<html>
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<meta http-equiv="Content-Type" content="text/html; charset=UTF-8">
</head>
<body text="#000000" bgcolor="#FFFFFF">
<span
style="font-size:10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">Sono
andati in stampa quasi contemporaneamente due articoli che
trattano dell’enzima Na+,K+ ATPasi nell’autismo; uno di essi è
stato pubblicato
dal nostro gruppo (Bolotta A et al, Autism Res, 2018) e l’altro da
un gruppo
statunitense (Torres A et al, Mol Gen Metab Rep, 2018). </span>
<p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal"><span
style="font-size:10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">Che
cosa è questo enzima dal nome così complesso? Esso trasporta
attivamente
gli ioni sodio e potassio attraverso la membrana cellulare,
regolando la loro
concentrazione all’interno della cellula. La funzione di
questo enzima è fondamentale
per la sopravvivenza e la funzione di TUTTE le cellule e, in
particolare, per
la trasmissione dell’impulso nervoso, la contrazione
muscolare, il mantenimento
dell’equilibrio osmotico e acido-base, il metabolismo, ecc.
“Trasportare
attivamente” significa trasportare con dispendio di ATP, ossia
di energia:
infatti, si stima che ben i 2/3 dell’energia spesa in
condizioni basali vadano
ad alimentare l’attività di questo enzima! </span></p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal"><span
style="font-size:10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">All’inizio
del 2013 abbiamo pubblicato un articolo che riportava
che nei globuli rossi dei bambini autistici da noi studiati
l’enzima funzionava
molto poco. Nonostante l’articolo non sia passato inosservato
(più di 70
citazioni sono indice di elevato interesse), nessuno aveva più
ripreso questa
osservazione, sulla cui interpretazione abbiamo lavorato per
diversi anni,
giungendo infine a pubblicare l’articolo sopra citato in un
giornale molto
autorevole. A dispetto degli sforzi profusi, però, non siamo
stati ancora in
grado di giungere a una precisa causa di tale disfunzione e,
in particolare, di
trovare un collegamento causa-effetto con l’autismo. In
definitiva, imputiamo
il malfunzionamento di questo enzima a una più o meno generica
alterazione
pervasiva dell’equilibrio redox, i cui effetti abbiamo
abbondantemente
documentato nei globuli rossi. Attenzione: i casi da noi
esaminati erano tutti
casi in cui non erano state identificate alterazioni genetiche
(il che non
significa che esse siano assenti). </span></p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal"><span
style="font-size:10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">L’altro
articolo, quello dei ricercatori statunitensi, riporta un
caso di un ragazzo con una mutazione </span><span
style="font-size:10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">rarissima
</span><span
style="font-size:10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">di
una subunità della Na+,K+
ATPasi, che, tra le altre disfunzioni, presenta disturbi dello
spettro
autistico. </span></p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal;mso-layout-grid-align:none;text-autospace:none"><span
style="font-size:
10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">Questa
storia, a mio parere, ci insegna molte cose. Innanzitutto, ci
dice (ma a noi sembra
non sia necessario ribadirlo) che anche dove non sia stata
riscontrata una
precisa alterazione genetica, ossia nell’80% circa dei casi di
autismo, vi sono
delle alterazioni biologiche/biochimiche, che indicano la
presenza di un
problema di tipo “organico” (ossia non “psicologico”). Ci dice
poi che tali
alterazioni, a dispetto dell’ampio ventaglio di background
genetici, della
grandissima disomogeneità di presentazione clinica, ecc.,
tendono a essere
comuni a tutti i pazienti, suggerendo che abbiano qualcosa a
che fare con un meccanismo di base “chiave” del disturbo
autistico, anche se l’alterazione non ha apparentemente nulla
a che vedere con
la tipologia specifica dell’autismo (che è un disturbo
essenzialmente comportamentale
e secondariamente cognitivo, sensoriale, ecc.). Queste
alterazioni, che
potremmo chiamare “biomarcatori” se ne fosse dimostrata
l’esclusiva presenza nei
pazienti ASD, potrebbero anche essere utili per anticipare nel
tempo o validare
una diagnosi che al momento è effettuata solo su
caratteristiche cliniche.
Infine, ci dice che le alterazioni biologiche/biochimiche
riscontrate possono
essere ritrovate in rari o rarissimi pazienti soggetti a
disturbi dello spettro
autistico (o a volte anche ad altri disturbi neuropsichiatrici
o del
neurosviluppo) in cui sia stata riscontrata una mutazione
genetica <i>che la
stragrande maggioranza dei pazienti autistici NON presenta</i>.
Questo è una
situazione ben descritta dalla genetica classica, che
definisce “fenocopie” gli
individui il cui fenotipo mimica quello di individui con una
mutazione
genetica. </span></p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal;mso-layout-grid-align:none;text-autospace:none"><span
style="font-size:
10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">Oltre
al
caso della mutazione di una subunità della Na+,K+ ATPasi, che
si è appena
proposto, vi sono altri esempi noti, tra cui le mutazioni che
alterano il ciclo
dei folati, la transulfurazione e la sintesi delle purine
(Howsmon et al., PLoS
Comput Biol. 2017). Un altro esempio che vorrei commentare
viene da un altro
nostro recente studio (Anwar et al, Mol Autism, 2018), che ha
dimostrato la
presenza, in soggetti autistici non sindromici, di
un’alterazione della via
catabolica degli amminoacidi ramificati; un gruppo
internazionale con una forte
presenza italiana ha descritto nel 2016 una rara mutazione
dell’enzima SLC7A5
responsabile del mantenimento della corretta concentrazione di
tali aminoacidi
nel cervello; tale mutazione, allo stato omozigote, determina
autismo (Tặrlungeanu
et al, Cell, 2016).</span></p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal;mso-layout-grid-align:none;text-autospace:none"><span
style="font-size:
10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin">Allo
stato
attuale, si può ragionevolmente ipotizzare che lo scarso
funzionamento di una
proteina o di una via metabolica, pur in assenza di specifiche
mutazioni, possa
dipendere da alterazioni epigenetiche, dovute a cause che
genericamente
possiamo definire “ambientali”, sulla natura delle quali
stanno accumulandosi
molte prove. Se da un lato la cattiva notizia è che tali cause
ambientali sono
spesso riconducibili a un crescente inquinamento al quale
risulta difficile
sottrarsi, la buona notizia potrebbe essere che la regolazione
epigenetica (a
differenza di quella genetica) è potenzialmente reversibile.<b
style="mso-bidi-font-weight:normal"> Ci serve solo una cosa:
ricerca, ricerca,
ricerca! <br>
</b></span></p>
<p class="MsoNormal"
style="margin-bottom:0cm;margin-bottom:.0001pt;line-height:
normal;mso-layout-grid-align:none;text-autospace:none"><span
style="font-size:
10.5pt;mso-bidi-font-family:Calibri;mso-bidi-theme-font:minor-latin"><b
style="mso-bidi-font-weight:normal">Marina Marini,
Università di Bologna<br>
</b></span></p>
</p>
</body>
</html>