[autismo-biologia] etica della ricerca

ANGSA - RAVENNA angsaravenna a gmail.com
Sab 19 Apr 2014 10:05:03 CEST


Gentili, 
credo che Mazzoni tocchi interessanti punti sui quali sono sostanzialmente in accordo.  Mi scuso con gli Addetti ai lavori se oso sconfinare in un campo non di mia competenza, ma ricordo a Mazzoni che siamo di fronte ad uno spettro, con una enorme eterogeneità di rappresentazioni del disturbo, iniziando dal QI , alla capacità di verbalizzazione o meno, fino all'epilessia. Modestamente penso che fino a quando non si definiranno vari sottogruppi all'intermno dello spettro,  la cosa sarà molto complicata. Credo quindi che il bersaglio , anzi i bersagli siano così difficili da inviduare da essere questa una delle cause che ha impedito  il tutto.   Si deve cercare un ago nel pagliaio o si setaccia sperando che qualcosa resti nel retino?
Ricordo ancora la ricerca dei peptidi urinari, a cui aderimmo, purtroppo senza esito.
Ora da dove potremmo iniziare?solo dopo un ipotetico inizio  numeri verdi, piantine da rivendere, spot televisivi, potranno  e dovranno coinvolgerci. La sfida è aperta. 
Grazie, un sentito augurio di buona Pasqua.

Noemi Cornacchia
  ----- Original Message ----- 
  From: mazzoni.armando a libero.it 
  To: 'Autismo Biologia' 
  Sent: Friday, April 18, 2014 10:22 PM
  Subject: R: [autismo-biologia] etica della ricerca


  La puntualizzazione è giusta ma non mi sembra giustamente indirizzata alle considerazioni di partenza.

   

  Abbiamo bisogno di promuovere la ricerca? Si

   

  Abbiamo bisogno di nuove fonti di finanziamento? Si 

   

  Abbiamo bisogno di uno stile comunicativo più efficace? Si. Quest’ultimo non per influenzare i ricercatori su quale direzione debba prendere la ricerca stessa, né per diffondere e pubblicizzare e diffondere dati in momenti impropri, ma per rendere visibile all’opinione pubblica (ma anche ai diretti interessati) le informazioni per loro rilevanti: la dimensione del fenomeno a cui corrisponde una risposta medica purtroppo ancora nulla e il conseguente estremo bisogno di investire in ricerca per trovarla.

   

  Abbiamo visto l’opinione pubblica particolarmente sensibilizzata all’Aids (per esempio) che forse ha avuto sempre numeri minori rispetto all’Autismo (chiedo scusa se per chiarire un concetto metto a confronto due cose così eterogenee). In questo senso una comunicazione più efficace per l’Autismo può essere attuata verso l’opinione pubblica, che in forme diverse è il finanziatore della ricerca.

   

  Nell’opinione pubblica rientrano anche i genitori, che spesso, presi da iniziative che credono risolutive (scientifiche e non), non partecipano e proprio loro non sembrano gruppo di interesse sul tema (mi riferisco alla totalità dei genitori).

   

  Senza soldi il problema di tenere dei dati protetti neanche si porrà.

   

  Vedo con molta simpatia le iniziative nelle piazze di mele, arance, piantine, colombe, etc per finanziare ricerche su varie malattie…magari è il momento del Bonsai per l’Autismo (ma sono cronicamente disinformato, magari un’iniziativa del genere è già stata fatta).

   

  Cordialità

   

  AM

   

   

  Da: autismo-biologia-bounces a autismo33.it [mailto:autismo-biologia-bounces a autismo33.it] Per conto di Francesco Barale
  Inviato: venerdì 18 aprile 2014 20:34
  A: Autismo Biologia; daniela marianicerati
  Oggetto: Re: [autismo-biologia] etica della ricerca

   

  Perfetto
  Francesco Barale

  Il giorno 18/apr/2014 19:48, "daniela marianicerati" <marianicerati a yahoo.it> ha scritto:

  Credo che il tema della promozione della ricerca sia importante allo stesso modo, insieme alla ricerca di nuove fonti di finanziamento e di uno stile comunicativo più efficace. 

  Claudia Celenza

   

  Ricercatori e famigliari hanno gli stessi obiettivi: trovare le  cause dell’autismo, i meccanismi patogenetici e i target su cui agire per curare o, almeno, per lenire i gravi e molteplici sintomi. Bisogna però che, perché l’alleanza sia proficua, gli uni rispettino le esigenze degli altri. Una delle esigenze dei ricercatori è la riservatezza nei confronti delle loro ricerche, quando sono in itinere e non sono ancora pubblicate. Solo dopo che uno studio è stato pubblicato, è corretta e bene accetta la pubblicizzazione dello studio. Uno dei rischi della mancanza di riservatezza è l’appropriazione di ipotesi e di dati da parte di altri gruppi che poi magari giungono a pubblicare i dati prima del gruppo originale che ha fatto ipotesi e faticose ricerche per testare le proprie ipotesi. Inoltre, gli studi più seri sono inviati per la pubblicazione a riviste internazionali con un comitato di redazione costituito da altri scienziati esperti, che spesso svolgono il loro compito in maniera gratuita ("peer-review"). Ebbene, questi revisori hanno il compito di valutare se lo studio risponde a tutti i criteri che caratterizzano una pubblicazione scientifica e fanno "gli avvocati del diavolo" cercando di individuare eventuali falle, errori o cattive interpretazioni di dati di per sé corretti. Molto spesso, suggeriscono di svolgere ulteriori approfondimenti sperimentali o di riscrivere una parte della discussione Quindi, gli scienziati più seri attenderanno il giudizio definitivo dei loro "pari" prima di divulgare dei dati che potrebbero rivelarsi non definitivi. Per questo non si deve chiedere a un’associazione di famigliari che promuove in vario modo la ricerca di parlare della stessa prima della pubblicazione dei dati. 

    

  Quando poi c’è in corso una sperimentazione di terapie, non conviene fare della pubblicità. Si rischia di dare delle aspettative che poi possono venire disattese. I non addetti ai lavori fanno molta fatica a distinguere una sperimentazione da una terapia di provata efficacia. E ogni sperimentazione in quanto tale puo’ dare risultati negativi. Alla prossima e auguri

       Daniela MC


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