<html>
<head>
<meta http-equiv="Content-Type" content="text/html; charset=UTF-8">
</head>
<body>
<font face="Times New Roman">Gentili signori della Lista,<br>
pochi mi conoscono e pochissimi sono interessati a ciò che dico e
tantomeno ad interloquire. <br>
Non è un problema. <br>
Ciò detto vi informo che intorno all'Autismo o Spettro c'è grande
confusione, in parte giustificata dalla fase di transizione
teorica degli ultimi tempi (quindi giustificabile), ma in parte si
deve alla certificazione frettolosa che generalizza categorie a
danno di altre.<br>
Accade che condotte critiche del linguaggio e della relazione -
addebitabili al ritardo del linguaggio ed alle conseguenze
strategie di difesa o di compensazione - diventino condizione
autistica.<br>
Non è un gioco di parole.<br>
Tanti afasici o con ritardo dell'eloquio (neanche del linguaggio
complessivo, ma solo della produzione verbale orale, cioè
dell'eloquio) sono corredati della diagnosi di autismo, quindi
Legge 104, se non da invalidità.<br>
La disprassia comporta a volte tratti associabili all'autismo
(ipersensibilità, motricità afinalistica, lento incipit,
disorganizzazioni, realismo verbale, ecc.) ma comportano autismo
solo nei casi severi.<br>
Questa platea di soggetti con "disorganizzazione" (usiamo questa
categorie provvisoria) è certamente in crescita (e per diversi
motivi): ma si può dire ai genitori che si è di fronte
all'autismo?.<br>
Provo a sintetizzare alcuni assunti:<br>
- ad oggi la diagnosi di autismo è sindromica, si fa dai sintomi
(in realtà è così sin dal 1943 .. senza nulla togliere alle
ricerche in ambito genetico, proteico ....), anche se a qualcuno
non va bene (mi pare);<br>
- la diagnosi di autismo è difficile e delicata ed ha un grande
bisogno della "valutazione funzionale", per aree di funzioni, per
funzionamento, competrenze, reattività, condotte....;<br>
- l'autismo è sensibile all'educazione (terapia, trattamento,
training ....), a volte in termini sorprendenti, non ai
bypassamenti, al non fare, alle APP SUPPLETIVE, al condizionamento
o allo Stimolo Avversivo.<br>
<br>
Infine:<br>
la gravità della condizione è fattore fondamentale poiché rendeuna
condizione diversa e diversamente rispondente, quindi grande
rispetto all'autismo grave ed all'autismo in comorbilità con
alterazioni psichiche o neurologiche cerebrali. In questi ultimi
casi, e con gli adulti, valgono le pratiche suppletive fondate su
rinforzo, condizionamento, avversione, ecc.<br>
<br>
Se fossi genitore di un caso "vero", contesterei lo spreco di
risorse (ad es, i docenti di sostegno) per i casi non autistici.<br>
Il dibattito è, comunque, di notevole interesse.<br>
<br>
Se può interessare: <br>
Piero Crispiani - maestro elementare, Direttore Didattico (di cui
18 anni Direttore di una grande Scuola Speciale Statale per gravi
e pluriminorati), Ordinario di Pedagogia Speciale Università di
Macerata, Libero Docente Università Politecnica delle Marche e
Link Campus University di Roma.<br>
</font><br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<br>
<div class="moz-cite-prefix">Il 20/03/2023 11:35,
<a class="moz-txt-link-abbreviated" href="mailto:albertofagni@libero.it">albertofagni@libero.it</a> ha scritto:<br>
</div>
<blockquote type="cite"
cite="mid:1407522784.241680.1679308527207@mailapp-notification-service-9fbf75b4-xtkz5">Brava
Stefania. <br>
Ormai è chiaro come, in questa discussione, alcuni professionisti
vogliano difendere delle diagnosi che tali non sono e vogliano
farci credere che per il bene del paziente, si debba accogliere la
sua richiesta di avere una diagnosi di autismo.. E per chi non
rientra nella diagnosi da manuale, l'unica esistente al momento,
si gioca con le parole e, come più volte ho scritto nei miei
interventi, si vendono loro per diagnosi di autismo quelle che
sono semplicemente delle valutazioni di tratti autistici. <br>
Hanno trovato il modo di vendere diagnosi di autismo senza
disturbo o se preferite di livello zero. <br>
Poco importa che si possano o meno definire diagnosi psicologiche
perché NON SONO DIAGNOSI DI DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO e chi
le ha non è definibile autistico. <br>
Capisco che po' questa gente serva anche a perorare le vostre
cause, come questa, cioè di banalizzare l'autismo vendendo
"diagnosi" che non rientrano nei manuali. <br>
Ma si genera confusione, nelle persone e anche nella ricerca. <br>
<br>
