[autismo-biologia] studio su un modello animale di mutazione del gene neuroligina-3
daniela
daniela a autismo33.it
Mar 11 Ago 2020 12:24:33 CEST
Il 6 agosto scorso è stato pubblicato l’articolo che sotto ricopio e sul
quale farò alcune considerazioni
“Autismo: scoperta una mutazione genica che causa le difficoltà sociali
le Scienze del 06/08/2020
La mutazione di un singolo gene altera il cammino di segnalazione
dell'ossitocina, una piccola molecola coinvolta nella regolazione del
comportamento sociale nei mammiferi, producendo nei topi sintomi simili
a quelli dell'autismo.
BASILEA. Una mutazione a carico del gene neuroligina-3 che riduce
l’effetto dell’ormone ossitocina è correlata alla difficoltà del
comportamento sociale tipiche dell'autismo. È quanto è emerso da una
sperimentazione sui topi di laboratorio, condotta da Peter Scheiffele,
dell’Università di Basilea, in Svizzera, e colleghi di una
collaborazione internazionale, e descritta sulla rivista “Nature”.
L’autismo è un disturbo caratterizzato da un comportamento anomalo nelle
relazioni sociali, da un deficit delle capacità comunicative ...
Una mutazione a carico del gene neuroligina-3 che riduce l’effetto
dell’ormone ossitocina è correlata alla difficoltà del comportamento
sociale tipiche dell'autismo. È quanto è emerso da una sperimentazione
sui topi di laboratorio, condotta da Peter Scheiffele, dell’Università
di Basilea, in Svizzera, e colleghi di una collaborazione
internazionale, e descritta sulla rivista “Nature”.
L’autismo è un disturbo caratterizzato da un comportamento anomalo nelle
relazioni sociali, da un deficit delle capacità comunicative e da
comportamento stereotipato. Considerato a lungo un problema psicologico
indotto dall'esperienza familiare nei primi mesi di vita, è ora visto
unanimemente come un effetto di un alterato sviluppo neurobiologico
innato.
Negli ultimi decenni, infatti, sono state identificate centinaia di
mutazioni geniche finora correlate a questo disturbo, definendo però un
quadro piuttosto confuso. Il problema è che ogni singola mutazione
scoperta è associata solo a un piccolo numero di casi e spesso non
spiega i meccanismi neurobiologici che determinano la sintomatologia.
Lo studio di Scheiffele e colleghi apre ora una prospettiva diversa,
perché mostra un plausibile rapporto di causa effetto tra mutazione
genica e manifestazioni comportamentali. I ricercatori hanno infatti
seguito un nuovo approccio che si è affermato di recente per ridurre la
complessità dei dati genetici sull’autismo focalizzato sui neuropeptidi,
piccole molecole simili a proteine fondamentali per la comunicazione
chimica tra neuroni. Tra queste sostanze, riveste un ruolo fondamentale
l’ossitocina, che regola molti aspetti del comportamento dei mammiferi,
in particolare le relazioni sociali.
Nella loro sperimentazione, gli autori hanno studiato nei topi di
laboratorio l’effetto neurobiologico di una mutazione del gene
neuroligina-3, già in passato associata nei roditori a comportamenti
simili a quelli dello spettro autistico degli esseri umani. Sono così
riusciti a dimostrare, per la prima volta, che tale mutazione,
determinando una sintesi alterata della proteina per cui codifica,
interferisce col cammino di segnalazione dell’ossitocina nei circuiti
neuronali di ricompensa. Ne risultano così alterate le risposte
neuronali a questo neuropeptide e ridotte di conseguenza le interazioni
tra gli animali.
A conferma di questa conclusione, gli sperimentatori sono riusciti a
ripristinare con un farmaco la normale risposta neuronale
all’ossitocina, ottenendo una risposta positiva a livello
comportamentale nei roditori, che hanno ripreso a interagire tra loro
come di consueto.
Il risultato riesce così a collegare tre diversi fattori con la
manifestazione dell’autismo: una mutazione genetica, l’alterazione della
sintesi di una proteina e la regolazione del comportamento sociale da
parte del sistema dell’ossitocina”
Il lavoro è molto interessante e naturalmente ciò che più interessa è il
fatto che apre spiragli a terapie innovative, ma bisogna sempre tenere
presente che
- Si tratta di un esperimento sui topi e il passo dai topi agli umani è
molto lungo
- Si tratta di un modello di condizione monogenica e sarebbe già
importante vedere se i pochi casi di autismo che hanno quella mutazione
risponderebbero alla terapia che ha avuto successo coi topi. In caso
positivo, l’auspicio è che una terapia efficace per una condizione
monogenica rara lo sia anche per i tanti casi da causa ignota.
Fatte queste premesse, passerei a esaminare la sostanza che ha
ripristinato la socialità ne topi mutati. Per fare questo ho chiesto
aiuto all’amico farmacologo che mi ha risposto quanto segue
“Il lavoro potrebbe avere senso e sono andato a cercare cosa è il
farmaco che usano
È un antitumorale della cui classe esistono varie molecole
Ho chiesto a un oncologo sperimentale se questi farmaci sono realmente
usati e mi ha detto che farmaci di questa vasta classe sono usati nei
tumori solidi e studiati nelle leucemie
Purtroppo, sono molto tossici, anche se alcuni lo sono meno e sono
“abbastanza ben tollerati”
Mi dice però anche che quello usato dagli Autori, è di un tipo
particolare (MAP-kinase interacting kinase o MNK): e di questi farmaci
pochissimi sono in studio clinico e nessuno approvato.
Ora:
nel lavoro gli Autori li danno in modo specifico in una ristretta area
cerebrale con lo stereotassico (uno strumento che permette di “mirare” i
trattamenti o interventi) nel cervello;
non capisco se basta un trattamento o se deve essere ripetuto.
Di conseguenza, direi che:
il trattamento potrebbe funzionare o perlomeno aprire una linea di
studio, ma
1 se deve essere così ben mirato non si può pensare ad usarlo facilmente
negli umani
2 Se deve essere ripetuto nemmeno
3 Ma poniamo che si possa dare per bocca (faccio per dire): possiamo
accettare la stessa tossicità che accetteremmo in un paziente tumorale
per poco tempo, in modo cronico in un autistico?”
Queste considerazioni non tolgono nulla alla qualità del lavoro, ma
frenano le aspettative dei tanti operatori e genitori che, leggendo il
resoconto dell’articolo, potrebbero pensare che una nuova terapia
efficace sia dietro l’angolo.
Daniela Mariani Cerati
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