[autismo-biologia] Deletion of autism risk gene Shank3 disrupts prefrontal connectivity

daniela daniela a autismo33.it
Lun 20 Maggio 2019 16:15:04 CEST


Lo studio delle condizioni monogeniche offre la possibilitá di 
percorrere la strada che porta dal gene all’anatomia alla fisiologia al 
sintomo.
Questo tipo di studi ci mostra le tante strade che portano ai sintomi 
dell’autismo e aumenta le nostre conoscenze sul funzionamento del 
cervello nella normalitá e nella patologia.
In medicina la conoscenza non é peró fine a se stessa, ma é finalizzata 
alla sperimentazione di terapie che, in quanto supportate da solide basi 
conoscitive, hanno maggiori probabilitá di successo delle 
sperimentazioni prive di tali basi.
Lo studio delle condizioni monogeniche ha come prima finalitá quella di 
curare i portatori di tali condizioni e, sperabilmente, anche di altri 
sottogruppi che, pur non avendo quella particolare condizione di base, 
potrebbero condividere con essa i target delle terapie.
Una condizione che sta emergendo come importante causa di autismo é la 
delezione del gene Shank3, sulla quale uno studio pubblicato di recente 
ha fornito elementi di conoscenza del tutto inediti.
Maria Luisa Scattoni, che ne é coautrice, ce ne ha mandato un ampio 
resoconto. A lei va il mio caloroso ringraziamento a nome di tutti gli 
iscritti alla lista autismo-biologia
                         Daniela Mariani Cerati

Deletion of autism risk gene Shank3 disrupts prefrontal connectivity;
Marco Pagani, Alice Bertero, Adam Liska, Alberto Galbusera, Mara 
Sabbioni, Noemi Barsotti, Nigel Colenbier, Daniele Marinazzo, Maria 
Luisa Scattoni, Massimo Pasqualetti and Alessandro Gozzi;
Journal of Neuroscience 6 May 2019, 2529-18; DOI: 
https://doi.org/10.1523/JNEUROSCI.2529-18.2019