Quindi come te, Stefania, spero che qualche professionista si
schieri o avremmo sempre più persone che si diranno autistiche per
fare i video su tik tok. <br>
E la colpa è di chi banalizza lo spettro. <br>
Scusate l sfogo, ma questa discussione è un paradosso perché viene
letta da chi i manuali diagnostici li dovrebbe difendere <br>
<br>
Saluti <br>
Alberto Fagni<br>
Inviato da Libero Mail<br>
<br>
<div class="gmail_quote"><br>
Il 19 marzo 2023 20:52:20 UTC <a class="moz-txt-link-abbreviated" href="mailto:ftstellino@inwind.it">ftstellino@inwind.it</a> ha scritto:
<table>
</table>
<blockquote class="gmail_quote">Scusate,<br>
Ma qui si rischia veramente di fare danni epocali. <br>
<br>
Come a dire che ad una persona con depressione che va da un
oncologo perché pensa/spera di avere un tumore, che non ha, il
medico glielo diagnosticasse per farlo sentire meglio e magari
provare a vedere se "esce" dalla depressione.<br>
<br>
È assurdo parlare di funzionamento autistico.<br>
Così si ingenera solo confusione nella persona, che tra
l'altro ha evidentemente delle problematiche/disturbi
psichici. <br>
E poi ci ritroviamo a doverci confrontare con persone che
credono di essere autistiche, che pensano di avere una
diagnosi di autismo e che pretendono di parlare a nome delle
persone autistiche, a volte anche aggredendo verbalmente
ritenendo di avere la 'luce della conoscenza'.<br>
<br>
Così rischiamo di fare danni epocali. Ripeto.<br>
Perché pure chi ci deve ascoltare per poter indirizzare le
politiche del welfare sanitario e sociale va in confusione.<br>
<br>
Mi auguro che i tanti camici bianchi presenti ed amici
(perdonatemi la metonimia, ma è per meglio identificarvi), non
sostengano questa presunta deontologia degli psicologi.<br>
<br>
Perdonatemi anche lo sfogo.<br>
<br>
Un caro saluto <br>
<br>
Stefania Stellino<br>
<br>
<br>
<br>
Inviato da Libero Mail<br>
<br>
<div class="gmail_quote"><br>
Il 19 marzo 2023 17:12:07 UTC David Vagni
<a class="moz-txt-link-rfc2396E" href="mailto:david.vagni@gmail.com"><david.vagni@gmail.com></a> ha scritto:
<table>
</table>
<blockquote class="gmail_quote">Cara Raffaella,
<div>condivido quanto hai riportato anche se sai bene che
mi scontro con alcuni advocate, come hai detto sono
adulti autodeterminati ed eventuali differenze di vedute
non dovrebbero far venir meno un clima di collaborazione
tra professionisti, famiglie e advocate.</div>
<div>Concordo sul resto dei punti della tua risposta.</div>
<div><br>
</div>
<div>Vorrei approfittare dell’occasione per specificare un
aspetto che reputo rilevante all’interno della
discussione (non con te, ma con chi dice che “non vanno
fatte diagnosi") e che reputo sia parte della
confusione. Te sei psicologa, come sono psicologi le
persone che fanno diagnosi presso il centro a cui sono
associato.</div>
<div>In quanto psicologi è un dovere cercare di seguire la
deontologia della propria professione in accordo con i
codici e pareri dell’Ordine</div>
<div><br>
</div>
<div>A questo link c’è un parere a mio avviso molto
importante <a
href="https://www.psy.it/allegati/parere_diagnosi.pdf"
moz-do-not-send="true" class="moz-txt-link-freetext">https://www.psy.it/allegati/parere_diagnosi.pdf</a> sulla
possibilità degli psicologi di fare diagnosi
psicopatologiche ma che, lateralmente, riporta la più
generale definizione di diagnosi.</div>
<div><br>
</div>
<div>[…] Il concetto di diagnosi ha vari significati non
univoci lungo un continuum che va da un’accezione
ristretta di identificazione di una patologia ad <b>un’accezione
ampia di identificazione di un fenomeno sulla base
dell’individuazione dei fattori che la caratterizzano
</b>(storia del soggetto, sintomi fisici e psichici,
modalità comportamentali, attività mentale, informazioni
ottenute con varie modalità di valutazione). I<b>l
concetto di diagnosi, pertanto, non è univocamente ed
esclusivamente connesso a quello di “identificazione
di patologia”</b>, come usualmente viene inteso poiché
quest’ultimo riguarda soltanto l’ambito biomedico e,
anche in ambito medico, è praticabile solo in alcuni
settori e per alcune patologie, non in tutte le branche
della medicina e per tutte le malattie. <b>La diagnosi
assolve molteplici funzioni e compiti a più livelli:
a) necessità di categorizzare le informazioni, b)
facilitazione della comunicazione fra addetti ai
lavori, c) facilitazione della comunicazione con il
paziente, d) orientamento delle scelte terapeutiche.
