[autismo-biologia] pica

Cornacchia/Donato alpinok2 a teletu.it
Dom 30 Ott 2011 21:33:02 CET


Gentilissimi,
Il commento sulla vicenda riportata non può che essere una riflessione critica sul come questa donna impieghi il proprio tempo. Ho iniziato, avendo un figlio aut. di 24 anni, a farmi una cultura visitando strutture per disabili, e vi confermo, per la maggior parte,  l'angoscia che se ne trae. 
Ciò non per il dolore del distacco ( molti di noi hanno già patteggiato anche con questi sentimenti ) , ma per la constatazione di quanto poco si faccia, in barba a molte certificazioni ed accreditamenti che, sulla carta, tutti hanno imparato ad ottenere, previa frequentazione di qualche master attraverso il quale si impara a presentare le attività ( le collanine di pallline di carta sono diventate " attività espressive", le uscite in piscina o al mare, documentate da foto, in realtà si sono svolte una sola volta e dimenticate, etc......) La noia è in molti casi la compagnia abituale delle giornate. Abbiamo quindi già segnalato alla Regione, e credo dovrebbe essere fatto in tutto il PAese, come dopo l'accreditamento dei Servizi per disabili intellettivi ( e quindi per coloro che certamente non si lamentano del disservizio ) sarebbe opportuno prevedere un protocollo di controlli periodici ).
Dal 2001 ho iniziato nel mio territorio, ed in seguito in sede regionale, a cogliere ogni occasione per porre all'attenzione il problema del passaggio all'età adulta.
Si avvertono, a livello locale ( intendo nella AUSL di Ravenna ) alcuni segnali di attenzione che potrebbero far sperare, ma alcuni elementi di ambiguità rischiano di far deviare il percorso verso ciò che ormai è indirizzo comune in molte realtà.
Intendo riferirmi all'ambiguità della dizione "integrazione socio-sanitaria" ( cui la Regione Emilia Romagna, e non solo,  si appella in svariati documenti e linee di indirizzo operativo ) che  ormai  quasi dovunque si traduce in interventi esclusivamente di taglio sociale, con  conseguente implementazione di servizi declinati secondo un approccio meramente assistenziale ed assoluta mancanza di referenze specialistiche, come M.Cerati denunciava. 
In questo vuoto qualitativo stiamo cercando, con poche altre persone, di presentare dati di evidenza circa la necessità di organizzare un servizio per la disabilità intellettiva negli adulti, che veda la compartecipazione dei due elementi ( sanità e sociale ) affiancati e complementari per il fantomatico e ritrito concetto di "lavoro di rete", ormai bagaglio lessicale di tutti i relatori ai convegni, ma raramente applicato nella quotidianità.
Certamente la disabilità intellettiva è costretta oggi a condividere un'offerta di servizi spesso più a misura della disabilità fisica, e , dove qualcosa di buono si fa, spesso la taratura è omogeneizzata al basso funzionamento.L'obiettivo di creare una referenza specialistica, con funzioni di presa in carico periodica, monitoraggio delle terapie farmacologiche, indirizzo sugli approcci abilitativi,  appare quindi  valido per tutta la disabilità intellettiva. 
In tutto ciò, mi chiedo però ancora una volta se l'accomunarsi alle più varie disabilità intellettive significhi veramente per le persone autistiche trarne un vantaggio. 
Spinta dalla constatazione che la Sanità si impoverisce sempre più, e nella ricerca di alleanze, ho ritenuto giusto nel mio territorio fare fronte comune con la disabilità intellettiva in generale, ma sono estremamente consapevole che un eventuale successo rappresenterebbe per le persone aut. solo l'inizio di un percorso che andrebbe poi ridefinito.
Localmente qualche caso ha avuto una"presa in carico" delle Psichiatria, direi quasi "forzata" dopo l' emissione di  problermi comportamentali così gravi da aver provocato in due ragazzi ripetuti ricoveri in SPDC. Ma, oltre l'intervento farmacologico, nulla avrebbe potuto fare lo Psichiatra, se non fossero intervenuti operatori del C. Autismo, dando una disponibilità che valica il confine del dovuto.  
E ancora di più stride fare queste considerazioni nella mia realtà ravennate, ove la Psichiatria adulti si è fatta fiore all'occhiello della creazione di un' U.O. per la riabilitazione psichiatrica in cui, secondo modelli cognitivo-comportamentali, viene fatto un lavoro eccellente. Dunque siamo così distanti da questi modelli? 
E in tutto questo, vogliamo affrontare il tema nuovo dell'ostilità di cui siamo oggetto da parte dei rappresentanti di di altre associazioni in  molti tavoli di lavoro, nei quali veniamo accusati di essere "privilegiati" per l'attuale attenzione all'autismo e si tenta di sminuire il problema, riportando le necessità ad un bisogno più vasto e più generalista? 
In sintesi, come vedono la questione i Professionisti ? Dovremmo insistere per avere prese in carico "life long" affidate ai Centro Autismo, come mi pare alcuni  suggeriscono, adducendo le mille peculiarità dello spettro aut. ? Rischiamo in tal modo di vederci opporre un netto rifiuto a causa dell'ipotetico maggior onere di spesa? 
Ma è proprio così, costerebbe veramente di più avere una referenza specifica ( penso al Dr. Arduino) ? Possiamo sposare la tesi del Prof. Barale secondo cui lo Psichiatra è il professionista più indicato per occuparsi "anche" di autismo ed andare avanti nella nostra richiesta di presa in carico? Penso ad un team aziendale, in cui lo Psichiatra sia affiancato da altre figure professionali ( psicologo, educatore, etc..), ma rifuggo dall'idea che a gestire servizi di tale genere vadano figure del sociale ( sociologo, assistente sociale, etc.. ) , come purtroppo si sta profilando.
Il tema è vasto e politicamente scorretto, ma la discussione aperta, se volete. Grazie dell'ascolto   
Noemi Cornacchia
  ----- Original Message ----- 
  From: daniela marianicerati 
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  From: daniela marianicerati 
  To: lista autismo-biologia 
  Sent: Thursday, October 20, 2011 3:51 PM
  Subject: [autismo-biologia] pica



