[autismo-biologia] terminologia
Flavia Caretto
fcaretto a libero.it
Mer 18 Mar 2015 06:10:04 CET
Salve, sono Flavia Caretto, psicologa.
Leggo sempre con attenzione le e-mail della lista autismo-biologia, pur
non essendo un medico o un biologo, e senza la pretesa di comprendere
davvero ciò che si pubblica.
Vorrei segnalare qualcosa che mi appare come un problema. Noto che
spesso si utilizza, nelle semplificazioni giornalistiche, ma anche nel
parlare comune “intorno” all'autismo, un linguaggio privo di rispetto, a
prescindere dal “dato” a cui ci si sta riferendo. Si utilizzano parole
che hanno assunto una connotazione di giudizio nell’uso comune – una
connotazione da cui non si può prescindere. A volte il senso sociale di
un termine “prevale” su quello tecnico (e rende il termine semplicemente
offensivo) mentre altri termini veicolano concetti semplicemente errati.
Ad esempio, la definizione di “comportamenti antisociali” riferita
all'autismo, non ha alcun riscontro nella letteratura scientifica, ed è
stigmatizzante, in quanto evoca contrapposizione e pericolosità sociale.
Alcuni titoli giornalistici in verità non hanno proprio alcuna relazione
con il contenuto: immagino che vengano scelti per indurre qualcuno a
leggere di più.
Ma spesso l'autismo viene descritto anche nelle pubblicazioni
scientifiche (anche e forse soprattutto da chi non ha conosciuto –
lavorato – vissuto con persone autistiche) in termini fortemente e
radicalmente, direi "violentemente" e unicamente, negativi, che mi
lasciano imbarazzata.
Da persona tipica, cerco di capire le motivazioni che spingono le altre
persone tipiche a fare generalizzazioni e semplificazioni, ma trovo
comunque che far “rimbalzare” definizioni sbagliate da una notizia
all'altra non ottenga altro effetto di aumentare lo stigma, e quindi, in
definitiva, di allontanare le possibilità di comprensione sociale
dell'autismo e di migliorare la qualità della vita delle persone
autistiche e delle loro famiglie.
Se e quando è possibile, si dovrebbe porre attenzione ad usare un
linguaggio corretto e ad evitare le terminologie che esprimono giudizi
di valore e non corrispondono ai “dati” sperimentali. Non mi sembra solo
una condizione di buon senso e di buona educazione, ma un problema di
sostanza e di diritti.
Per ottenere un linguaggio corretto, basterà mettersi nei panni di un
lettore autistico, e immaginare che la terminologia usata venga riferita
a noi. Considerato che “accusiamo” le persone autistiche di scarsa
empatia, non ci dispiacerà dimostrarne un po’, vero?
Flavia Caretto
18 marzo 2015
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