http://www.jneurosci.org/content/early/2019/05/06/JNEUROSCI.2529-18.2019

Uno studio tutto italiano, coordinato dall’Istituto Italiano di 
Tecnologia di Rovereto e svolto in collaborazione con l’Università di 
Pisa e l’Istituto Superiore di Sanità, ha fatto chiarezza su alcune 
alterazioni strutturali e funzionali che si stabiliscono a seguito delle 
delezione del gene Shank3. Lo studio è stato pubblicato qualche giorno 
fa sulla rivista internazionale The Journal of Neuroscience.
Le mutazioni nel gene che codifica per la proteina Shank3 sono tra le 
maggiori cause di disturbo dello spettro autistico. Il gene Shank3 è 
infatti uno dei principali fattori di rischio implicati nella Sindrome 
di Phelan-McDermid, un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da 
fenotipo autistico, severa disabilità intellettiva e linguaggio assente 
o estremamente ridotto. Shank3 è una proteina strutturale (scaffolding), 
localizzata nelle sinapsi del sistema nervoso centrale e 
coinvolta nell'organizzazione delle connessioni fra i neuroni 
all'interno del cervello. Sebbene siano note la struttura e la funzione 
di Shank3, i meccanismi neurali che vengono alterati quando il gene 
Shank3 è mutato non sono ancora del tutto chiari.
Obiettivo principale del lavoro “Deletion of autism risk gene Shank3 
disrupts prefrontal connectivity” è stato quello di studiare e 
comprendere come le alterazioni genetiche in Shank3, che sappiamo essere 
strettamente connesse ai disturbi dello spettro autistico, influiscono 
sulla connettività e sulla regolazione di diverse funzioni cerebrali, in 
particolare quelle socio-comunicative.
I ricercatori hanno riprodotto la mutazione Shank3 in un modello 
murino e hanno utilizzato tecniche di risonanza magnetica ad alta 
risoluzione (MRI) per mappare anomalie strutturali e funzionali. La 
risonanza magnetica funzionale in resting state (rsfMRI), che misura 
l’attività di base del cervello in assenza di stimolazione esterna, ha 
permesso di identificare una robusta alterazione della connettività 
locale e a lungo raggio nelle aree fronto-corticali e fronto-striatali 
che partecipano al "default mode network” (DMN). Quest’ultimo 
costituisce una rete complessa di regioni cerebrali, strettamente 
connesse tra di loro per funzioni astratte che hanno un alto livello di 
complessità cognitiva. Gli studiosi sottolineano la presenza di una 
ridotta connettività e compromessa sincronizzazione funzionale nei topi 
mutati Shank3, soprattutto a livello della corteccia prefrontale. Da 
notare che questi risultati rafforzano quanto evidenziato in altri studi 
clinici e preclinici. Infatti convergenti pattern di ipo-connettività 
prefrontale sono stati riportati in modelli animali e in persone con 
mutazioni/delezioni a carico di diversi geni associati ai disturbi dello 
spettro autistico. Queste ricerche, dunque, suggeriscono che l’ampia 
eterogeneità eziologica a base genetica che caratterizza l’autismo può 
dare origine a patterns condivisi di connettività, e quindi di 
funzionalità cerebrale, nelle persone nello spettro autistico.
La risonanza magnetica strutturale (VBM o morfometria basata sui voxel) 
ha aiutato a capire se la mancanza della proteina Shank3 avesse prodotto 
anche alterazioni neuroanatomiche. I topi privi di Shank3 presentano una 
significativa riduzione di volume di materia grigia e dello spessore 
corticale in diverse regioni, tra cui l’area prefrontale, in cui è stata 
evidenziata un’anomala connettività funzionale. Queste analisi 
strutturali nel modello animale ricapitolano alcuni studi 
di neuroimaging condotti in coorti di pazienti nello spettro autistico.
Molto interessante in questo lavoro è l’analisi di correlazione tra le 
alterazioni delle aree corticali e l’attività comportamentale del topo 
privo del gene Shank3. Prima di tutto, è stato caratterizzato il modello 
murino per misurare i livelli di interazione e comunicazione sociale e 
dimostrato che esso presenta un fenotipo comportamentale altamente 
riconducibile a quello autistico. Infatti, nel test di interazione 
sociale (in cui il topo è libero di esplorare il proprio conspecifico in 
un’arena aperta), il mutante Shank3 stabilisce meno contatti sociali 
diretti e mostra alterazioni nell’emissione delle vocalizzazioni 
ultrasoniche. L’analisi dell’emissione ultrasonica nei modelli animali 
permette di studiare la presenza/assenza di deficit socio-comunicativi 
in quanto le vocalizzazioni ultrasoniche sono emesse dai roditori per 
comunicare con i conspecifici in differenti contesti sociali. 
Successivamente, quando le misure comportamentali sono state correlate 
per ciascun topo a quelle della risonanza magnetica funzionale (rsfMRI), 
è stato visto che l’ipo-connettività prefrontale si associa ad un 
ridotto numero di vocalizzazioni ultrasoniche. Un’analoga correlazione è 
stata riportata tra il volume di materia grigia e il repertorio vocale 
murino: all’ipotrofia della corteccia cerebrale si associa una ridotta 
frequenza nell’emissioni delle vocalizzazioni ultrasoniche. Questi 
dati indicano che anomalie cerebrali strutturali e funzionali a seguito 
di mutazioni genetiche influiscono fortemente sul comportamento sociale, 
sfociando in sostanziali deficit socio-comunicativi.
In associazione alla ridotta connettività funzionale, i ricercatori 
hanno studiato le connessioni strutturali delle regioni corticali dei 
topi mutanti. A tale scopo, è stato effettuato un esperimento di 
marcatura retrograda impiegando un specifico tracciante (virus 
ricombinate). Oltre all’ipo-connettività funzionale individuata 
tramite rsfMRI, i mutanti Skank3 presentano una ridotta densità delle 
proiezioni neuronali a livello locale, ma non a lungo raggio, nella 
corteccia prefrontale. In particolare le popolazioni neuronali 
interessate sono quelle eccitatorie. In precedenti lavori con modelli 
genetici di autismo, è stato infatti visto che la maturazione 
disfunzionale dei sistemi neuronali eccitatori e inibitori che si 
verificano durante lo sviluppo possono dare origine a squilibri 
permanenti nella connettività corticale e sincronizzazione funzionale.
I risultati di questo lavoro ampliano la comprensione dei meccanismi 
neurali indotti dalla mutazione Shank3 e aprono la strada a successive 
ricerche, con lo scopo di individuare le origini della sintomatologia 
autistica. Le disfunzioni che caratterizzano il mutante Shank3  
compromettono fortemente i complessi meccanismi neurali che mediano il 
comportamento socio-comunicativo, attraverso il coinvolgimento di 
circuiti fronto-striatali e fronto-cortiali. In particolare, le evidenze 
sopra descritte sottolineano il ruolo della corteccia prefrontale come 
mediatore delle funzioni sociali e delle funzioni cognitive complesse, 
la cui alterazione è rilevante nel disturbo dello spettro autistico. La 
delezione Shank3 predispone all’insorgenza di disturbi del 
neurosviluppo, tra cui l’autismo, attraverso la disregolazione della 
sincronizzazione e della connettività funzionale nelle aree corticali e 
al successivo stabilirsi di anomalie socio-comunicative. I deficit di 
natura linguistica e comunicativa osservati nei soggetti con Sindrome 
di Phelan-McDermid sono riprodotti nel modello animale. Dunque, il 
mutante Shank3 fornisce un valido modello traslazionale per studiare in 
dettaglio le alterazioni neuronanatomiche, funzionali e comportamentali 
associate al disturbo dello spettro autistico.

Maria Luisa Scattoni, PhD
Research Coordination and Support Service
Istituto Superiore di Sanità
Viale Regina Elena 299,
00161 Rome, Italy







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