[autismo-biologia] Deletion of autism risk gene Shank3 disrupts prefrontal connectivity

Elena Maestrini elena.maestrini a unibo.it
Mar 21 Maggio 2019 13:16:10 CEST


Gent.ma<http://Gent.ma> Margherita,
Le delezioni di SHANK3,  che sono il tipo di alterazione piu’ comunemente riscontrata, possono essere evidenziate tramite il test array-CGH, o microarray cromosomici. Questo test è indicato per tutti i soggetti con diagnosi di autismo, ed è in grado di rilevare non soltano microdelezioni di SHANK3, ma anche altre alterazioni genomiche associate ad autismo.
Più raramente SHANK3 è alterato da mutazioni di piccole dimensioni, che non sono rilevabili tramite array-CGH, e richiedono uno screening del gene mirato, ma queste sono molto rare.
Cordiali saluti
Elena Maestrini (Università di Bologna)


On 20 May 2019, at 16:23, Margherita Ranalli <margheritaranalli a yahoo.it<mailto:margheritaranalli a yahoo.it>> wrote:

Scusate quindi dovremmo effettuare analisi genetiche con ricerca di questo gene?

Il lunedì 20 maggio 2019, 16:17:32 CEST, daniela <daniela a autismo33.it<mailto:daniela a autismo33.it>> ha scritto:


Lo studio delle condizioni monogeniche offre la possibilitá di
percorrere la strada che porta dal gene all’anatomia alla fisiologia al
sintomo.
Questo tipo di studi ci mostra le tante strade che portano ai sintomi
dell’autismo e aumenta le nostre conoscenze sul funzionamento del
cervello nella normalitá e nella patologia.
In medicina la conoscenza non é peró fine a se stessa, ma é finalizzata
alla sperimentazione di terapie che, in quanto supportate da solide basi
conoscitive, hanno maggiori probabilitá di successo delle
sperimentazioni prive di tali basi.
Lo studio delle condizioni monogeniche ha come prima finalitá quella di
curare i portatori di tali condizioni e, sperabilmente, anche di altri
sottogruppi che, pur non avendo quella particolare condizione di base,
potrebbero condividere con essa i target delle terapie.
Una condizione che sta emergendo come importante causa di autismo é la
delezione del gene Shank3, sulla quale uno studio pubblicato di recente
ha fornito elementi di conoscenza del tutto inediti.
Maria Luisa Scattoni, che ne é coautrice, ce ne ha mandato un ampio
resoconto. A lei va il mio caloroso ringraziamento a nome di tutti gli
iscritti alla lista autismo-biologia
                        Daniela Mariani Cerati

Deletion of autism risk gene Shank3 disrupts prefrontal connectivity;
Marco Pagani, Alice Bertero, Adam Liska, Alberto Galbusera, Mara
Sabbioni, Noemi Barsotti, Nigel Colenbier, Daniele Marinazzo, Maria
Luisa Scattoni, Massimo Pasqualetti and Alessandro Gozzi;
Journal of Neuroscience 6 May 2019, 2529-18; DOI:
https://doi.org/10.1523/JNEUROSCI.2529-18.2019

