[autismo-biologia] stereotipie e comportamenti problema

Armando Mazzoni mazzoni.armando a libero.it
Mar 6 Ago 2013 22:43:16 CEST


Esiste qualcosa di altrettanto certo e rigoroso dell'insieme dei sintomi a cui riferirsi?

In attesa di un vostro commento, intanto provo a rispondere con le mie pochissime conoscenze.
Ebbene, mi viene da rispondere di no. Che il comportamento ripetitivo, gli interessi ristretti e le stereotipie siano una stigma riportato tanto dai criteri diagnostici che da larga parte dei genitori, e' difficile da contestare.

Usciti dai criteri diagnostici, ovvero dall'analisi dei sintomi, mi sembra si apra un mondo di ipotesi su tutto il resto: eziologia, funzionamento e psicologia della mente autistica, cure farmacologiche. Purtroppo niente di dimostrabile in modo scientificamente rigoroso, ancora, purtroppo. O sbaglio?

Credo che l'Autismo sia una delle vittime più illustri dell'interpretazione soggettiva o collettiva dei fenomeni osservati.

Ciò che riporta Gabrielli, la puntualizzazione precisa delle differenze tra Stereotipie e Comportamenti Problema, mi sembra corretto perché si basa sempre sull'analisi dei sintomi. Capire bene questa differenza può essere a mio avviso di enorme aiuto per operatori e genitori.

Su entrambe però, spesso subentrano interpretazioni del funzionamento e della psicologia della mente autistica, terreno su cui anche i comportamentisti (forse quelli meno esperti) scivolano con l'analisi funzionale (che in realtà nega queste interpretazioni)

Un autistico mette in atto le stereotipie perché è autistico; è una non spiegazione, in attesa di un'analisi diversa e dimostrabile. Di fronte a tanta impotenza analitica, mi sembra che la maggior parte "si limita" a proporre un'alternativa  che magari entri nel tempo in competizione con l'interesse stereotipato.

Perché un autistico mette in atto Comportamenti Problema? Qui debbo tacere. Non so per ignoranza quanto sia stata/e' efficace l'analisi funzionale per contrastarli.

Inviato da iPad

Il giorno 04/ago/2013, alle ore 16:12, Tiziano Gabrielli <tgabrielli a cr-surfing.net> ha scritto:

> L'opportunità di distinguere le Stereotipie (S) dai Comportamenti Problema (CP) nei DSA, fu introdotta per la prima volta nel 2006 con la comunicazione "Stereotipie e Comportamenti Problema" (AJMR 2 Febb 2006 Gabrielli Cova). Questa distinzione trova un valido fondamento sia nella clinica che nell'abilitazione. Gli elementi distintivi le due fattispecie cliniche sono netti e non tenui o sfumati come sembrerebbe in superficie. Questo ritardato inquadramento é dipeso forse dai condizionamenti duraturi che decenni di inclusione in un solo grande contenitore ha consentito. Promisquità permessa da un illecito giudizio di "attuale tollerabilità", mai oggettiva ma legata, di volta in volta,  a parametri personali, occasionali o di opportunità. Da una parte le S con la loro caratteristica "alta frequenza" di emissione, limitatezza di contenuto, reiterazione, perseverazione, non ricerca di effetto ambientale ad esse conseguente; a-funzionalità evidente nella quasi totalità delle espressioni ... e dall'altra i CP, "bassa frequenza", ricerca di effetto ambientale in un crescendo proporzionale all'effetto ottenuto; "funzionalità" dunque... tanto per iniziare.   
>  Purtroppo la consuetudine a considerare le Stereotipie (S) un aspetto clinico prevalentemente "motorio" e la propensione ad associarle soprattutto  ai casi "gravi" di DSA, ha impedito e impedisce la comprensione che con tale termine si dovrebbe indicare, non solo il banale atto motorio stigmatizzante ma piuttosto, il ben più esteso  "andamento" IDEATIVO-COMPORTAMENTALE che caratterizza trasversalmente le persone con DSA. Un sistema funzionale il "disfunzionare stereotipato", caratterizzato da un fundus pervasivo di emissioni LIMITATE, REITERATE, PERSEVERANTI, ADESIVE, ad "ALTA FREQUENZA di emissione"... che tendenzialmente permea di sè  l'intero humus ideativo-comportamentale quotidiano. Quindi sarebbe più giusto parlare di andamento clinico comune e trasversale i quadri più diversi dei DSA.. Ci si dovrebbe chiedere infatti cosa possa essere altrimenti, se non una stereotipia..., un continuo battito di mani o una banale domanda insaziabile;  o l'immancabile dichiarazione verbale al passaggio davanti ad una specifica insegna;  un risolino continuo per mattinate intere senza ragione apparente; un maniacale allineamento o obbligato riordino degli oggetti sulla mensola;  l'imposizione del posto dove siederà il fratello; l'annusare i piedi di chiunque; alimentarsi sbianchi alimenti di colore bianco,ecc.  Si dovrebbe infatti intendere con il termine DS o S, l'intera e famosa rappresentazione sintomatica dell' "immutabilità kanneriana". S per riassumere il modo spontaneo di funzionare di questi soggetti (Out Aut Vannini Ed 2011). Stereotipia (non solo quando è flapping o saltelli) come sintesi di un andamento funzionale complesso dunque, esprimibile forse meglio come  "disfunzionare stereotipato"(DS). Un modo di funzionare totalmente indipendente dal livello intellettivo e dalla personalità del soggetto perchè nonostante le più diverse personalità e/o livelli intellettivi incontrati nello spettro, si ripropone come tipico "modus operandi",  caratteristicamente identico nello spontaneo ripresentarsi di attività cognitive motorio sensoriali LIMITATE, REITERATE, PERSEVERANTI, ADESIVE, subentranti, poco o nulla permeabili a improvvise varianti, poco flessibilità, non pianificabili secondo logica e prospettiva utilitaristica, scarsa evoluzione, nessuna utilità sociale, efficacia, rebound economico... Un modo di funzionare patologico comune (DS) che riverbera all'interno di una complessiva inadegatezza, di un'ordine, una rigidità esperienziale nell'apprendere e nel performare sempre poco utili, poco assimilabile al superamento del contesto in cui scaturisce e spesso avulsa dal contesto stesso. Modalità di funzionare tendenzialmente pervasiva (nonostante eventuali picchi di competenza) frammentata, ripetitiva, secondo eventi tendenzialmente immodificabili e infine francamente  "NON FUNZIONALE", più che "dis-funzionale". Non voglio qui entrare nel dibattito, mai sufficientemente affrontato, dell'opportunità di riconoscere e circoscrivere clinicamente tale andamento anche nei casi apparentemente più avvantaggiati. (questo, detto per inciso, permetterebbe di prendere le distanze da una eccessiva lettura progressivamente sempre più psicologica o "psicodinamica" delle difficoltà degli HF e Asperger, visto che questo moderno "mood" attribuito ad essi... scorda assai precocemente gli elementi fondanti la diagnosi (anche la loro) e su cosa si dovrebbe lavorare. Appena il livello intellettivo si innalza leggermente si invocano consapevolezze e conflitti psicologici rischiando probabili danni ulteriori, volutamente misconosciuti, che il bombardamento di informazioni/connotazioni "emozionali" potrebbe produrre in questi soggetti in realtà assai meno complicati e oscuri di come li si rappresenta. 
> Tornando al problema della "funzionalità" perchè tema cruciale per distinguere il "disfunzionare stereotipato" (S) dagli altri comportamenti, i veri comportamenti problema (CP). 