In questo senso, la diagnosi è, nell’accezione ampia
dei suoi significati possibili, insieme un atto
conoscitivo di raccolta e categorizzazione delle
informazioni ed un atto pragmatico di comunicazione
fra i soggetti implicati a diverso titolo e livello
nel fenomeno oggetto di osservazione </b><span>[…] </span>La
diagnosi psicologica può essere realizzata a diversi
livelli a seconda del contesto in cui trova applicazione
e in relazione alle funzioni interessate, dall’ambito
lavorativo <b>al disagio psicologico di livello
pre-clinico</b>, alla psicopatologia maggiore, alle
malattie mediche <span>[…] </span>La diagnosi basata sui
sintomi non è tuttavia l’unico modo per effettuare una
diagnosi descrittiva, e anzi questa modalità viene
ampiamente criticata dalla comunità scientifica
internazionale. Pertanto anche la diagnosi differenziale
basata sui sintomi non è l’unica possibile. Modalità
alternative di effettuare la diagnosi descrittiva e
differenziale sono state a più riprese proposte alla
comunità scientifica e si basano sull’osservazione e
l’identificazione <b>delle funzioni psicologiche che
sottendono i fenomeni clinici osservati,</b> e non
meramente sull’osservazione e l’identificazione dei
sintomi. […].</div>
<div><br>
</div>
<div>Riporto questo per dire che, se una persona va da uno
psicologo e gli chiede “aiutami a capire come funziono”
rilasciare in una <b>diagnosi</b> (perché comunque è
una diagnosi il documento che si rilascia): “non hai
nessun disturbo, quindi non hai niente”, <i>forse </i>può
essere accettabile per un medico che opera all’interno
di un modello medico, ma sicuramente non è
deontologicamente corretto per uno psicologo.</div>
<div>Riportare che la persona ha un “funzionamento
cognitivo autistico pur in assenza di difficoltà
clinicamente rilevanti che costituiscono un disturbo” o
che “soddisfa i criteri dell’autismo ma <i>al momento</i> non
sono presenti difficoltà rilevanti nel funzionamento
adattativo” o qualsiasi simile definizione (e spiegando
in cosa, perché, in quali processi emotivi, cognitivi,
etc.) è un <i>atto dovuto</i> da un punto di vista
etico e deontologico a mio avviso e ritengo che
contestarlo significhi non capire in cosa dovrebbe
consistere il lavoro di un psicologo, che in primo luogo
dovrebbe riguardare il comprendere e aiutare le persone
e solo in quanto funzionale a questo scopo, determinare
se è presente o meno un disturbo. </div>
<div><span><br>
</span>
<div>
<div><br>
<blockquote type="cite">
<div>Il giorno 14 mar 2023, alle ore 09:55,
Ambulatorio Autismo
<a class="moz-txt-link-rfc2396E" href="mailto:ambulatorioautismoadulti@gmail.com"><ambulatorioautismoadulti@gmail.com></a> ha
scritto:</div>
<br class="Apple-interchange-newline">
<div>
<div><br>
<div>Buon giorno a tutti,</div>
<div>mi fa piacere che il Sig. Fagni condivida
anche lui che l’autismo 0 non esiste, quindi
penso che possiamo bandire per sempre dai
nostri discorsi questa definizione
sbagliata che può fuorviare chi non ha le
giuste conoscenze.</div>
<div><br>
<div>Posso comprendere le sue perplessità e
i suoi dubbi ma vedo che la sua mail è
piena di criticità e sfiducia verso
l’operato dei clinici. Naturalmente fra
gli esseri umani ci sono delinquenti di
tutti i tipi, persone poco professionali e
persone che cerano di approfittare
economicamente della loro posizione. Credo
che questo tipo di persona sia ben
distribuita in tutte le professioni, i
tutti i contesti sociali e in qualsiasi
tipo di funzionamento umano. Quindi ce ne
sono sicuramente anche fra psicologi
psichiatri e neuropsichiatri. Ma questa
considerazione non dovrebbe a mio modo di
vedere portarci a una sfiducia così grande
come quella che traspare dai suoi
commenti. Comprendo i suoi dubbi ma
francamente trovo difficile interloquire
su una posizione così general generica che
riguarda l’umanità tutta.</div>
<div><br>
</div>
<div> Su tre cose non sono invece
assolutamente d’accordo con il Sig. Fagni:</div>
<div>1. dire che se "uno ha sempre avuto le
capacità di superare le sue difficoltà,
senza fare nessun tipo di terapia ed avere
nessun tipo di supporto, significa che il
criterio D non è soddisfatto” è proprio
sbagliato. La sofferenza psichica lascia
sempre una traccia che il clinico deve
saper valutare e comunque è sempre
necessario che si chieda come sta e quanta
fatica faccia la persona nel presente. A
parte il fatto che in genere le persone
adulte che arrivano al percorso
diagnostico hanno già fatto prima percorsi
di supporto psicologico di cui non sono
soddisfatte, ci possono essere
innumerevoli motivi per cui una persona
non ha richiesto aiuto, da quello
economico alla sfiducia nel lavoro
psicologico, dall’orgoglio a forme di
malessere tanto forte da impedire di
attivarsi, dal non vedere riconosciuto il
proprio bisogno al sentirsi dire che non
c'è necessità di terapia. E sicuramente ce
ne sono tantissimi altri. Non è detto che
non avere o non aver avuto una terapia
sia indice di mancanza di bisogno. È
compito del clinico valutare la sofferenza
e il bisogno ed è suo compito dotarsi
delle capacità, della formazione e degli
strumenti per saperla riconoscere e
saperla comprendere. Posso capire la
sfiducia nella capacità dei clinici di
fare valutazioni di questo tipo ma trovo
sbagliato fare una generalizzazione così
negativa. </div>
<div>Negli anni ’90 c’erano pochissimi
clinici capaci di diagnosticare l’autismo,
oggi proliferano i servizi e naturalmente
è difficile scegliere e può essere
difficile valutare la competenza di un
clinico. Ma io sono contenta che i servizi
prolifichino perchè questo stimola la
crescita professionale. </div>
<div>E inoltre naturalmente ogni adulto che
si deve occupare della salute dei suoi
cari deve impegnarsi a ricercare il
clinico migliore. Non è una cosa che
riguardi solo l’autismo.</div>
<div><br>
</div>
<div>2. Lo stesso vale per quando scrive “ E
i vari test sono facili da indirizzare.
