R: [autismo-biologia] terminologia

mazzoni.armando a libero.it mazzoni.armando a libero.it
Gio 19 Mar 2015 23:34:32 CET


Non sono contrario al pensiero della Dott.ssa Caretto;  le parole sono importanti, ma, aggiungo, lo sono tantissimo anche i fatti, senza i quali anche le giuste parole (dette o scritte) rischiano di svuotarsi, diventare accademia, “politically correct”.

 

E purtroppo di fatti concludenti che indichino almeno la strada verso la piena comprensione della sindrome da un lato e del singolo individuo dall’altro, credo ce ne siano ancora proprio pochi. E in queste condizioni le scorciatoie intellettuali, i luoghi comuni ( da parte di TUTTI) e lo stigma sociale trovano un terreno fertilissimo. Credo che il problema principale che ancora riduce al minimo le speranze di miglioramento e di una pragmatica, realistica, EFFETTIVA, inclusione sociale delle persone con questa disabilità sia la lentezza del reale progresso scientifico.

 

Da: autismo-biologia-bounces a autismo33.it [mailto:autismo-biologia-bounces a autismo33.it] Per conto di Paola Fidani
Inviato: giovedì 19 marzo 2015 11:13
A: Autismo Biologia
Oggetto: Re: [autismo-biologia] terminologia

 

Molti anni fa, seguendo una nota trasmissione televisiva della RAI, un altrettanto noto direttore di un grande e famoso giornale, per definire non ricordo se il comportamento o l'atteggiamento, o comunque una prerogativa dei terroristi (quello era l'argomento in discussione in quella serata), lo definì come "autistico, autoreferenziale".
Sono saltata letteralmente sul divano dove ero seduta, in preda all'indignazione e ho guardato mio figlio che se ne stava tranquillo con noi a guardare la televisione, in compagnia del suo IPod, senza far nulla di male.
Dopo una breve discussione in famiglia su cosa sarebbe stato meglio fare, se telefonare in trasmissione, inviare una e-mail di protesta o altro, decidemmo di lasciar stare, ma ancora oggi penso di aver sbagliato.
E' vero anche che non è stata l'unica volta in cui ho sentito utilizzare il termine autistico per indicare qualcosa di negativo, ma è anche vero che certamente chi aveva pronunciato quella frase non voleva riferirsi alle persone autistiche e credo anche di comprendere che cosa volesse effettivamente dire, ma trovo che sia realmente molto grave continuare ancora oggi a utilizzare un termine che ormai identifica una disabilità per indicare qualità negative di altri gruppi o persone che nulla hanno a che fare con l'autismo.
Infine, mi chiedo se i direttori di giornale e i conduttori di talk-show, sappiano cos'è l'autismo.
Probabilmente no.
Che vi devo dire, meno male che c'è Caretto.
Grazie Flavia.
Un caro saluto a tutti.
Paola Fidani

Il 18.03.2015 06:10 Flavia Caretto ha scritto:

Salve, sono Flavia Caretto, psicologa.

Leggo sempre con attenzione le e-mail della lista autismo-biologia, pur non essendo un medico o un biologo, e senza la pretesa di comprendere davvero ciò che si pubblica.

Vorrei segnalare qualcosa che mi appare come un problema. Noto che spesso si utilizza, nelle semplificazioni giornalistiche, ma anche nel parlare comune “intorno” all'autismo, un linguaggio privo di rispetto, a prescindere dal “dato” a cui ci si sta riferendo. Si utilizzano parole che hanno assunto una connotazione di giudizio nell’uso comune – una connotazione da cui non si può prescindere. A volte il senso sociale di un termine “prevale” su quello tecnico (e rende il termine semplicemente offensivo) mentre altri termini veicolano concetti semplicemente errati. Ad esempio, la definizione di “comportamenti antisociali” riferita all'autismo, non ha alcun riscontro nella letteratura scientifica, ed è stigmatizzante, in quanto evoca contrapposizione e pericolosità sociale. Alcuni titoli giornalistici in verità non hanno proprio alcuna relazione con il contenuto: immagino che vengano scelti per indurre qualcuno a leggere di più.

Ma spesso l'autismo viene descritto anche nelle pubblicazioni scientifiche (anche e forse soprattutto da chi non ha conosciuto – lavorato – vissuto con persone autistiche) in termini fortemente e radicalmente, direi "violentemente" e unicamente, negativi, che mi lasciano imbarazzata.

Da persona tipica, cerco di capire le motivazioni che spingono le altre persone tipiche a fare generalizzazioni e semplificazioni, ma trovo comunque che far “rimbalzare” definizioni sbagliate da una notizia all'altra non ottenga altro effetto di aumentare lo stigma, e quindi, in definitiva, di allontanare le possibilità di comprensione sociale dell'autismo e di migliorare la qualità della vita delle persone autistiche e delle loro famiglie.

Se e quando è possibile, si dovrebbe porre attenzione ad usare un linguaggio corretto e ad evitare le terminologie che esprimono giudizi di valore e non corrispondono ai “dati” sperimentali. Non mi sembra solo una condizione di buon senso e di buona educazione, ma un problema di sostanza e di diritti.

Per ottenere un linguaggio corretto, basterà mettersi nei panni di un lettore autistico, e immaginare che la terminologia usata venga riferita a noi. Considerato che “accusiamo” le persone autistiche di scarsa empatia, non ci dispiacerà dimostrarne un po’, vero?

Flavia Caretto

18 marzo 2015




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