[autismo-biologia] precisazione

Tiziano Gabrielli tgabrielli a cr-surfing.net
Gio 5 Gen 2012 11:44:19 CET


Egr. Dr. Foti, l'ultimo suo intervento e' ineccepibile, apprezzato e utile, pur  aprendo ad alcuni quesiti. 
Che la farmacologia in Autismo diventi esponenzialmente presente con il progredire dell'età e' un dato di fatto. Che i criteri da rispettare per l'utilizzo siano chiari, anche. Ma quello che mi lascia perplesso e' l'equazione ( seppure tra altre)  "problema comportamentale (CP) : morbilità medica da individuare ".
L'intensificarsi, nell'intervallo di tempo, delle emissioni di comportamenti disadattivi, specie se eteroaggressivi, sembra suggerire l'opportunità di avviare (anche) indagini di tipo medico generale per verificare possibili esordi di patologie varie (effetti collaterali compresi), e questo va benissimo, seppure in tale ipotesi, sarebbe bene non dimenticare che, di solito, l'esordio di una morbosita' (nei ns figli) si accompagna assai frequentemente con manifestazioni antitetiche a quelle prospettate, come prostrazione inusuali, rallentamento comportamentale generale, se non proprio richieste, piu' o meno esplicite e leggibili, di aiuto. Questi segnali (diametralmente opposti ai "comportamenti problematici" che lei indica quali, dapprima obiettivo della terapia e secondariamente effetto degli... effetti collaterali, della terapia stessa) potrebbero, a mio parere, essere colti rapidamente in una presa in carico residenziale, viste le specifiche caratteristiche di continuità che ne caratterizzano l'andamento. 
Decidere che incrementi di attivita' disadattive spingono per probabile presenza di comorbilita' non mi sembra qui dimostrato (sulla base del riscontro di patologie ricorrenti, lei mi insegna che in medicina basta indagare che qualcosa si trova; inoltre vi sono riscontri clinici del tutto asintomatici, e inoltre c'e' quella tipica disfunzionalita' sensoriale che caratterizza la sd. e che potrebbe fare la sua parte) 
Per queste ragioni la costruzione deduttiva-interpretativa elaborata, non mi sembra così lineare. 
Indagare e riconoscere patologie mediche come effetti collaterali dei farmaci in uso (effetti che lei elenca in base ai suoi riscontri) per la riduzione, soluzione di comporamenti problematici, se da una parte e' certo corretta, dall'altra non giustifica la presenza del sintomo comportamentale o una sua intensifcazione. I comportamenti disadattivi c'erano prima e ci sono dopo la terapia (ridotti nella fase intermedia tra le crisi, mi rispondera' lei, ma questo e' gia' tipico del loro andamento generale, rispondo io) quindi questo riscontro dovrebbe evidenziare che quella terapia ha avuto scarso effetto sul comportamento obiettivo. Se quest'ultimo si ripresenta come effetto collaterale, non c'è una grande corrispondenza terapeutica nel suo uso, seppure la sua ricerca si rivolge alla possibile nuova causa di esso. Secondo il suo ragionamento, la nuova terapia, sull'ultima causa, dovrebbe ripristinare l'efficacia ricercata dalla terapia anti CP. Quello che mi turba e' che non mi risulta accettabile dare con soddisfazione un  ad un epilettico (ad esempio) il cui possibile effetto collaterale coincida (mediante uno stimolatore che fornisco) con un aumento delle crisi. Mi sembra una spirale vertiginosa. Probabilmente la responsabilita' del comportamento "intollerabile" e' altrove, cosiccome la sua soluzione.
La farmacologia (ad juvantibus) va in soccorso alla gestibilita' e secondaramente all'abilitazione.
Purtroppo ancora secondariamente.
Se l'intervento abilitativo viene erogato (per antonomasia) al fine di ridurre (direttamente o indirettamente) le problematiche in oggetto, (gestibilita' compresa), dare farmaci (in parallelo) per migliorare la compliance che pero' possono contemporaneamente contrastarla, nell'immediato sedando, e secondariamente scatenando quanto si vorrebbe contenere, sembra una contraddizione irrisolvibile se non viene presa in seria considerazione (analisi) la qualità dell'intervento abilitativo erogato. 
E' assai probabile che i punti critici del sistema siano piu' d'uno.
Farmacologia e intervento abilitativo devono essere profondamente coerenti, altrimenti divengono antitetici. Non solo, dovrebbe prevalere su qualsiasi approccio "altro" (compresa la farmacologia) un'attenta disamina di come sta funzionando l'intervento abilitativo (feedback di questo) prima di reputare opportuno l'intervento farmacologico, attuando ( se lo si inizia) strategie di somministrazione lentissime, retrocedendo da esse con altrettanta solerzia e attenzione, se inefficaci (al fine sempre di abilitare) evitando la tentazione di aumentare dosaggi e sovrapporre abbinamenti sperimentali, nella speranza di... per poi stupirsi se ci sono effetti collaterali. 
La ricerca delle cause di un problema complesso (sia sanitario, che comportamentale) deve mantenersi ad ampio spettro e non solo dimensionare l'indagine esclusivamente alla propria disciplina. 