Io posso decidere il punteggio che voglio
avere in un test che voglia "misurare" i
miei sintomi autistici, ma se si vuole
valutare il mio autismo sul presente un
clinico non potrebbe mai darmi una
diagnosi…”. Il Sig. Fagni, come del resto
chiunque, può al massimo scaricare i test
autosomministrati e se vuole manipolarli
basta che scarichi i punteggi o li cerchi
nei libri in cui sono pubblicati. Così
certamente si, potrebbe manipolarli. Ma
un clinico serio non farebbe mai la
diagnosi solo ed esclusivamente su quel
tipo di test, proprio perchè essendo
facilmente reperibili sono anche
facilmente manipolabili. Nonostante questo
le ricerche scientifiche ci dicono che
comunque alcuni di questi test, come la
RAADS-R, per esempio, sono molto forti ma
naturalmente si parte dall’assunto che chi
compila lo faccia rispondendo in modo
onesto. Per fortuna non abbiamo a
disposizione solo test autosomminstrati,
questi non sono gli unici test
disponibili. Un clinico competente
dovrebbe sapere che ci sono test che
raccolgono altri tipi di informazioni che
non sono soggette a punteggi tipo
“risposta giusta o sbagliata” o con i
criteri dei test disponibili on line. Ci
sono interviste alle famiglie, interviste
ad altri operatori e test che riflettono
il parere del clinico. È l’insieme dei
risultati di questi test che un clinico
esperto dovrebbe saper valutare. In ogni
caso mi pare evidente che si continui a
sottovalutare il fatto che la diagnosi è
sempre clinica perché non esiste un test
che possa considerarsi completamente
sicuro al 100%. Questa cosa è ampiamente
dichiarata e documentata anche
scientificamente ovunque. I test possono
sostenere il giudizio diagnostico ma
questo è, alla fine, sempre e solo del
clinico. Questo significa che la diagnosi
riflette sempre il parere professionale
del professionista, anche
indipendentemente dall’esito dei test.
Questo da una maggiore responsabilità al
clinico che dovrebbe quindi essere molto
attento. Naturalmente il Sig. Fagni non è
un professionista e quindi non conosce i
test e non sa quale tipo di lavoro deve
fare il clinico quando li somministra. Ma
proprio per questo trovo che sia
fuorviante che faccia affermazioni di
questo tipo con tanta sicurezza invece,
magari, di chiedere qualche informazione
in più.</div>
<div>Vorrei anche sottolineare che se una
persona che richiede un parere diagnostico
mente, la responsabilità primaria è sua
perché così facendo distrugge la relazione
con il clinico. Ci possono essere
innumerevoli motivi per cui una persona
mente oltre a quelli che il Sig. Fagnmi
descrive nella sua mail e ci sono anche
tante persone che cercano in tutti i modi
di farsi togliere la diagnosi di autismo
cercando in tutti i modi di apparire
neurotipiche. In ogni caso, poiché non
esiste un test incontrastabile, come
potrebbe essere un test genetico, se un
paziente mente bene potrebbe comunque
indurre un parere sbagliato nel clinico. I
clinici devono stare attenti e dotarsi di
strumenti, della formazione e della
supervisione che serve per contenere
questi problemi ma naturalmente potrebbero
comunque cadere vittima dell’imbroglio. Ma
se è imbrogliato il clinico è la vittima e
non il responsabile della menzogna. Chi
mente è responsabile.</div>
<div><br>
</div>
<div>3. Infine quando dice che non è mutata
la diagnosi di autismo per i vari manuali.
In realtà il DSM-5 segna un cambiamento
epocale perché definisce i Disturbi del
Neurosviluppo, che prima non erano
definiti, e pone le basi per un’unica
diagnosi di autismo escludendo in modo
definitivo la disabilità intellettiva e il
disturbo del linguaggio dai sintomi di
autismo. Un grande cambiamento che suscita
ancora molte discussioni come del resto si
evince dallo scambio nato dalla mail di
Carlo Hanau.</div>
<div><br>
</div>
<div><br>
</div>
<div>Per quanto riguarda Neuropeculiar: il
Sig. Fagni si sbaglia, io non ho sollevato
nessun discorso né punto nè domanda su
questa associazione né sui suoi soci in
questa sede né in altre e non ho posto
alcuna domanda per cui lui, o chiunque
altro, mi debba risposte. </div>
<div>Non ho mai preso le loro difese perché
non ho mai pensato che ne abbiano bisogno.
Sono persone adulte autonome e
autodeterminate, responsabili delle loro
scelte e delle loro posizioni. </div>
<div>Preciso che, insieme ad altri
colleghi, faccio parte del Comitato
Scientifico dell’Associazione. Io mi
confronto spesso con loro e non ho mai
avuto problemi a trovare un piano di
confronto rispettoso delle posizioni
personali, anche quando non siamo
d’accordo. Ritengo quindi che chiunque
possa trovarlo se lo desidera. Mi pare
però poco corretto porre queste critiche
in una sede dove nessuno di loro è
presente non permettendo nessun tipo di
confronto che consenta alle altre persone
della lista di conoscerli e di poter fare
le proprie valutazioni.</div>
<div><br>
</div>
<div>Infine vorrei dire a Carlo che trovo
grave questa scollatura fra genitori e
persone autistiche, saper accettare che ci
siano diversi livelli di ricaduta sulla
qualità di vita dovrebbe rassicurare sul
fatto che non verranno trascurate le
persone che hanno dalla loro condizione
gravi ripercussioni sulla qualità di vita
e sull’indipendenza e l'autonomia, ma per
garantire che ciò accada non serve
litigare, servirebbe invece promuovere la
formazione dei clinici. Perché è da loro
che dipende la valutazione della ricaduta
sulla qualità di vita e sono loro che
dovrebbero saper spiegare chi quando e
perché ha bisogno di incerto tipo di
aiuto. Card si possa trovare un giusto
equilibrio fra ascoltare i clinici e
ascoltare le persone autistiche e
ascoltare i genitori. Ma anche ascoltare
chiunque avario titolo voglia zarlaredi
autismo. Paleseante nessuno può parlare
per tutti e forse tutti dovrebbero
parlare. Per sé o per le proprie
associazionni o gruppi.</div>
<div><br>
</div>
<div>Io credo che i clinici possano
definirsi davvero competenti di autismo se
lo conoscono in tutte le sue declinazioni,
stili di funzionamento cognitivo, se lo
conoscono nei bambini così come negli
adulti, se hanno potuto interagire in
diversi contesti non solo in quello
clinico.</div>
<div><br>
</div>
<div>Quando sono stata alla Divison TEACCH
alla fine degli anni ’90 ho capito che
l’autismo era qualcosa di molto più vasto
e complesso di quello che noi percepivamo
in Italia e ho capito che non avevamo
alcuna idea di cosa fosse quello che
allora chiamavamo autismo HF (High
Functioning). Alla Division TEACCH già da
almeno un decennio avevano servizi
differenziati anche in base alla ricaduta
sulla qualità di vita e sull’autonomia,
avevano gruppi diversificati per stile di
funzionamentocognitivo e collaboravano non
solo con i genitori ma anche con le
persone autistiche, io stessa sono stata
parecchio tempo con persone autistiche che
mi hanno spiegato il loro stile di
funzionamento e il lavoro clinico di cui
godevano. Era la prima volta che mi
accadeva d è stata un’esperienza che ha
segnato le mie scelte.</div>
<div>Proprio allora ho fatto alcune scelte
professionali che hanno dato una direzione
al mio lavoro: ho scelto di tradurre con
altri colleghi i test gold standard in
Italiano, di promuovere la formazione su
come fare la diagnosi, e ho scelto di
approfondire la diagnosi nelle direzioni
più complesse: nei bambini molto piccoli e
negli adulti senza disabilità cognitiva.
