[autismo-biologia] spettro autistico: quanto ampio?
daniela marianicerati
marianicerati a yahoo.it
Lun 20 Giu 2011 15:09:48 CEST
Dal giornale “The Guardian” del 31 maggio scorso copio il seguente articolo
Questions on the autistic spectrum
The Guardian, Tuesday 31 May 2011
As a layman I hesitate to enter the autismdebate with such an acknowledged
expert as Lorna Wing, and especially one who has done so very much to raise
awareness of the condition (Love's labour, G2, 24 May). But as the father of a
classically autistic man, I do question the utility of the autistic spectrum
concept, and the effect it has had on the care of those with classic autism.
When the National Autistic Society was founded in 1962 (an event in which I was
involved) it was because a small number of parents (including Lorna) wished to
set up an organisation to tend to the needs of a group of childrenwith highly
specific traits in common. It was felt that other organisations catering for
people with learning difficulties were covering too wide a range.
For many years the society had a rule that assured that a majority of its
council were parents of sufferers. With the introduction of the Asperger's
diagnosis and the subsequent development of the spectrum concept, this rule was
abandoned, and the problems of those at the so-called higher end of the spectrum
have come to dominate the society's activities.
This is not to say that the society does not maintain and run a number of
excellent schools and residential units for those with classic autism, but it is
to argue that the society's efforts have become dissipated in trying to address
the widely differing needs of such disparate groups. And for those at the lower
end of the spectrum there is still a tremendous shortage of specialised schools
and adult residential units. Ironic, given that the society was originally
founded to avoid just such a situation.
Gerald de Groot
Abbiamo letto da più parti che nella prossima edizione del DSM scompariranno le
sottoclassificazioni dell’autismo e rimarrà solo la grande categoria dello
spettro autistico. Appartenente a questo ampio spettro viene considerato Ari
Ne'eman, che è stato messo da Obama al tavolo federale degli Stati Uniti per la
disabilità, in rappresentanza delle persone con autismo.
A lui lo stesso giornale ha dedicato un lungo articolo l’8 giugno scorso, di cui
riporto il titolo e qualche stralcio
The campaigner bringing people with autism to the policy table
Ari Ne'eman wants less focus on trying to make autistic people 'normal' and more
on including them in the conversation about the disorder
* Mary O'Hara
The Guardian, Wednesday 8 June 2011
Ne'eman, now 23, is a polarising figure. He stirred up controversy by suggesting
that more research investment be directed towards improving support for autistic
people, rather than towards finding a cure to eliminate the condition.
he was diagnosed with Asperger's, at age 12, and is an erudite communicator
Di lui si dice che è “an erudite communicator”.
E’ difficile vedere cosa un erudito comunicatore possa avere in comune con le
persone, bambini e adulti, che ricevono la diagnosi di autismo ora in Italia.
A questi talora si deve mettere la mano nella posizione di indicare perché da
soli non lo sanno fare. Poi si fa un lungo e faticoso traininig perché imparino
a indicare i loro rinforzatori, cioè le cose che più desiderano e amano:
l’acqua per dissetarsi o il cibo preferito per sfamarsi. Il tutto in attesa che,
prima o poi, ma non è detto, riescano ad esprimere gli stessi bisogni con una
parolina, magari una sola parola senza la frase composta da verbo, articolo e
complemento oggetto. Questi verranno dopo non si quanto tempo, se verranno.
Se mescolati in un’unica categoria, il rischio che si parli solo degli
affascinanti “erudite communicators” e ci si dimentichi dei bambini gravi,
gravissimi che noi conosciamo, è grande.
Lo dice molto bene Nicola Panocchia nell’articolo che commenta due lavori usciti
recentemente: il libro Ethics ofAutism, among them but not of them e
il numero monografico di «Ethos, Journal of the Society for
Psychological Anthropology», dedicato all'autismo.
Ecco il titolo e le conclusioni dell’articolo
L'autismo:
patologia, disabilità
o neurodiversità?
Aspetti bioetici e conseguenze
socio-sanitarie
AUTISMO e disturbi dello sviluppo Voi. 9, n. 2, maggio 2011 (pp. 269-275)
Pur con argomentazioni diverse, entrambi questi lavori sostengono la
tesi della neurodiversità dell'autismo, visto come condizione
dell'essere piuttosto che come patologia, e giungono alla conclusione
che non è moralmente lecito curare adulti con autismo.
Forse c'è un problema di classificazione dei
disturbi evolutivi globali. In queste pubblicazioni si parla di autismo in senso
ampio, includendo il Disturbo di Asperger e il Disturbo Evolutivo Globale
non specificato e di altro tipo. Ma una classificazione che includa Sergio, la
cui storia è stata raccontata in un bel libro (Paissan, 2008), Tempie Grandin
o Dawn Prince-Hughes (Dawn Eddings, 2010), è utile a calibrare politiche
sanitarie e sociali adeguate alle capacità e alle necessità di ciascun soggetto?
Sempre più spesso i media, quando parlano di autismo, raccontano storie che
hanno per
protagonisti individui ad alto funzionamento o con abilità tecniche molto
particolari. Inoltre si tende a etichettare come autistiche persone vissute
nel passato altamente geniali ma fortemente caratteriali. Il rischio è di dare
un'immagine distorta della realtà dell'autismo, perdendo la drammaticità e
gravità della condizione dell'autismo, e rafforzando i movimenti favorevoli
alla neurodiversità (Hacking, 2009).
Questa visione potrebbe comportare una riduzione delle ricerche sull'autismo
e dei servizi socio-assistenziali, e un aumento ulteriore della solitudine
e dell'isolamento delle persone con autismo e delle loro famiglie
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