[autismo-biologia] R: dal gene alla funzione

Valentino Romano valentino.romano a unipa.it
Mer 28 Lug 2021 16:34:49 CEST


Cara Daniela

Davvero molto interessante !!!
Non avevo ancora visto l'articolo
Grazie per la segnalazione 
Cordiali saluti

Valentino Romano

-----Messaggio originale-----
Da: autismo-biologia <autismo-biologia-bounces a autismo33.it> Per conto di daniela
Inviato: mercoledì 28 luglio 2021 15:58
A: autismo-biologia a autismo33.it
Oggetto: [autismo-biologia] dal gene alla funzione

Per arrivare a terapie che agiscano in profondità nell’alleviare i sintomi dell’autismo ad alto fabbisogno di sostegno è prioritario fare dei sottogruppi omogenei dal punto di vista biologico.

La scoperta di nuove condizioni genetiche (mutazioni e CNV) che accrescono  la percentuale degli autismi da causa nota consente di fare dei sottogruppi omogenei, almeno tra gli autismi da causa genetica nota.

Il guaio è che, mentre ci cercava il gene dell’autismo, si sono trovate centinaia di geni dell’autismo e questo rende difficile la ricerca del legame patogenetico tra gene e sintomi.

Cederquist e colleghi hanno affrontato questo difficile tema accorpando diverse cellule staminali indotte tratte da 30 linee isogeniche di autismi monogenici

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7376579/

Le hanno mescolate in un unico disco e le hanno fatte differenziare in cellule della corteccia prefrontale per testare le diverse ipotesi dello sviluppo precoce. In questo modo hanno potuto classificare le diverse linee cellulari in due classi.
Le mutazioni di classe 1 (8/27) inibiscono, mentre le mutazioni di classe 2 (5/27) aumentano la neurogenesi della corteccia prefrontale. 
Dallo studio emerge che vi sono delle vie molecolari e di sviluppo convergenti di diverse mutazioni associate all’autismo.

Questo dovrebbe essere un primo passo verso la ricerca di target per terapie innovative basate non più sui sintomi, ma su disfunzioni biologiche omogenee comuni a diverse mutazioni geniche.

La strada è lunga per arrivare a terapie efficaci nell’uomo, ma questa metodica, che riproduce in vitro ciò che è impossibile osservare in vivo, ovvero l’organogenesi embrionale,  e mostra diverse vie disfunzionali che accomunano gruppi di mutazioni  diverse, mi sembra uno strumento di ricerca promettente da incentivare e da finanziare.
   Daniela Mariani Cerati


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