Proprio grazie a queste scelte, posso
affermare di essere certamente stata uno
dei primi clinici italiani a fare al
diagnosi ad adulti senza compromissione
cognitiva che si chiedevano se potevano
essere autistici. Ma prima di allora avevo
lavorato per moltissimi anni solo con
persone autistiche disabili intellettive
e lavoro con loro tantissimo ancora oggi.
Io so bene che è proprio perché ho
lavorato tanto con loro che ho imparato
molte cose che mi sono state molto utili
per comprendere meglio le persone
autistiche senza compromissione cognitiva.
Allo stesso modo poter ascoltare persone
che possono descrivere il proprio mondo
interno mi ha permesso di imparare cose
utilissime anche per le persone con
disabilità intellettiva. </div>
<div><br>
</div>
<div>Io ho fatto scelte su cui ho sempre
messo la faccia e ancora oggi mi impegno
al meglio che posso per tenere aperto uno
stabile confronto con le persone
autistiche che si occupano di advocacy
così come con moltissime altre persone
autistiche molto meno presenti sui social,
così come con tanti genitori con cui
lavoro quotidianamente e, anche se
indirettamente, osservando i bambini e
tutte quelle persone autistiche di ogni
età e stile di funzionamento che non
possono descriverci il loro mondo interno
ma ci mostrano come agiscono. Mi confronto
con colleghi di tutti i tipi, leggo i loro
libri, anche quelli dei professionisti
psicodinamici. </div>
<div>Ascoltare, leggere e confrontarsi sono
per me strumenti di conoscenza.
Naturalmente rivendico l’originalità del
mio pensiero e rifiuto assolutamente di
prendermi la responsabilità di cose che
non ho mai detto né affermato. Se
promuovo qualcosa che dice un’altra
persona, sia essa un clinico, un genitore
o una persona autistica vuol dire che quel
contenuto mi è piaciuto e che l'ho trovato
stimolante. Solo di quello che condivido e
di ciò che dico personalmente mi prendo la
responsabilità.</div>
<div>Ritengo che soprattutto in questo
momento storico in cui i criteri
diagnostici si son tanto allargati, sia
importantissimo, anche essenziale, per
clinici osservare e ascoltare per
imparare.</div>
<div>Ma andrebbe ricordato che osservare e
ascoltare non significa aderire a
qualsiasi cosa, significa raccogliere
elementi per poter pensare e fare le
proprie riflessioni e le proprie scelte in
una visione più ampia.</div>
<div>Giudicare senza un confronto induce
sempre e solo a grandi tensioni.</div>
<div><br>
</div>
<div>Buona giornata a tutti</div>
<div>Raffaella Faggioli </div>
<div><br>
</div>
<div><br>
</div>
<div>
<div><br>
<blockquote type="cite">
<div>Il giorno 9 mar 2023, alle ore
11:24, <a
href="mailto:albertofagni@libero.it"
moz-do-not-send="true"
class="moz-txt-link-freetext">albertofagni@libero.it</a>
ha scritto:</div>
<br class="Apple-interchange-newline">
<div>
<div>
<p>Dottoressa Faggioli, <br>
<br>
io sono d'accordo con lei quando
dice che NON esiste l'autismo di
livello ZERO , termine che
probabilmente ho iniziato ad
sare io, per spiegare come ci
siano troppi autistici o
comunque persone che si
dichiarano tali, ma che non
rientrano nei criteri della
diagnosi. <br>
E come lei sono dell'idea che
non si possa usare il termine
autistico come semplice
aggettivo al di fuori di una
diagnosi medica.<br>
<br>
Questo punto per me è basilare
perché troppe volte leggo di
diagnosi "senza disturbo" cioè
senza che il criterio D sia
soddisfatto, nei tanti gruppi di
autismo e vengono difese dagli
stessi professionisti .<br>
Con Vagni ho avuto una
discussione su questo punto sul
mio profilo Facebook <br>
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web-share"></iframe><br>
<br>
In quella discussione David ha
difeso la possibilità di fare
diagnosi psicologiche di autismo
senza disturbo e di poterle
definire diagnosi e non
valutazioni . Ciò ovviamente
genera confusione e molti
penseranno di avere una vera
diagnosi e non di avere
solamente dei tratti autistici e
al limite essere subclinici. <br>
<br>
Adesso leggo che entrambi
riteniate sia corretto fare
diagnosi prendendo in
considerazione tutti quelli che
raccontano di aver affrontato
difficoltà nella vita per
cavarsela ed essere autonomi,
basta che questa sofferenza sia
dovuta ad alcuni tratti
autistici.<br>
Lei afferma in una sua risposta
che chi cerca una diagnosi vada
accolto perché cerca risposte a
delle difficoltà. <br>
Concordo, ma ciò non significa
che tutte siano da accogliere
con delle diagnosi .<br>