> Cosa può significare "non funzionale" in un mondo culturale, quello della disabilità oggi, dove qualsiasi comportamento, anche il più orrendo e inaccettabile, è imperiosamente voluto "funzionale". Un tempo, chi avesse detto che un "delirio", un'"allucinazione" fosse da intendersi come  "funzionale", sarebbe stato sottoposto a severe quanto logiche critiche. Oggi tutto si può dire e confondere senza che nessuno prenda le distanze. Dire "A-funzionale" dunque... è oggi un azzardo se non proprio una bestemmia. "Funzionalità" a tutti i costi è il lite motive ricorrente. Le S secondo gli americani sarebbero funzionali in quanto meccanismo di autostimolazione, di compenso; di detensionamento, con effetti ansiolitici ecc. Non ultimo il collega che scrive alla lista individua un effetto di dismissione endorfinica... In parole povere, ancora una volta,  l'unico momento clinico che  risulta di fatto interrompibile e che si dovrebbe interrompere in quanto espressione principe della sd, viene in qualche maniera positivizzato, come se si potesse consentire in funzione di una sua " soggettiva" valutazione di "tollerabilità". Purtroppo il DS non é una attività che si debba consentire in quanto è in quanto  Qui però il problema si complica. Funzionale in quanto "la volontà" (l'impulso di comunicare qualcosa; di funzionare in un certo modo; lo scopo) precederebbe l'emissione (che purtroppo non è adeguata) di un dato comportamento (anche patologico). Il disabile elaborerebbe "una consapevolezza adattiva" che non riesce a trasferire, a comunicare in modo competente ma che comunque decide di esternare. Si attribuisce dunque, qui o là, anche nei casi più severi, un flash estemporaneo di normalità a fronte del nulla periodico. Tutto il mondo scientifico attuale perora questo assurdo punto di vista piccandosi di decifrare il messaggio adattivo nell'orrore. L' "analisi funzionale"(AF) individua ciò che genererebbe il comportamento (adattivo nell'intento ma disadattivo nei risultati) in esame. La conseguenza (ambientale) poi sarà giudicata,  favorevole o sfavorevole, rispetto alla "funzione" che è "già presente", seppure da individuare.  Dire oggi che "questa benedetta funzione" non c'è è incoerente rispetto a un intero processo culturale. Secondo i dettati dell'arte, c'è certamente uno stress, un disagio, una frustrazione, un desiderio e via di questo passo, che scatena il comportamento problematico. Eppure i trattati di psichiatria che studiavamo non più di una decina d'anni fa e che fanno bella mostra negli scaffali dei ns studi,  individuano la valenza clinica di  un comportamento (ad es) "ossessivo compulsivo" successivamente alla sua emissione. Era questa che comportava un disagio (le "attività ossessivo compulsive" diventavano tali solo quando il disagio della loro emissione diventava contraddizione tra vissuto e interiorità). La causa era eventualmente profonda e non facilmente Era dirimente nell'uso della terminilogia psichiatrica la "consapevolezza" (qualunque questa fosse) successiva all'accesso patologico. In autismo tutta questa  dottrina salta, ma anzichè evocare dei distinguo nosografici auspicabili accoglie una promiscuità evidente di termini in base, non a criteri clinii rigorosi, ma solo all'età del pz e alla specialità che se ne assume la presa in carico. Le stereotipie motorie diventano attvità ossessivo compulsive; le stereotipie ideative, psicosi, allucinazioni, ecc. Qualsiasi interpretazione del comportamento ("richiesa di attenzione" nell'es. riportato) è accolta mentre ha l'identico spessore dimostrativo della sua completa negazione.  
> Se le S sono un nucleo clinico preciso, 
> 
> 
> Il giorno 01/ago/2013, alle ore 09:28, Fondazione Marino <fondazionemarino a gmail.com> ha scritto:
> 
>> Buongiorno a tutti,
>> mi permetto di sottoporvi alcune riflessioni sulle stereotipie e sui
>> comportamenti problema.
>> 
>> 
>> 
>> Adulti con autismo: stereotipie e comportamenti-problema.
>> 
>> Quando si parla di epifenomeni correlati alla condizione di DPS,
>> l’attenzione di addetti ai lavori e non va subito nella direzione
>> delle stereotipie e dei comportamenti-problema che sono le stimmate
>> della malattia assieme all’irrequietezza, alla fuga dagli sguardi,  ai
>> deficit relazionali e dell’eloquio.
>> Per quanto riguarda le stereotipie ed i comportamenti-problema in
>> letteratura non v’è spazio sufficientemente dedicato per una
>> trattazione separata di essi che permetta una esplorazione finalizzata
>> ad una definizione esaustiva. Nella Fondazione Marino, struttura che
>> ospita esclusivamente persone adulte affette da questa malattia del
>> SNC, la osservazione continua ha permesso di formulare considerazioni
>> che possono aiutare ad orientarsi  ad  operare una distinzione tra i
>> due sintomi. Ciò non solo aiuta a capire ma permette, altresì, una
>> migliore comprensione del comportamento-problema che, molto spesso, è
>> l’unico elemento che indirizza il clinico verso la causa di un
>> malessere o di un disagio grave della persona con autismo.
>> 
>> Le stereotipie.
>> 
>> Comportamenti e gesti stereotipati hanno la caratteristica di essere
>> ripetitivi e sono perciò facilmente prevedibili nella loro
>> estrinsecazione ed automatici nell’effettuazione. Esiste una grande
>> varietà di stereotipie.
>> In un precedente lavoro abbiamo definito le stereotipie come la
>> traduzione in chiave motoria della scoraggiante semplicità e della
