[autismo-biologia] disturbo socio pragmatico comunicativo

daniela a autismo33.it daniela a autismo33.it
Gio 7 Giu 2018 16:16:33 CEST


Ho posto il quesito di Elisabetta Lalumera ad alcuni colleghi. Ecco le
risposte di Leonardo Zoccante, Neuropsichiatra dell’Universitá di Verona,
e di Donata Pagetti Vivanti, medico, giá Presidente di Autismo-Europa

Leonardo Zoccante ha scritto

l DSM-5 ha introdotto entità che oltre a seguire l'aspetto categoriale
evidenziano anche aspetti dimensionali. Il disturbo socio-pragmatico o
della comunicazione sociale nel DSM-5 evidenzia un'entità con
compromissione della comunicazione (usualmente al profilo cognitivo hanno
una differenza significativa dei punteggi ottenuti nel verbale rispetto a
quelli di performance) priva però delle caratteristiche peculiari
dell'autismo caratterizzate dalla condivisione e dall'aggancio
congiunto. Si tratta pertanto di un disturbo che tiene conto della
complessità del disturbo del linguaggio e nello specifico del disturbo del
linguaggio dove la produzione verbale è buona ma con caratteristiche
deficitarie sia a livello semantico che pragmatico. Nei primi anni di vita
a volte la diagnosi differenziale con lo spettro autistico risulta
difficile, mentre tende a diventare più netta con la crescita.

A mio parere è una scelta adeguata perché evidenzia un disturbo dello
sviluppo che si pone a confine con lo spettro autistico, con un'evoluzione
nel tempo più favorevole. Parimenti, sul piano delle performance potrebbe
essere interessante, in quanto anche noi come altri gruppi italiani e
internazionali ci stiamo muovendo in questa direzione, riuscire a
riconoscere una condizione analoga anche sull'altro versante e cioè quello
delle performance, individuando il disturbo non-verbale (attualmente
inserito nello spettro autistico) come entità vera e propria che,
per compromissione, si colloca ad un livello inferiore rispetto allo
spettro autistico.

Essendo un disturbo che varia con l'età evolutiva, si presta ad essere a
volte difficilmente differenziabile. All'interno però di questo gruppo
esiste a mio parere una percentuale di circa il 50% che con accurate
valutazioni mirate si riesce ad identificare precocemente a partire dai
primi anni di vita. 
     Leonardo Zoccante
   


Donata Pagetti Vivanti, oltre a dare un suo parere, mi ha inviato un
articolo di Giacomo sul tema “L’autismo nel DSM5” pubblicato su
Informautismo  ai tempi dell’adozione del DSM 5, che invieró
individualmente a chi me lo richiederá

Ecco la risposta di Donata Pagetti Vivanti

“Come per tutte le edizioni del DSM, i cambiamenti di un’edizione rispetto
alla precedente derivano da un’analisi attenta della letteratura
scientifica pubblicata nel frattempo, quindi dall’acquisizione di nuove
conoscenze, non riflettono pareri  personali.  
Quanto all’utilità o meno del cambiamento, il DSM e la altre
classificazioni sono utili in quanto riassumono conoscenze derivate da
un’analisi oggettiva degli studi più attendibili della letteratura
scientifica,  ma non possono essere condizionate dall’”utilità” per il
paziente o per il clinico. L’introduzione della nuova diagnosi di Disturbo
della Comunicazione Sociale può effettivamente portare
complicazioni nel sistema dei servizi, poichè  non è chiaro , almeno per
ora,  quale relazione ci sia fra questa nuova diagnosi e i disturbi dello
spettro autistico, né quali siano i trattamenti e le strategie
d’intervento da raccomandare. Tuttavia queste possibili conseguenze o
altre considerazioni di tipo “utilitaristico” non possono influenzare
l’evoluzione concettuale prodotta  dal panel di esperti sulla base di dati
empirici. 


Concordo pienamente con te che in ogni caso è il profilo di funzionamento
 della persona, oltre alle priorità, ai desideri e alle aspettative sue e
della famiglia, che deve orientare il programma d’intervento, non la
diagnosi categoriale, che serve piuttosto a orientare gli studi
epidemiologici e la ricerca eziopatogenetica.


In particolare, l’introduzione della nuova categoria diagnostica del
“Disturbo della Comunicazione Sociale” è motivata dell’evidenza che alcuni
bambini possono presentare una menomazione nell’uso sociale
della comunicazione senza manifestare comportamenti rigidi/ripetitivi.
(Rapin & Allen, 1983). Il panel di studiosi che ha redatto il relativo
capitolo del DSM 5 ha evidentemente ritenuto, dopo lunghe discussioni e
non certo secondo un parere personale, che questa nuova categoria
rispondesse meglio a una descrizione puntuale della popolazione che
presenta quel disturbo. 
   Donata Pagetti Vivanti



     Daniela mariani Cerati


> Buongiorno a tutti,
>
> sono una ricercatrice a Milano-Bicocca, mi occupo di filsoofia della
> medicina; in particolare, assieme a una collega, stiamo lavorando sui
> problemi concettuali delle nosologie psichiatriche.
>
> Vi scrivo per chiedervi un parere, come clinici ed esperti,
> sull'introduzione del disturbo socio pragmatico comunicativo nel DSM-5
> come
> entità separata dalla sindrome dello spettro autistico. Secondo voi è
> stata
> una scelta utile? Porta a migliori percorsi di trattamento? E'
> scientificamente ben fondata?
>
> Vi ringrazio per l'attenzione. Grazie per il lavoro molto interessante di
> scambio e mutua informazione.
>
> Elisabetta Lalumera
>
>
>
>
>
>
> *Elisabetta Lalumera, PhDRicercatrice di Filosofia del Linguaggio, con
> abilitazione nazionale a Professore AssociatoUniversità di
> Milano-Bicocca, Dipartimento di PsicologiaPiazza Ateneo Nuovo 1, 20126
> Milano - Ihttps://sites.google.com/site/elisabettalalumera/
> <https://sites.google.com/site/elisabettalalumera/>*
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