Perché se uno ha sempre avuto le
capacità di superare le sue
difficoltà, senza fare nessun
tipo di terapia ed avere nessun
tipo di supporto, significa che
il criterio D non è
soddisfatto. <br>
Perché se la diagnosi dovesse
premiare tutti quelli che
raccontano sofferenze e
difficoltà superate, nessuno
sarebbe esente da diagnosi. <br>
Aggiungo che spesso queste
persone hanno delle difficoltà
che sono ascrivibili a ben altre
diagnosi dalle quali provengono,
ma che trovandole più
stigmatizzanti della diagnosi di
autismo (e meno fighe) cercano
di rifugiarsi in quella di
autismo. <br>
Ora con tutta la fiducia che
posso avere nei clinici, se la
diagnosi si fa solo sul racconto
di difficoltà superate, non sarà
difficile per ch conosce lo
spettro avere una diagnosi di
autismo (oramai anche on line) <br>
E i vari test sono facili da
indirizzare. Io posso decidere
il punteggio che voglio avere in
un test che voglia "misurare" i
miei sintomi autistici, ma se si
vuole valutare il mio autismo
sul presente un clinico non
potrebbe mai darmi una diagnosi
, né io vorrei mai una diagnosi
che mi limita e che non mi
darebbe alcun supporto utile,
visto che sono completamente
autonomo. <br>
E se fossi altro , cioè
bipolare, depresso etc etc ,
comunque una diagnosi non
pertinente, per quanto più figa,
mi allontanerebbe dai supporti e
dalle terapie corrette. <br>
Io temo che oramai chi ha avuto
difficoltà nella vita legate
alla propria omosessualità, alla
propria depressione o per
qualsiasi altro motivo, può
spingere per avere una diagnosi
di autismo . <br>
Senza voler accusare nessuno mi
chiedo e vi chiedo se non ci sia
il rischio che molti da clinici
si stiano trasformando (in modo
anche inconsapevole) in
VENDITORI di diagnosi ? <br>
<br>
Altro punto al quale vorrei
rispondere è sul fatto che lei
dottoressa ha preso le difese
dei vari attivisti , i quali si
lamentano che qualcuno possa
mettere in dubbio le loro
diagnosi. <br>
Siccome sappiamo benissimo che
la critica è rivolta soprattutto
a me da parte dei suoi pazienti
di Neuropeculiar (mi piace
essere molto diretto) , faccio
notare alcune cose : <br>
<br>
- Io non metto in dubbio le loro
diagnosi ,ma come descrivono le
diagnosi, che vorrebbero slegare
dai vari manuali diagnostici.
Sono loro a metterle in dubbio
casomai. <br>
- Alcuni di quelli che loro
invitano ai loro convengni e che
si definiscono autistici, hanno
ammesso di non avere una
diagnosi e che non l'hanno mai
cercata non avendo bisogno di
supporti. <br>
- Visto che usano la loro
diagnosi per vendersi come
formato come se fosse un titolo
di studio, non vedo perché non
dovrebbero renderla pubblica ? (
Questa è una mia provocazione,
ma davvero chi ha una diagnosi
può fare il formatore senza
avrebbe i titoli? )<br>
<br>
- Le stesse persone che si
lamentano che le loro diagnosi
siano messe in dubbio, sono
quelle che attaccano i genitori,
dicendo loro che un genitore NON
ha alcun diritto di parlare di
autismo, ma solo loro possono in
quanto autistici... Come se loro
potessero sapere come pensa e,
cosa pensa e cosa prova un
autistico non verbale. <br>
<br>
- Sempre loro hanno creato un
clima di guerra alle definizioni
mediche e corrette , tanto che
molti professionisti hanno
smesso di scrivere e non si
espongono per non essere
attaccati .Proprio durante
questa discussione alcuni
professionisti mi hanno scritto
in privato, dicendosi d'accordo
con la mia posizione, ma che non
avrebbero scritto poiché
stanchidel clima di attacco alle
posizioni corrette e mi hanno
anche fatto notare che sono
sempre meno i professionisti che
si espongono nelle discussioni
su questa lista . <br>
Non è un caso che a farlo siate
stati soprattutto in due ,
entrambi molto vicini alle
posizioni di questi attivisti o
comunque li si voglia definire. <br>
<br>
Quindi non è mutata la diagnosi
di autismo per i vari manuali,
ma sta mutando perché si è
creato un mercato , si è creato
il bisogno di ricercare una
diagnosi. <br>
<br>
Saluti <br>
Alberto Fagni<br>
(mi scuso per gli errori, ma
preferisco non rileggere ) </p>
<blockquote type="cite">
<div> Il 08/03/2023 11:15
Raffaella Faggioli <<a
href="mailto:ambulatorioautismoadulti@gmail.com"
moz-do-not-send="true"
class="moz-txt-link-freetext">ambulatorioautismoadulti@gmail.com</a>>
ha scritto: </div>
<div> <br>
</div>
<div> <br>
</div>
Ciao David, naturalmente è
necessario tenere conto che
abbiamo professionalità diverse,
sensibilità diverse e
responsabilità diverse.
