[autismo-biologia] R: ricerca scientifica

Cristina Panisi cristina.panisi a tin.it
Lun 29 Ott 2018 00:55:27 CET


Interessanti spunti, importanti per ricerca e declinazione clinica.
 
I contenuti e le metodologie di ricerca da cui sono attesi i maggiori risultati sono quelli coerenti con il modello patogenetico neurobiologico e la sua complessità. 
L’innegabile importanza del genoma (si pensi alla concordanza tra gemelli monozigoti) ha portato, giustamente, ad approfondire questo ambito della ricerca, il cui valore non è in discussione. L’autismo ha uno dei più alti coefficienti di ereditabilità tra le malattie complesse. 
Ma non è da questa via che si attende il maggior contributo per comprendere la patogenesi e orientare gli interventi.
La ricerca biologica sull’autismo affronta questioni di pertinenza non esclusiva di questa condizione. Si tratta di meccanismi di cruciale importanza per numerosi fenomeni biologici. Dunque, occorre ampliare la prospettiva. L’epidemiologia dei disordini del neurosviluppo mostra un trend di prevalenza parallelo a quello di numerose altre condizioni (malattie neurodegenerative, immuno-allergiche, endocrino-metaboliche). Questo fenomeno può essere spiegato attraverso un paradigma patogenetico comune e il modello in chiave epigenetica sembra quello più plausibile. Ciò non nega assolutamente l’importanza dei geni e il fatto che, per l’autismo, siano presenti geni di suscettibilità che presiedono a funzioni chiave nella costruzione della rete sinaptica. 
Le fasi più critiche riguardano la programmazione cellulare durante la vita embriofetale. Lo studio di Grossi, Migliore e Muratori (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29681245) affronta molto bene la questione della multifattorialità ed evidenzia la complessità del modello in grado di tener conto dei diversi fattori di rischio (infezioni in gravidanza, esposizione a tossici ambientali, autoimmunità materna, taglio cesareo,  …), con interazioni complesse che non possono essere rappresentate attraverso un semplicistico modello di causa-effetto. 
L’attivazione immunitaria in epoca embriofetale è attualmente considerata uno dei principali fattori di interferenza per la costruzione della rete neuronale. L’attivazione immunitaria materna (MIA) può essere indotta da numerosi fattori ambientali (tra i quali quelli indicati nello studio di Grossi) e favorita da fattori di predisposizione individuale (per questo, si vedano i lavori di immunogenetica di Franca Guerini). La via della IL17 è tra le più interessanti, per diagnosi precoce e possibili strategie di intervento. Ma attualmente non se ne intravedono applicazioni. 
Promettente sembra la ricerca riguardante la modulazione dell’infiammazione microgliale, uno degli obiettivi principali di diversi trial clinici. L’impiego di molecole differenti e metodologie diverse delle ricerche (che non rendono confrontabili i risultati), non hanno consentito per ora di raggiungere evidenze.
 
Epigenetica, immunogenetica, attivazione immunitaria, stress ossidativo, funzionalità mitocondriale, microbiota, gut-brain axis … rappresentano attualmente importanti capitoli della ricerca – pochi lavori a firma di autori italiani e molti progetti rimasti nel cassetto. 
La ricerca su questi temi è molto frammentaria e strutturata “a compartimenti stagni”. Lavori monotematici, che non correlano tra loro i biomarcatori dei diversi ambiti di ricerca, tantomeno con il fenotipo clinico (riferito all’autismo, alle modalità di insorgenza e alle comorbidità). 
Dunque, ricerche multidisciplinari e impiego di modelli complessi sono il presupposto per ottenere evidenze per terapie mirate. Questo è l’orientamento che si inizia ad intravedere e che andrebbe maggiormente incoraggiato con la destinazione di risorse. 


Cristina Panisi

Inviato da iPad

> Il giorno 28 ott 2018, alle ore 13:01, Marina Marini <marina.marini a unibo.it> ha scritto:
> 
> Sono globalmente d'accordo con Giovanni Marino. La ricerca scientifica è sostanzialmente in ritardo in Italia anche perché solo da poco tempo si stanno occupando di autismo alcuni professionisti non coinvolti nel percorso assistenziale ed educativo (tra cui la sottoscritta), ma all'estero non è così, da tempo la ricerca sull'autismo è portata avanti anche da biochimici, immunologhi, ecc. e nel nostro mondo globale poco importa dove viene eseguito uno studio, tutti possono leggere gli articoli pubblicati. Quindi il ritardo italiano incide poco, ma prendiamo pure atto che in genere la ricerca "di base" ha affrontato il problema autismo in tempi relativamente tardivi.
> In quanto all'importanza dei fattori epigenetici, anche qui sono molto d'accordo con Marino e noto l'acutezza della sua osservazione sul rapporto maschi/femmine. In realtà, a sostegno dell'importanza dei fattori ambientali c'è proprio il fatto che il rapporto maschi/femmine è andato calando. Secondo Boyle et al, è passato da 4,42 nel biennio 1997-1999 a 3,23 nel biennio 2006-2008. E credo che oggi sia ancora minore. 
> Anche sull'importanza degli aspetti neuroimmunologici che stanno emergendo sono del tutto d'accordo. Anche il mio gruppo ha ottenuto dei dati (che speriamo di pubblicare a breve) che suggeriscono il coinvolgimento della neuroinfiammazione nei bambini che abbiamo studiato e abbiamo costituito una potenziale collaborazione con esperti di questo campo (già coinvolti nello studio dell'ASD). Il problema da noi è duplice: a) assoluta mancanza di fondi dedicati; b) difficoltà dei colleghi coinvolti nei percorsi assistenziali, che troppo faticano a trovare il tempo non dico per programmare uno studio autonomo, ma anche per collaborara con chi glielo propone. E in qualche caso è anche vero che hanno ristrettezze di vedute, ma non si può dire che le strutture assistenziali facciano il possibile per aprire i loro dipendenti a collaborazioni, scambi, ecc.
> Marina Marini
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