[autismo-biologia] Randomized, Controlled Trial of an Intervention for Toddlers With Autism

daniela marianicerati marianicerati a yahoo.it
Mar 1 Dic 2009 19:50:40 CET


Roberto Satolli ha segnalato alla lista la pubblicazione dell’articolo

Geraldine Dawson, Sally Rogers, Jeffrey Munson, Milani Smith, Jamie Winter, Jessica Greenson, Amy Donaldson, and Jennifer Varley. Randomized, Controlled Trial of an Intervention for Toddlers With Autism: The Early Start Denver Model. Pediatrics, Nov. 2009 DOI: 10.1542/peds.2009-0958

Il lavoro è di un interesse estremo in quanto contribuisce a formare una Evidence Based Practice (Non uso il termine Medicine, perché siamo al limite tra abilitazione ed educazione, quotidianità)
In molti studi sullo stesso tema i gruppi di trattamento e di controllo non erano randomizati , ma il tipo di trattamento veniva scelto dai genitori. Il fatto che i genitori scegliessero il trattamento oggetto della ricerca, quindi quello che dava più speranza di essere efficace, costituiva un grave vizio metodologico. Si poteva pensare infatti che il gruppo fosse avvantaggiato proprio per questo, in quanto composto da genitori più consapevoli. In ogni caso, questa è una grave infrazione alle regole che sottostanno alle sperimentazioni controllate randomizzate. 
Si diceva che non è etica in questo campo la randomizzazione. Questo sarebbe vero se il trattamento oggetto della sperimentazione già possedesse prove di efficacia e in questo caso non sarebbe etica non la sperimentazione, ma bensì il non dare il trattamento efficace alla generalità dei pazienti affetti.
Solo quando l’efficacia di un trattamento non è documentata, è lecito fare sperimentazioni con un gruppo di controllo. Diventa immorale continuare a non dare il trattamento, una volta dimostratosi efficace, ad un gruppo di controllo o, peggio, alla generalità dei pazienti. 
Un’altra caratteristica del lavoro segnalato è la precocità dell’intervento. I bambini arruolati nella sperimentazione avevano dai 18 ai 30 mesi.
Da tempo c’è la sensazione che un trattamento precoce sia efficace, ma non c’era una vera “evidence” e il lavoro contribuisce a formare questa base di “evidence”
Dal momento che l’intervento oggetto della sperimentazione è il Denver Model, segnalo il link al sito di angsalombardia sul tema dell’intervento precoce


http://www.angsalombardia.it/parola_esperti.htm

e da lì copio il capitolo sul Denver Model. 


IL MODELLO DENVER
(da Sally J. Rogers, Buone pratiche nell'intervento precoce per l'autismo)
Il modello Denver è un programma d'intervento specificamente destinato a bambini con autismo in età prescolare, rivolto al bambino nella sua globalità e realizzato in collaborazione con i genitori, che utilizza una serie di strategie di insegnamento di orientamento comportamentale ed evolutivo integrate in un approccio basato sulla relazione, in una cornice affettivamente positiva.
Poiché le compromissioni nelle aree dell'interazione sociale e della comunicazione sono primarie e caratteristiche nell'autismo, il modello Denver si indirizza principalmente allo sviluppo di competenze di comunicazione e d'interazione sociale reciproca, proponendosi di sviluppare poi sulle competenze costruite in queste aree altre competenze in aree diverse dello sviluppo.
Principi del Modello Denver
Il modello Denver considera l'autismo un disturbo di natura essenzialmente sociale. Enfatizza quindi lo sviluppo dell'interazione sociale reciproca durante l'intera giornata, insegnando le pietre miliari della vita sociale (imitazione, comunicazione emotiva, linguaggio, gioco sociale). Anche l'insegnamento della comunicazione è un obiettivo fondamentale dell'intervento: la comunicazione infatti è un fattore prognostico essenziale in termini di impatto sulla vita sociale e familiare, sugli apprendimenti scolastici e sullo sviluppo di abilità funzionali alla vita adulta.
Si basa su diversi aspetti dei trattamenti comportamentali A.B.A., fra cui la raccolta sistematica di dati, ed integra elementi dei modelli Discrete Trial Training, come il lavoro in rapporto individuale con il bambino, applicato secondo procedure rigorose, e la strutturazione dell'ambiente educativo necessaria a favorire l'apprendimento, con elementi derivati dagli approcci comportamentali naturalistici, come un insegnamento guidato più dal bambino che dall'adulto.
L'insegnamento in rapporto 1:1 e la strutturazione dell'ambiente mirano a favorire tempi di apprendimento rapidi, mentre l'offerta di materiali e di routine di gioco appartenenti alla vita di tutti i giorni, fra cui il bambino sceglie l'attività di apprendimento, favorisce la motivazione, un apprendimento più "sociale" e la generalizzazione delle competenze acquisite.
L'equilibrio fra gli elementi di derivazione comportamentale DTT (la strutturazione ambientale) e quelli di derivazione comportamentale naturalistica (la scelta dei materiali e dell'attività da parte del bambino) potenzia il successo dell'intervento.
Poiché i bambini con autismo sono considerati innanzi tutto membri della famiglia e della comunità, il programma di trattamento può essere svolto a casa, in gruppo o in contesti terapeutici, e richiede un'equipe multi-disciplinare di cui fanno parte le famiglie, che sono coinvolte attivamente e aiutano i terapisti a pianificare e realizzare l'intervento.
Le sessioni d'insegnamento svolte in famiglia e a scuola aiutano a generalizzare le competenze acquisite in ambiente terapeutico. Il coinvolgimento massiccio dei genitori per gran parte dell'intervento è un valore aggiunto fondamentale dell'intero approccio. Infatti i genitori sono le persone che passano più tempo con il bambino e lo conoscono meglio di chiunque altro. Inoltre i bambini con autismo non partecipano, o partecipano scarsamente, alla vita di famiglia.
L'esperienza dei genitori e il loro coinvolgimento nell'equipe dei terapisti favoriscono la generalizzazione degli apprendimenti in altri contesti e l'inserimento del bambino nel tran-tran familiare quotidiano. Il loro coinvolgimento nel trattamento richiede una forte motivazione a fare tutto il possibile per aiutare il proprio bambino e un notevole impegno, in termini di tempo dedicato, oltre che al lavoro in rapporto individuale con il bambino, al coordinamento e al continuo scambio di informazioni con i terapisti e la scuola.
Lo stesso vale per i programmi svolti a scuola, dove si prevedono sessioni di apprendimento individuale di competenze che vengono così generalizzate in diversi ambienti. La collaborazione con la scuola si instaura attraverso una programmazione coordinata e momenti di consulenza.






      


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