Il giorno 05/gen/2012, alle ore 09:21, "Fondazione Marino" <fondazionemarino a gmail.com> ha scritto:

> Gentilissima Dott.ssa Daniela,
> 
> per prima cosa la ringrazio per l’attenzione riservata alla mia comunicazione, poi mi permetto di tornare sull’argomento perché ritengo, data la sua risposta, di non essere stato sufficientemente efficace ad enfatizzarne il contenuto.
> 
> Nei fatti lo spirito della comunicazione non è quello di sensibilizzare un settore della classe medica e, nella fattispecie, i pediatri ma tutti i professionisti che si occupano di autismo e, in primo luogo, gli psichiatri. Riprendendone il filo, voglio chiarire e ribadisco perciò quanto segue:
> 
> la gestione del paziente autistico non è cosa facile e l’impegno deve essere diuturno ed intenso. Purtroppo, le manifestazioni disadattive, secondo l’esperienza da me maturata, sono determinate in parte dalla malattia di base e in gran parte da patologie intercorrenti di ordine medico o chirurgico. Lo specialista che sottopone a valutazione il soggetto autistico prende correttamente atto delle manifestazioni e non può curarsi di determinare quanto esse siano la conseguenza della malattia di base e quanto delle patologie intercorrenti, la individuazione delle quali non può essere l’oggetto di una visita psichiatrica o neurologica perché richiede tempi lunghi ed un affinamento specifico. La ricaduta ovvia di ciò è una prescrizione farmacologica atta a controllarle od obliterarle, affidando al farmaco il compito della contenzione e, tanto più gravi sono esse, tanto più pesante deve essere l’intervento farmacologico. Il risultato è una sedazione potente e duratura che aliena il soggetto autistico dall’ambiente in cui vive e lo estranea da ogni interesse per l’intervento abilitativo ed educativo, che è lo scopo ultimo della struttura in cui è ricoverato.
> 
> Al contrario, la eziologia dei comportamenti-problema, quando individuata, consentendo così un  intervento medico o chirurgico mirati, propizia un riduzione drammatica dei comportamenti disadattavi e, ovviamente, della “pressione” farmacologica; il che si traduce in una consequenziale compliance favorevole all’intervento abilitativo-educativo, da parte del soggetto autistico, e in un significativo miglioramento delle condizioni ambientali.
> 
> Ciò detto, mi permetto di suggerire: che queste osservazioni non dovrebbero essere indirizzate ai pediatri, o ad essi soltanto, ma a tutti gli operatori del settore; che i soggetti autistici interessati non sono solo quelli di interesse pediatrico ma, ancor di più, quelli adulti; che l’attuazione di queste raccomandazioni ne migliora notevolmente la qualità di vita; che infine, e non ultimo, riduce la spesa per i farmaci.
> 
>                                                                                                                   Natalino Foti
> 
>                                                                                                    Direttore della Fondazione Marino
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