http://www.jneurosci.org/content/early/2019/05/06/JNEUROSCI.2529-18.2019

Uno studio tutto italiano, coordinato dall’Istituto Italiano di
Tecnologia di Rovereto e svolto in collaborazione con l’Università di
Pisa e l’Istituto Superiore di Sanità, ha fatto chiarezza su alcune
alterazioni strutturali e funzionali che si stabiliscono a seguito delle
delezione del gene Shank3. Lo studio è stato pubblicato qualche giorno
fa sulla rivista internazionale The Journal of Neuroscience.
Le mutazioni nel gene che codifica per la proteina Shank3 sono tra le
maggiori cause di disturbo dello spettro autistico. Il gene Shank3 è
infatti uno dei principali fattori di rischio implicati nella Sindrome
di Phelan-McDermid, un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da
fenotipo autistico, severa disabilità intellettiva e linguaggio assente
o estremamente ridotto. Shank3 è una proteina strutturale (scaffolding),
localizzata nelle sinapsi del sistema nervoso centrale e
coinvolta nell'organizzazione delle connessioni fra i neuroni
all'interno del cervello. Sebbene siano note la struttura e la funzione
di Shank3, i meccanismi neurali che vengono alterati quando il gene
Shank3 è mutato non sono ancora del tutto chiari.
Obiettivo principale del lavoro “Deletion of autism risk gene Shank3
disrupts prefrontal connectivity” è stato quello di studiare e
comprendere come le alterazioni genetiche in Shank3, che sappiamo essere
strettamente connesse ai disturbi dello spettro autistico, influiscono
sulla connettività e sulla regolazione di diverse funzioni cerebrali, in
particolare quelle socio-comunicative.
I ricercatori hanno riprodotto la mutazione Shank3 in un modello
murino e hanno utilizzato tecniche di risonanza magnetica ad alta
risoluzione (MRI) per mappare anomalie strutturali e funzionali. La
risonanza magnetica funzionale in resting state (rsfMRI), che misura
l’attività di base del cervello in assenza di stimolazione esterna, ha
permesso di identificare una robusta alterazione della connettività
locale e a lungo raggio nelle aree fronto-corticali e fronto-striatali
che partecipano al "default mode network” (DMN). Quest’ultimo
costituisce una rete complessa di regioni cerebrali, strettamente
connesse tra di loro per funzioni astratte che hanno un alto livello di
complessità cognitiva. Gli studiosi sottolineano la presenza di una
ridotta connettività e compromessa sincronizzazione funzionale nei topi
mutati Shank3, soprattutto a livello della corteccia prefrontale. Da
notare che questi risultati rafforzano quanto evidenziato in altri studi
clinici e preclinici. Infatti convergenti pattern di ipo-connettività
prefrontale sono stati riportati in modelli animali e in persone con
mutazioni/delezioni a carico di diversi geni associati ai disturbi dello
spettro autistico. Queste ricerche, dunque, suggeriscono che l’ampia
eterogeneità eziologica a base genetica che caratterizza l’autismo può
dare origine a patterns condivisi di connettività, e quindi di
funzionalità cerebrale, nelle persone nello spettro autistico.
La risonanza magnetica strutturale (VBM o morfometria basata sui voxel)
ha aiutato a capire se la mancanza della proteina Shank3 avesse prodotto
anche alterazioni neuroanatomiche. I topi privi di Shank3 presentano una
significativa riduzione di volume di materia grigia e dello spessore
corticale in diverse regioni, tra cui l’area prefrontale, in cui è stata
evidenziata un’anomala connettività funzionale. Queste analisi
strutturali nel modello animale ricapitolano alcuni studi
di neuroimaging condotti in coorti di pazienti nello spettro autistico.
Molto interessante in questo lavoro è l’analisi di correlazione tra le
alterazioni delle aree corticali e l’attività comportamentale del topo
privo del gene Shank3. Prima di tutto, è stato caratterizzato il modello
murino per misurare i livelli di interazione e comunicazione sociale e
dimostrato che esso presenta un fenotipo comportamentale altamente
riconducibile a quello autistico. Infatti, nel test di interazione
sociale (in cui il topo è libero di esplorare il proprio conspecifico in
un’arena aperta), il mutante Shank3 stabilisce meno contatti sociali
diretti e mostra alterazioni nell’emissione delle vocalizzazioni
ultrasoniche. L’analisi dell’emissione ultrasonica nei modelli animali
permette di studiare la presenza/assenza di deficit socio-comunicativi
in quanto le vocalizzazioni ultrasoniche sono emesse dai roditori per
comunicare con i conspecifici in differenti contesti sociali.
Successivamente, quando le misure comportamentali sono state correlate
per ciascun topo a quelle della risonanza magnetica funzionale (rsfMRI),
è stato visto che l’ipo-connettività prefrontale si associa ad un
ridotto numero di vocalizzazioni ultrasoniche. Un’analoga correlazione è
stata riportata tra il volume di materia grigia e il repertorio vocale
murino: all’ipotrofia della corteccia cerebrale si associa una ridotta
frequenza nell’emissioni delle vocalizzazioni ultrasoniche. Questi
dati indicano che anomalie cerebrali strutturali e funzionali a seguito
di mutazioni genetiche influiscono fortemente sul comportamento sociale,
sfociando in sostanziali deficit socio-comunicativi.
In associazione alla ridotta connettività funzionale, i ricercatori
hanno studiato le connessioni strutturali delle regioni corticali dei
topi mutanti. A tale scopo, è stato effettuato un esperimento di
marcatura retrograda impiegando un specifico tracciante (virus
ricombinate). Oltre all’ipo-connettività funzionale individuata
tramite rsfMRI, i mutanti Skank3 presentano una ridotta densità delle
proiezioni neuronali a livello locale, ma non a lungo raggio, nella
corteccia prefrontale. In particolare le popolazioni neuronali
interessate sono quelle eccitatorie. In precedenti lavori con modelli
genetici di autismo, è stato infatti visto che la maturazione
disfunzionale dei sistemi neuronali eccitatori e inibitori che si
verificano durante lo sviluppo possono dare origine a squilibri
permanenti nella connettività corticale e sincronizzazione funzionale.
I risultati di questo lavoro ampliano la comprensione dei meccanismi
neurali indotti dalla mutazione Shank3 e aprono la strada a successive
ricerche, con lo scopo di individuare le origini della sintomatologia
autistica. Le disfunzioni che caratterizzano il mutante Shank3
compromettono fortemente i complessi meccanismi neurali che mediano il
comportamento socio-comunicativo, attraverso il coinvolgimento di
circuiti fronto-striatali e fronto-cortiali. In particolare, le evidenze
sopra descritte sottolineano il ruolo della corteccia prefrontale come
mediatore delle funzioni sociali e delle funzioni cognitive complesse,
la cui alterazione è rilevante nel disturbo dello spettro autistico. La
delezione Shank3 predispone all’insorgenza di disturbi del
neurosviluppo, tra cui l’autismo, attraverso la disregolazione della
sincronizzazione e della connettività funzionale nelle aree corticali e
al successivo stabilirsi di anomalie socio-comunicative. I deficit di
natura linguistica e comunicativa osservati nei soggetti con Sindrome
di Phelan-McDermid sono riprodotti nel modello animale. Dunque, il
mutante Shank3 fornisce un valido modello traslazionale per studiare in
dettaglio le alterazioni neuronanatomiche, funzionali e comportamentali
associate al disturbo dello spettro autistico.

Maria Luisa Scattoni, PhD
Research Coordination and Support Service
Istituto Superiore di Sanità
Viale Regina Elena 299,
00161 Rome, Italy





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