Naturalmente io sono
principalmente un clinico
impegnata stabilmente nella
valutazione diagnostica di
persone di tutte le età e di
tutti i funzionamenti cognitivi
e solo in seconda battuta sono
una ricercatrice (nella pratica
quotidiana, io produco idee di
ricerca e una montagna di dati
che altri leggono)
<div> <br>
</div>
<div> Magari mi sbaglio ma mi
sembra che anche sui i bambini
in realtà siamo d'accordo nel
momento stesso in cui scrivi: <span>Il
problema è che tu <strong>sai</strong> che <em>prima
o poi quel bambino cadrà</em>.
</span>Ed è esattamente per
questo che non esiste il
livello 0 nei bambini perché
noi sappiamo che prima poi,
hai ragione spesso ai cambi di
ciclo scolastico, ci sarà
qualche cosa che lo porterà
alla sofferenza e a sentirsi
in dovere di mascherarsi, a
non sentirsi “normale” e a
percepire una diversità che lo
farà sentire solo al mondo
(un extraterrestre, metafora
molto significativa, chiara e
diretta usata da moltissime
persone autistiche) e quindi
anche poco amato. Non basta
questo come ricaduta sulla
qualità di vita? Io direi
proprio di si. La sofferenza
testimoniata da tanti adulti
autistici, l’intenso lavorio
interiore che devono fare gli
adolescenti, che magari non si
mettono sui social, ma che noi
terapeuti che li seguiamo
costantemente ben conosciamo e
che conoscono i loro genitori,
non dovrebbe lasciarci
indifferenti. </div>
<div> <br>
</div>
<div> Naturalmente anche per me,
con un bambino l’approccio
clinico è molto diverso da
quello con gli adulti ed è
naturale che un clinico possa
avere dubbi, io stessa li ho e
quando li ho mi prendo il
tempo per definire il mio
giudizio diagnostico. Ma la
diagnosi a un bambino è una
proiezione in avanti che
influenzerà tutta la sua vita:
una volta fatta ci aspettiamo
e anche pretendiamo che il
mondo intero tenda ad
adattarsi al suo stile di
funzionamento e che gli adulti
che si occupano della sua
educazione mettano in atto
strategie educative più
mirate, strategie di
conversazione più adatte al
suo stile di funzionamento,
protezione dall’esposizione
incontrollata e costante a
stimoli sensoriali e sociali
inadeguati e forieri di
sofferenza e stress. Quanti
adulti autistici ci dicono che
quando stanno in un gruppo
intento in una conversazione
si sentono stabilmente in
allerta? Vogliamo “regalare”
questo tipo di sensazioni e
queste fatiche ai bambini?.
</div>
<div> Sappiamo che questo tipo
di sforzo e di sofferenza
porta in adolescenza a
problematiche psichiatriche.
La diagnosi deve quindi a mio
avviso essere pensata anche
per contenere questa inutile
devastazione. La diagnosi
dovrebbe proteggerli da
eccessivi sforzi di
mascheramento così come dal
non sentirsi accettati per
quello che si è o dalla
sensazione di essere
extraterrestri. Dovrebbe
permettere agli adulti che si
occupano della loro educazione
di farli crescere il più
confidenti possibile in sè
stessi, con meno sensazione di
estraniamento, più
legittimati. Una diagnosi
sbagliata nei bambini, anche
in quelli in plus dotazione e
con un linguaggio pienamente
fluente, avrà una ricaduta
sulla salute psicologica,
sulla sofferenza psichica e
sull’esposizione a non
sentirsi compresi. Inoltre
avrà una ricaduta sulla
possibilità di
autodeterminarsi. </div>
<div> Se esito a fare la
diagnosi a un bambino non è
perché lo vedo a livello 0,
che ribadisco non esiste, ma
perché ci sono situazioni in
cui i sintomi sono difficili
da decifrare in pochi incontri
ed è necessario conoscerlo
meglio e in modo più profondo.
