[autismo-biologia] risposta al Dr.Sarra

Carlo Hanau hanau.carlo a gmail.com
Dom 2 Ago 2015 19:28:04 CEST


Anzitutto, a onore di cronaca, devo ricordare che il 28 luglio a Roma non
soltanto il Dr.Bianchi di Castelbianco ma anche la Cav. Savagnone è
intervenuta senza rispetto per la  Linea Guida n.21 dell’ISS, chiedendo la
libertà di scelta della famiglia ed il rimborso anche delle pratiche non
validate. D'altra parte ricordo che lei stessa, insieme al Prof.Albertini,
ha invitato a Roma alcuni esponenti di tali pratiche. Queste posizioni
“estremiste” danneggiano chi chiede il rimborso esclusivamente delle
pratiche validate scientificamente, perché la torta dei finanziamenti è
limitata e molti sono coloro che ne hanno bisogno.



Le richieste avanzate dal Dr.Sarra non sono per nulla peregrine. Tuttavia
non è il DDL nazionale sull’autismo lo strumento adatto: insistendo su
queste richieste in questa occasione si otterrebbe soltanto un affossamento
del DDL.

Il Dr.Sarra propone di aggiungere all’articolato del DDL già approvato due
argomenti: assistenza indiretta e camera di conciliazione: ricordo che per
problemi come questi, di interesse comune alle altre persone malate o con
disabilità, sarebbe necessario si muovessero (meglio se a livello
regionale) le Federazioni FISH e FAND, il cui impatto è molto più grande di
quello delle piccole associazioni create per la disabilità mentale.

Secondo gli esperti costituzionalisti che conosco, dopo la riforma del
titolo V della Costituzione la legge statale non può imporre la modalità
dell'assistenza indiretta alle Regioni che non ne vogliono dare
applicazione. E se anche lo facesse non potrebbe essere una norma limitata
ai casi di autismo: esiste già la legge 162 del 1998 che lo consente, ma
soltanto qualche Regione la applica davvero.

Prima della legge 162 del 1998 esisteva già il c.d. “sussidio in luogo di
ricovero”, dove per evitare che la persona con gravissima disabilità
finisse in una residenza veniva concessa una somma mensile, in genere molto
inferiore alla corrispondente retta mensile che il Comune e l’azienda
sanitaria locale avrebbero dovuto pagare alla residenza. Con minore costo
per gli Enti pubblici si otteneva maggiore soddisfazione della persona
interessata, che solitamente era molto limitata nelle attività quotidiane
(ad esempio per tetraplegia) ma pienamente capace di intendere e di volere,
di scegliersi un operatore e di instaurare con lui un rapporto che
travalica il rapporto di lavoro, uscendo dallo schema del contratto di
lavoro dei dipendenti e dei cooperatori per entrare in quello di un
rapporto familiare di cura 24 ore su 24, dove i costi si abbassano
notevolmente e la continuità di cura è assicurata. L’aspetto negativo della
formula consiste nel fatto che è difficile per chiunque verificare se in un
rapporto a due così stretto vengono rispettati i diritti di entrambi ed
inoltre vengono a ridursi per lo Stato e per gli Enti previdenziali quelle
entrate fiscali e parafiscali che invece sarebbero avvenute con un rapporto
di lavoro “normale”. In Germania, per esempio, quando si paga un sussidio
invece che erogare un servizio, il sussidio si calcola riducendo
automaticamente di una grossa percentuale il costo del servizio erogato
dall’ente pubblico o da quello regolarmente accreditato e convenzionato.

La più recente proposizione da parte di Trieste del “Budget di salute”
individuale per la salute mentale, che corrisponde al calcolo del costo
atteso per ottenere il soddisfacimento del Programma di vita (art.14 della
Legge 328) nelle varie alternative assistenziali possibili, rende evidente
la convenienza dell’una o dell’altra formula, assistenza diretta o
assistenza indiretta, ma spesso si dimentica di valutare il diverso ritorno
all’erario  di IRPEF e di contributi previdenziali e la facilitazione a che
si ricorra addirittura al lavoro in nero.



