[autismo-biologia] stereotipie e comportamenti problema

Fondazione Marino fondazionemarino a gmail.com
Gio 1 Ago 2013 09:28:58 CEST


 Buongiorno a tutti,
mi permetto di sottoporvi alcune riflessioni sulle stereotipie e sui
comportamenti problema.



Adulti con autismo: stereotipie e comportamenti-problema.

Quando si parla di epifenomeni correlati alla condizione di DPS,
l’attenzione di addetti ai lavori e non va subito nella direzione
delle stereotipie e dei comportamenti-problema che sono le stimmate
della malattia assieme all’irrequietezza, alla fuga dagli sguardi,  ai
deficit relazionali e dell’eloquio.
Per quanto riguarda le stereotipie ed i comportamenti-problema in
letteratura non v’è spazio sufficientemente dedicato per una
trattazione separata di essi che permetta una esplorazione finalizzata
ad una definizione esaustiva. Nella Fondazione Marino, struttura che
ospita esclusivamente persone adulte affette da questa malattia del
SNC, la osservazione continua ha permesso di formulare considerazioni
che possono aiutare ad orientarsi  ad  operare una distinzione tra i
due sintomi. Ciò non solo aiuta a capire ma permette, altresì, una
migliore comprensione del comportamento-problema che, molto spesso, è
l’unico elemento che indirizza il clinico verso la causa di un
malessere o di un disagio grave della persona con autismo.

Le stereotipie.

Comportamenti e gesti stereotipati hanno la caratteristica di essere
ripetitivi e sono perciò facilmente prevedibili nella loro
estrinsecazione ed automatici nell’effettuazione. Esiste una grande
varietà di stereotipie.
In un precedente lavoro abbiamo definito le stereotipie come la
traduzione in chiave motoria della scoraggiante semplicità e della
ossessiva ripetitività dei pensieri del soggetto autistico. E’
acquisizione certa che, in condizione di normalità, può essere
controllata la qualità dei pensieri ma che il loro fluire  è
inarrestabile. Essi possono insorgere senza causa apparente o in
conseguenza di un bisogno. Nel primo caso fluiscono tali e quali;
quando invece sono orientati ad essi seguono  gesti od azioni miranti
al soddisfacimento del bisogno per cui i pensieri stessi sono stati
elaborati. Un fatto certo è che, nello stato di veglia, i pensieri
scorrono in sostanziale, incondizionata autonomia se non interviene un
atto volontario che ne devii il corso  Probabilmente anche l’attività
cerebrale delle ore notturne risente di questa condizione; tuttavia i
pensieri della notte, che si traducono in sogni, sono sganciati dai
condizionamenti e dalle inibizioni dello stato di veglia. Si dà il
caso che le stereotipie, durante la notte, cessino come per incanto,
come se il sonno disinneschi il loro automatismo. Ciò fa pensare che
le stereotipie, in fase di veglia, siano innescate da un atto
volontario derivante da un bisogno compulsivo e che, poi, l’esecuzione
venga “affidata” al sistema extrapiramidale che la fa diventare
automatica. La malattia autistica è determinata da un disordine
neurologico provocato dall’arresto, a livelli diversi, dello  sviluppo
 dell’anatomia e  della fisiologia del cervello. Questo si traduce in
disordine anatomo-funzionale che, probabilmente, favorisce le
connessioni che cortocircuitano le elaborazioni cerebrali di cui sono
capaci i soggetti affetti dalla malattia ed impediscono che le
elaborazioni stesse possano coagularsi in pensieri strutturati e
complessi. Questa monotona circolarità e la semplicità del ”pensare”
autistico si tradurrebbero in movimenti afinalistici reiterati che,
proprio per la loro ripetitività e prevedibilità, vengono definite
stereotipie. E’ seducente formulare un’ ipotesi integrativa per ciò
che riguarda le stereotipie autolesionistiche e cioè: che esse si
autoalimentino anche per l’innesco di un meccanismo fisiologico
ampiamente conosciuto: la liberazione delle beta-endorfine come
conseguenza delle auto-flagellazioni. E’ facile immaginare che, a
causa della devastazione della normale fisiologia, il cervello del
soggetto autistico possa non produrre o produrre in quantità
irrilevante queste sostanze la cui presenza, però, nel “milieu
interieur” è indispensabile per il mantenimento dell’omeostasi
comportamentale ed umorale. Le stereotipie autolesionistiche allora
avrebbero un loro finalismo e cioè la funzione di propiziare in
qualche modo il loro rilascio.
Riepilogando: le stereotipie non autolesionistiche potrebbero essere
la traduzione motoria della semplicità del pensare autistico e sono
afinalistiche; quelle autolesionistiche potrebbero avere la funzione
di stimolare la produzione delle beta-endorfine la cui sintesi
potrebbe essere carente nel soggetto con DPS.

I comportamenti-problema: ipotesi e commenti.

Il disagio fisico o mentale ed il dolore sono seguiti da aumento delle
stereotipie con possibilità di innesco di altri parossismi che
comprendono auto od etero-aggressività che sono l’unico strumento
efficace per il soggetto autistico per attirare l’attenzione su un suo
problema. L’evenienza più probabile, nel disagio, è lo scorrimento
verso l’aggravamento delle stereotipie. Quando il repertorio di queste
si esaurisce, senza che il soggetto che le emette raggiunga lo scopo,
compaiono vere e proprie crisi di auto ed etero-aggressività che
rappresentano ciò che comunemente definiamo comportamento-problema,
altro stigma dell’autismo al quale, però, si stenta di riconoscere
dignità a sé stante. Tuttavia, se non si introduce una discriminante,
la più accurata possibile, tra le stereotipie e i
comportamenti-problema si rischia di non recepire i messaggi dei
soggetti autistici condannandoli così ad una inutile e dannosa
somministrazione di psicofarmaci. Una linea di demarcazione netta tra
le prime ed i secondi non è facile da individuare e tuttavia esiste e
soltanto un occhio ben allenato riesce a percepirla nella fase di
passaggio. L’importanza di riconoscere la tenue linea di demarcazione
tra la stereotipia e il comportamento-problema sta nel modo diverso di
gestire le due condizioni: la stereotipia “innocente” va trascurata o
comunque non richiede un trattamento d’emergenza; il
comportamento-problema è, invece, una sentinella che avverte
l’operatore del disagio mentale serio o del problema fisico del
soggetto che li emette e vanno, quindi, interpretati e trattati in
modo adeguato.

Direttore Sanitario Fondazione Marino
Dott. Natalino Foti


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