</div>
<div> Ci possono essere molti
motivi per cui il suo stile di
funzionamento autistico non è
immediatamente apprezzabile e
la conoscenza, stare in
relazione è, in questi casi,
l’unica strategia che abbiamo
per capire. </div>
<div> <br>
</div>
<div> Ma non è mai quello che
viene proposto come il livello
0 per gli adulti, anzi se mai
ci sono bambini, soprattutto
piccoli, anche chiaramente
autistici che non hanno una
vera e propria ricaduta sulla
qualità di vita al momento
della diagnosi, ma possiamo
ben prevedere che ne avrà e la
diagnosi dovrebbe servire a
tutelarli e a dargli un mondo
sociale più capace di capirli
e più adatto al loro stile di
funzionamento. Esattamente
come dici anche tu. </div>
<div> È un diritto inalienabile
dei bambini che gli adulti si
muovano in questa prospettiva
protettiva. Quindi io non
ritengo affatto di “forzare”
il sistema, credo sia giusto
porre le basi per aiutare il
bambino a crescere il più
sereno possibile. </div>
<div> <br>
</div>
<div> E il criterio D non può e
non deve essere inteso solo
come “il tuo stile di
funzionamento autistico ti
impedisce di lavorare e di
essere autonomo” ma anche come
ricaduta in termini di
sofferenza e di disagio
psichico. D’altronde qualche
volta la sofferenza può essere
così forte da impedire di
realizzarsi e di diventare
autonomi. E la sofferenza
psichica non è sapere
psichiatrica. </div>
<div> È ora di riconoscere e
dare valore anche a questo
aspetto con buona pace di chi
pensa che psicologi e
psichiatri siano
(non)professionisti facilmente
abbindolabili e incapaci di
riconoscere la sofferenza
psicologica e la ricaduta che
questa ha sulla qualità di
vita e
sull’autodeterminazione. </div>
<div> <br>
</div>
<div> Raffaella </div>
<div> <br>
</div>
<div> <br>
</div>
<div> <br>
</div>
<div>
<div> <br>
<blockquote type="cite">
<div> Il giorno 1 mar
2023, alle ore 17:37,
David Vagni <<a
href="mailto:david.vagni@gmail.com"
moz-do-not-send="true"
class="moz-txt-link-freetext">david.vagni@gmail.com</a>> ha scritto:
</div>
<div>
<div> Cara Raffaella,
<div> a parte l’avere
idee diverse
sull’unitarietà
dell’autismo,
concordo sul resto
del tuo discorso ma
vorrei aggiungere un
commento alla tua
ultima parte:
<div> <br>
</div>
<div>
<div>
<blockquote
type="cite">
<div> Inoltre
dovrebbe farci
riflettere che
questo
problema non
esiste quando
parliamo di
bambini esiste
solo per
quanto
riguarda gli
adulti. Ma
questi adulti
sono stati
bambini e
adolescenti
che
probabilmente
hanno sofferto
per non
sentirsi né
capiti né
integrati e
per una
diversità che
li ha sempre
fatti sentire
estranei. </div>
</blockquote>
</div>
<br>
</div>
<div> Come sai non
faccio diagnosi
(ripeto, sono un
ricercatore non un
clinico) ma
partecipo a
tantissime
valutazioni. Devo
dire che anche se
è infrequente, mi
è capitato più di
una volta di
osservare
situazioni di
"autismo si,
autismo no,
autismo forse” <strong>anche
nei bambini</strong>,
relativamente al
criterio del
“funzionamento”. </div>
</div>
<div> <br>
</div>
<div> Purtroppo nei
bambini, ancora più
che negli adulti, è
difficile (e rischi
di essere preso per
pazzo o peggio) fare
diagnosi in presenza
di un buon
funzionamento,
perché se sono in un
ambiente “protetto”,
l’ambiente stesso
tende a mascherare
le difficoltà
(genitori
iper-presenti,
piccola scuola
privata, etc.). </div>
<div> <br>
</div>
<div> Il problema è
che tu <strong>sai</strong> che
<em>prima o poi quel
bambino cadrà</em>.
Perché il problema è
che quando i tratti
autistici ci sono,
anche in presenza di
un buon
funzionamento (e
magari
momentaneamente
anche in assenza di
stress psicologico),
prima o poi quella
cosa che ti fa
crollare la trovi.
Spesso è il
passaggio da un
ciclo scolastico
all’altro o un
trasloco. </div>
<div> <span><br>
</span> </div>
<div> In generale in
quei casi spesso uno
scrive “ci sono
marcati tratti… ma
il funzionamento al
momento….” “si
consiglia di tenere
sotto
osservazione”…”si
consiglia ugualmente
di fare un
parent-training”,
etc. </div>
<div> Ma spesso
bambini nello
spettro hanno
genitori, almeno con
una gamba nello
spettro ed il
pensiero dicotomico
la fa da padrone e
viene ulteriormente
incentivato da un
sistema
sociosanitario
pensato per la
cura/assistenza
molto più che per la
prevenzione. </div>
<div> <br>
</div>
<div> Il risultato è
che frequentemente
in quei casi non
fanno nulla e poi
ritornano dopo 2, 4,
6 anni, quando
scoppia il problema.
</div>
<div> <br>
</div>
<div> Questo penso
dovrebbe far
ragionare su una
cosa, medici e
psicologi, di cosa
si occupano? Della
malattia o della
salute? Perché se ci
occupiamo della
salute dovremmo
impegnarci <em>primariamente</em><span> nella
</span><em>prevenzione</em>.
Ma il “sistema” non
lo consente. </div>
<div> <br>
</div>
<div> Quanto è lecito
forzare il sistema
per fare
prevenzione? </div>
<div> <br>
</div>
<div> Questa penso sia
una domanda
interessante da
porsi e a cui non ho
una risposta. </div>
</div>
_______________________________________________ <br>
Lista di discussione
autismo-biologia <br>
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href="mailto:autismo-biologia@autismo33.it"
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class="moz-txt-link-freetext">autismo-biologia@autismo33.it</a> <br>
Autismo-biologia e' una
lista di discussione
promossa dall' A.P.R.I.,
Associazione Cimadori
per la ricerca italiana
sulla sindrome di Down,
l'autismo e il danno
cerebrale. <br>
<a
href="http://www.apriautismo.it/"
moz-do-not-send="true">www.apriautismo.it</a>
<br>
<br>
Per cancellarsi inviare
un messaggio a: <a
href="mailto:valerio.mezzogori@autismo33.it"
moz-do-not-send="true"
class="moz-txt-link-freetext">valerio.mezzogori@autismo33.it</a> </div>
</blockquote>
</div>
<br>
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Lista di discussione
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href="mailto:autismo-biologia@autismo33.it"
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<br>
Autismo-biologia e' una lista di
discussione promossa dall'
A.P.R.I., Associazione Cimadori
per la ricerca italiana sulla
sindrome di Down, l'autismo e il
danno cerebrale. <br>
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<br>
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