Assistenza diretta o indiretta? Non si dimentichi che si tratta di scelte
politiche delle amministrazioni regionali e locali, per cui ogni Regione
vuole essere libera di decidere in materia, anche per quanto riguarda la
percentuale di rimborso sulle fatture pagate dalle famiglie.  Si tratta
infatti di riconoscere che il proprio servizio sanitario non è in grado di
rispondere ai bisogni della persona: purtroppo questo succede quasi sempre
in molte Regioni nel caso dell’autismo, per i ritardi culturali e per una
somma di interessi più o meno legittimi e dichiarati a conservare
l’esistente (un’oretta di logopedia e psicomotricità) che non tiene conto
dell’evoluzione avvenuta negli ultimi cinquant’anni e della Linea guida
dell’ISS n.21 del 2011.

Alcune Regioni rimborsano parte delle spese effettuate dalla famiglia per
procurarsi una strategia basata su ABA equiparando questa pratica alle
“terapie compassionevoli”, che sono quelle che il Servizio sanitario
Nazionale può dare quando per il paziente non vi sia nessuna cura validata.
In questo modo intollerabile si sbagliano i giudizi, mettendo sullo stesso
piano ciò che ha avuto una validazione scientifica, e le pseudoterapie del
tipo ”stamina”, “metodo Di Bella”, Doman, DAN!, chelazioni, iperbarica,
omotossicologia etc etc.).

Il colore politico dei governi delle Regioni influisce su queste scelte
politiche, ma soltanto in parte, dato che il Veneto e la Toscana rimborsano
fatture anche per le medicine alternative, compreso il caso dell’autismo.
La Regione Marche per prima, nel 2002, ha fatto invece la scelta di
convertire i propri servizi sanitari ed educativi in favore delle pratiche
validate scientificamente per l’autismo ed ha approvato nel 2014 la prima
legge che riprende i contenuti delle Linee di indirizzo della Conferenza
Unificata  del 2012, mentre la Regione Emilia Romagna vede le macchie di
leopardo per l’applicazione del Progetto autismo PRIA sul suo territorio e
stenta ad adeguarsi alle Linee di indirizzo della Conferenza Unificata del
2012. Non è una novità che le istituzioni tendono alla autoconservazione e
si oppongono ai cambiamenti, per cui è più facile per la Regione Lazio, che
possiede un servizio di neuropsichiatria quasi inesistente, concedere un
sussidio in moneta, piuttosto che per la Regione Emilia Romagna, dove vi
sono molte centinaia di operatori dipendenti dal pubblico o dalle
cooperative.

Infine non si deve dimenticare che i bambini con autismo già oggi
dispongono di 25 ore la settimana di operatori a rapporto uno a uno
(insegnanti di sostegno, educatori, assistenti alla comunicazione) oltre
che dello psicomotricista e logopedista e che è impensabile che non si
utilizzi questo esercito di operatori per soddisfare le vere esigenze dei
bambini. Occorre una rivoluzione culturale degli operatori per assicurare
il diritto alla cura, che per questi casi si concreta in un diritto
all’educazione speciale, che la Costituzione delega come onere ed onore ai
genitori. Nulla su di noi senza di noi deve valere in questo caso per
entrambe le motivazioni: la scelta della cura e la scelta dell’educazione
compete a chi ha la potestà genitoriale.

Per realizzare quanto sopra non c’è bisogno di ribadire quanto le leggi
esistenti già prescrivono e che in alcune Regioni già si applica, ma
piuttosto occorre preparare le buone ragioni e le richieste sensate delle
famiglie, per scrivere i LEA sull’autismo, la nuova Linea e le nuove Linee
di indirizzo che il DDL, diventando legge dello Stato nell’attuale
formulazione, già ora prescrive, innescando i LEA nazionali ed i programmi
sull’autismo delle singole Regioni.

Carlo Hanau
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