[autismo-biologia] La disabilita' fisica, specchio (im)possibile della disabilita' mentale

mazzoni.armando a libero.it mazzoni.armando a libero.it
Lun 2 Apr 2018 21:39:16 CEST


Gentili componenti della lista

in questi ultimi giorni mi ha colpito molto la morte di Stephen Hawking,
fisico di fama mondiale (tanto da meritarsi la sepoltura accanto Newton) e
divulgatore scientifico, ed è stata l’insistenza dei notiziari e la continua
esposizione della sua disabilità fisica (non meno nota della sua fama di
Fisico) che mi ha fatto riflettere.

Gli elementi di riflessione sono tanti e di certo non se ne possono trarre
conclusioni generali, vista l’eccezionalità del personaggio e dei mezzi che
ha avuto a disposizione. Dalla sua storia si capisce come sia complicato, ma
non impossibile, che una persona fisicamente disabile in modo totale possa,
grazie alla tecnologia ed alla forza di volontà e, non ultimo, alle sue
integre capacità mentali, comunicare, avere una vita sociale, una
professione; tutto grazie ad un impercettibile residuo di abilità fisica: il
movimento degli occhi.

Dobbiamo poi considerare altri cambiamenti che proprio questa possibilità di
esprimersi ha generato nella collettività; un corpo ed un volto devastato
dalla malattia come quello di Hawking sarebbe per la gente comune difficile
da guardare, eppure ben ne tolleriamo la vista, nel bel mezzo di speaker e
pubblicità che usualmente propongono un’immagine ben diversa.

La partecipazione alla vita e a situazioni di eccellenza (il mondo della
Fisica di avanguardia) hanno dato modo di raggiungere la realizzazione della
persona (seppur parziale) e un’integrazione sociale che facilita da parte
nostra l’accettazione e il relazionarsi con il diverso.  Non sarà difficile
trovare considerazioni simili in altre storie di personaggi pubblici, come
Alex Zanardi o Bebe Vio.

Prima di passare alla disabilità mentale è scontato dire che è cosa ben
diversa dalla disabilità fisica, senza dimenticare che non di rado,
purtroppo, si possono avere entrambe nella stessa persona. 

Eppure, forse, tutte le differenze non sono dovute all’evidente.

Una pur lieve disabilità mentale porta ad una difficoltosissima
integrazione, sia nell’infanzia che nella vita adulta e preclude nella
maggior parte dei casi l’accesso ad una vita sociale e ad un vero lavoro.

“Guardare” una disabilità mentale per quello che è, come si guarderebbe ad
un deficit fisico, è ancora socialmente, culturalmente (e verrebbe da dire
anche clinicamente) difficile, tanto da doverci interrogare sull’esistenza
di diverse razze, tribù umane e se sia legittimo ed etico operare un
cambiamento su di esse; parlare di normalità e di far tendere alla normalità
non sembra più opportuno e corretto, una violazione dell’integrità e della
dignità della persona mentalmente disabile.

Eppure guardando alle persone sopra citate, a nessuno verrebbe in mente di
tentare una “normalizzazione” che vada al di sopra del possibile alla data,
di operare forzature inutili e grottesche; il perimetro e “il giusto”, anche
se si osa, sembra definito in modo preciso dai confini netti e riconoscibili
della disabilità fisica. Nessuno avrebbe la velleitaria ambizione di
riportare il tutto ad una normalità tanto riconoscibile quanto
irraggiungibile.

Pensando alla disabilità mentale, invece, ed in particolare all’autismo,
vedo ancora distanze enormi da colmare per raggiungere questa lucidità e
chiarezza, clinica e di intenti da parte di tutti.

Riguardo alla partecipazione alla vita quotidiana, i personaggi di cui sopra
mi portano a queste considerazioni; se è vero che gravi disabilità fisiche,
con opportuni e sofisticati ausili, non precludano all’integrazione sociale
e alla partecipazione ad attività in cui si riconosca bellezza e/o
eccellenza in contesti normali o partecipati dall’intera collettività, mi
chiedo perché non si debba progettare idealmente, quanto più possibile, la
partecipazione dei disabili mentali a contesti paragonabili, con particolare
riferimento all’imparare, all’abitare e al lavorare e perché questo non si
debba realizzare con quello che sono i loro ausili, le loro protesi verso il
mondo, ovvero altre persone deputate a ciò per affetto o per professione.

Conosco invece, più per sentito dire che per conoscenza diretta (scusatemi
per questo), o il totale vuoto o prevalentemente realtà progettate e
realizzate in uno spazio vitale ridotto alla condivisione di attività in
ambienti scollegati e ghettizzati rispetto al mondo, dove le cose prendono
forma mettendo insieme un gruppo disabili mentali e personale ausiliario,
non sempre adeguatamente preparato e motivato. 

In un paragone forzatamente simmetrico di una tale realtà trasposta
all’illustre Hawking, immagino lo scienziato in bar di periferia, seduto su
una sedia qualunque, cadere per terra e non essere raccolto dal suo
accompagnatore e, in momenti “migliori”, forzato a parlare di calcio, che
non gli interessa, a persone disabili come lui, attraverso un computer di 30
anni fa. 

 

AM

 



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