>> ossessiva ripetitività dei pensieri del soggetto autistico. E’
>> acquisizione certa che, in condizione di normalità, può essere
>> controllata la qualità dei pensieri ma che il loro fluire  è
>> inarrestabile. Essi possono insorgere senza causa apparente o in
>> conseguenza di un bisogno. Nel primo caso fluiscono tali e quali;
>> quando invece sono orientati ad essi seguono  gesti od azioni miranti
>> al soddisfacimento del bisogno per cui i pensieri stessi sono stati
>> elaborati. Un fatto certo è che, nello stato di veglia, i pensieri
>> scorrono in sostanziale, incondizionata autonomia se non interviene un
>> atto volontario che ne devii il corso  Probabilmente anche l’attività
>> cerebrale delle ore notturne risente di questa condizione; tuttavia i
>> pensieri della notte, che si traducono in sogni, sono sganciati dai
>> condizionamenti e dalle inibizioni dello stato di veglia. Si dà il
>> caso che le stereotipie, durante la notte, cessino come per incanto,
>> come se il sonno disinneschi il loro automatismo. Ciò fa pensare che
>> le stereotipie, in fase di veglia, siano innescate da un atto
>> volontario derivante da un bisogno compulsivo e che, poi, l’esecuzione
>> venga “affidata” al sistema extrapiramidale che la fa diventare
>> automatica. La malattia autistica è determinata da un disordine
>> neurologico provocato dall’arresto, a livelli diversi, dello  sviluppo
>> dell’anatomia e  della fisiologia del cervello. Questo si traduce in
>> disordine anatomo-funzionale che, probabilmente, favorisce le
>> connessioni che cortocircuitano le elaborazioni cerebrali di cui sono
>> capaci i soggetti affetti dalla malattia ed impediscono che le
>> elaborazioni stesse possano coagularsi in pensieri strutturati e
>> complessi. Questa monotona circolarità e la semplicità del ”pensare”
>> autistico si tradurrebbero in movimenti afinalistici reiterati che,
>> proprio per la loro ripetitività e prevedibilità, vengono definite
>> stereotipie. E’ seducente formulare un’ ipotesi integrativa per ciò
>> che riguarda le stereotipie autolesionistiche e cioè: che esse si
>> autoalimentino anche per l’innesco di un meccanismo fisiologico
>> ampiamente conosciuto: la liberazione delle beta-endorfine come
>> conseguenza delle auto-flagellazioni. E’ facile immaginare che, a
>> causa della devastazione della normale fisiologia, il cervello del
>> soggetto autistico possa non produrre o produrre in quantità
>> irrilevante queste sostanze la cui presenza, però, nel “milieu
>> interieur” è indispensabile per il mantenimento dell’omeostasi
>> comportamentale ed umorale. Le stereotipie autolesionistiche allora
>> avrebbero un loro finalismo e cioè la funzione di propiziare in
>> qualche modo il loro rilascio.
>> Riepilogando: le stereotipie non autolesionistiche potrebbero essere
>> la traduzione motoria della semplicità del pensare autistico e sono
>> afinalistiche; quelle autolesionistiche potrebbero avere la funzione
>> di stimolare la produzione delle beta-endorfine la cui sintesi
>> potrebbe essere carente nel soggetto con DPS.
>> 
>> I comportamenti-problema: ipotesi e commenti.
>> 
>> Il disagio fisico o mentale ed il dolore sono seguiti da aumento delle
>> stereotipie con possibilità di innesco di altri parossismi che
>> comprendono auto od etero-aggressività che sono l’unico strumento
>> efficace per il soggetto autistico per attirare l’attenzione su un suo
>> problema. L’evenienza più probabile, nel disagio, è lo scorrimento
>> verso l’aggravamento delle stereotipie. Quando il repertorio di queste
>> si esaurisce, senza che il soggetto che le emette raggiunga lo scopo,
>> compaiono vere e proprie crisi di auto ed etero-aggressività che
>> rappresentano ciò che comunemente definiamo comportamento-problema,
>> altro stigma dell’autismo al quale, però, si stenta di riconoscere
>> dignità a sé stante. Tuttavia, se non si introduce una discriminante,
>> la più accurata possibile, tra le stereotipie e i
>> comportamenti-problema si rischia di non recepire i messaggi dei
>> soggetti autistici condannandoli così ad una inutile e dannosa
>> somministrazione di psicofarmaci. Una linea di demarcazione netta tra
>> le prime ed i secondi non è facile da individuare e tuttavia esiste e
>> soltanto un occhio ben allenato riesce a percepirla nella fase di
>> passaggio. L’importanza di riconoscere la tenue linea di demarcazione
>> tra la stereotipia e il comportamento-problema sta nel modo diverso di
>> gestire le due condizioni: la stereotipia “innocente” va trascurata o
>> comunque non richiede un trattamento d’emergenza; il
>> comportamento-problema è, invece, una sentinella che avverte
>> l’operatore del disagio mentale serio o del problema fisico del
>> soggetto che li emette e vanno, quindi, interpretati e trattati in
>> modo adeguato.
>> 
>> Direttore Sanitario Fondazione Marino
>> Dott. Natalino Foti
>> _______________________________________________
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>> autismo-biologia a autismo33.it
>> ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).
>> Fondazione Augusta Pini ed Istituto del Buon Pastore Onlus.
>> Per cancellarsi dalla lista inviare un messaggio a: valerio.mezzogori a autismo33.it
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