla qualità di vita
>> al momento della diagnosi, ma possiamo ben prevedere che ne avrà e la
>> diagnosi dovrebbe servire a tutelarli e a dargli un mondo sociale più
>> capace di capirli e più adatto al loro stile di funzionamento. Esattamente
>> come dici anche tu.
>> È un diritto inalienabile dei bambini che gli adulti si muovano in questa
>> prospettiva protettiva. Quindi io non ritengo affatto di “forzare” il
>> sistema, credo sia giusto porre le basi per aiutare il bambino a crescere
>> il più sereno possibile.
>>
>> E il criterio D non può e non deve essere inteso solo come “il tuo stile
>> di funzionamento autistico ti impedisce di lavorare e di essere autonomo”
>> ma anche come ricaduta in termini di sofferenza e  di disagio psichico.
>> D’altronde qualche volta la sofferenza può essere così forte da impedire di
>> realizzarsi e di diventare autonomi. E la sofferenza psichica non è sapere
>> psichiatrica.
>> È  ora di riconoscere e dare valore anche a questo aspetto con buona pace
>> di chi pensa che psicologi e psichiatri siano (non)professionisti
>> facilmente abbindolabili e incapaci di riconoscere la sofferenza
>> psicologica e la ricaduta che questa ha sulla qualità di vita e
>> sull’autodeterminazione.
>>
>> Raffaella
>>
>>
>>
>>
>> Il giorno 1 mar 2023, alle ore 17:37, David Vagni <david.vagni a gmail.com>
>> ha scritto:
>> Cara Raffaella,
>> a parte l’avere idee diverse sull’unitarietà dell’autismo, concordo sul
>> resto del tuo discorso ma vorrei aggiungere un commento alla tua ultima
>> parte:
>>
>> Inoltre dovrebbe farci riflettere che questo problema non esiste quando
>> parliamo di bambini esiste solo per quanto riguarda gli adulti. Ma questi
>> adulti sono stati bambini e adolescenti che probabilmente hanno sofferto
>> per non sentirsi né capiti né integrati e per una diversità che li ha
>> sempre fatti sentire estranei.
>>
>>
>> Come sai non faccio diagnosi (ripeto, sono un ricercatore non un clinico)
>> ma partecipo a tantissime valutazioni. Devo dire che anche se è
>> infrequente, mi è capitato più di una volta di osservare situazioni di
>> "autismo si, autismo no, autismo forse” *anche nei bambini*,
>> relativamente al criterio del “funzionamento”.
>>
>> Purtroppo nei bambini, ancora più che negli adulti, è difficile (e rischi
>> di essere preso per pazzo o peggio) fare diagnosi in presenza di un buon
>> funzionamento, perché se sono in un ambiente “protetto”, l’ambiente stesso
>> tende a mascherare le difficoltà (genitori iper-presenti, piccola scuola
>> privata, etc.).
>>
>> Il problema è che tu *sai* che *prima o poi quel bambino cadrà*. Perché
>> il problema è che quando i tratti autistici ci sono, anche in presenza di
>> un buon funzionamento (e magari momentaneamente anche in assenza di stress
>> psicologico), prima o poi quella cosa che ti fa crollare la trovi. Spesso è
>> il passaggio da un ciclo scolastico all’altro o un trasloco.
>>
>> In generale in quei casi spesso uno scrive “ci sono marcati tratti… ma il
>> funzionamento al momento….” “si consiglia di tenere sotto osservazione”…”si
>> consiglia ugualmente di fare un parent-training”, etc.
>> Ma spesso bambini nello spettro hanno genitori, almeno con una gamba
>> nello spettro ed il pensiero dicotomico la fa da padrone e viene
>> ulteriormente incentivato da un sistema sociosanitario pensato per la
>> cura/assistenza molto più che per la prevenzione.
>>
>> Il risultato è che frequentemente in quei casi non fanno nulla e poi
>> ritornano dopo 2, 4, 6 anni, quando scoppia il problema.
>>
>> Questo penso dovrebbe far ragionare su una cosa, medici e psicologi, di
>> cosa si occupano? Della malattia o della salute? Perché se ci occupiamo
>> della salute dovremmo impegnarci *primariamente* nella *prevenzione*. Ma
>> il “sistema” non lo consente.
>>
>> Quanto è lecito forzare il sistema per fare prevenzione?
>>
>> Questa penso sia una domanda interessante da porsi e a cui non ho una
>> risposta.
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