[autismo-biologia] EARLY INTERVENTION oppure EARLY ABANDONMENT?

mazzoni.armando a libero.it mazzoni.armando a libero.it
Dom 31 Gen 2016 12:52:41 CET


In questi giorni è tornato giustamente alla ribalta il tema dell’autismo
adulto e di tutti gli inceppamenti medico-legali che, molto spesso
pretestuosamente e anche illegalmente, fanno sparire la diagnosi di autismo
dai “registri”, per cominciare (o continuare) un percorso di abbandono e di
soprusi.

Negli ultimi lustri, invece, letteratura e interventi operativi sono fioriti
intorno alla Early Intervention, con approcci seri, documentati, che
consigliano di intervenire il più precocemente e intensivamente possibile,
avendo oggi degli strumenti diagnostici che permettono di individuare con
certezza l’autismo a 24 mesi e forse anche meno.

Tutto bene e sacrosanto fin qui, un cervello in piena evoluzione avrà forse
molta più potenzialità plastica e possibilità di rispondere a tali
interventi (anche se nessun intervento è ben documentato sugli esiti a lungo
termine,da adulti, appunto)… ma ecco che si comincia a sentire l’ombra di
una nuova minaccia: se non si interviene tra 2 e 4 anni (domani sarà forse
tra 6 mesi e tre anni) certo i risultati non potranno essere che modesti. 
Non si discute qui la scientificità di questo tipo di considerazione, ma su
come si pongono i servizi pubblici e privati intorno a questo tema. Si ha la
sensazione che su quest’onda la soglia di età di abbandono stia
drasticamente diminuendo e stia diventando non più diciotto anni, ma anche
molto meno della metà.

Se il bambino non ha fatto (e nei casi peggiori anche se lo ha fatto ed è
ormai grande) un intervento intensivo e precoce non è più tanto
interessante; le poche e affogate strutture pubbliche utilizzano l’età per
dare la precedenza alle prese in carico ai più piccoli (quale osceno e
crudele criterio verso l’infanzia), gli Ospedali, interessati a collezionare
diagnosi quanto più precoci possibili e molto poco interessati o
responsabili di percorsi abilitativi, cominciano a diradare i controlli
ancor prima dei dieci anni e gli stessi fornitori di servizi abilitativi
privilegiano i piccolissimi, perché più interessati ad avere quanti più casi
possibili “miracolosi”.

Ci chiediamo quindi se stiamo di fronte ad un enorme effetto paradosso, dove
l’intento collettivo di dare un futuro degenera invece in un involontario
razzismo scientifico, anticipando le ragioni e soprattutto le
giustificazioni per ritenere un autistico perso e irrecuperabile anche a
molto, molto meno di 18 anni.

 



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