  Una donna di trent’anni con disturbo dello spettro autistico è stata ricoverata nell’agosto scorso  per occlusione intestinale. I chirurghi hanno trovato nell’intestino una enorme quantità di plastica che la donna aveva ingerito in uno dei rari momenti in cui non veniva osservata da vicino. Ha subito un grosso intervento chirurgico e ora si sta faticosamente riprendendo.

  Nel recente passato aveva presentato un altro comportamento problema: dopo avere raggiunto il controllo sfinterico da bambina, aveva ricominciato ad urinarsi addosso. Il comportamento era ascrivibile, verosimilmente, non a perdita del controllo sfinterico, ma a richiesta di attenzione o ad altro intento comunicativo espresso in questo modo patologico. 

  Non si puo’ dire che la donna, e la famiglia, non ricevesse aiuti da parte del pubblico. Veniva accolta in un centro diurno per gravi, insieme a disabili di tutt’altro tipo, dove rimaneva per il tempo corrispondente ad un normale orario di lavoro. 

  Nel centro ci sono assistenti ed educatori gentili, garbati, ma senza specifiche competenze nel campo dell’autismo o della disabilità mentale né è prevista nessuna consulenza o presa in carico di tipo riabilitativo o psichiatrico, né stabile né al bisogno. 

  E questa non è la peggiore delle situazioni nel nostro paese. In molti casi non c’è neanche l’aiuto di tipo sociale.
  Situazioni simili a quella descritta sono tutt’altro che rare. C’è un’abbondante letteratura sia sulla pica in particolare che sui comportamenti problema in generale e sulle strategie per affrontarli.
  Riporto alcune referenze e copio da esse qualche stralcio.

  McAdam DB, Sherman JA, Sheldon JB, Napolitano DA. Behavioral interventions to reduce the pica of persons with developmental disabilities. Behav Modif. 2004 Jan;28(1):45-72.
  http://bmo.sagepub.com/content/28/1/45.short
  Si tratta di una rassegna che ha preso in considerazione 23 studi specifici su questo tema.
  Twenty-six published studies have examined the efficacy of behavioral-intervention packages (e.g., differential reinforcement of other behavior, noncontingent attention, or overcorrection) on the pica of persons with developmental disabilities


  Pardeep Grewal, BSc MB and Brian Fitzgerald. Pica with learning disability. J R Soc Med. 2002 January; 95(1): 39–40.
  http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1279150/

  A multidisciplinary approach may be the first strategy. The most useful management was a combination of nursing input, occupational therapy and speech and language therapy. The combination of therapies seems to give better results than any single treatment modality. Effort should be focused on providing a range of non-pharmacological interventions that can complement medication.

  Su questo comportamento gravissimo, chiamato pica dal nome latino della gazza, che pare abbia l’abitudine di mangiare cose non edibili, c’è stato un lungo e approfondito articolo su “The guardian” (24 ottobre 2006) a commento della morte di un uomo a seguito dell’ingestione degli oggetti più svariati
  http://www.guardian.co.uk/lifeandstyle/2006/oct/24/healthandwellbeing.health2
  'There's nothing he wouldn't eat'
  A recent inquest found that a man had died swallowing a screw, a pen top, some coins and a magnet. Emine Saner reports on pica syndrome - a rare but deadly condition


  Il sito web
   http://www.thecbf.org.uk/chall-behaviour/more/Pica.htm
  dedicato ai comportamenti problema in generale dedica una monografia alla pica, dalla prevalenza, che nel ritardo mentale arriva fino al 26%, fino agli approcci terapeutici.
  It is estimated that between 4% and 26% of individuals with a learning disability display pica behaviour. It is thought that the more severe the individual’s learning disability the greater the chance that they will display pica.


  Il sito 
  http://absurdityisnothing.net/2010/03/pica-lirrefrenabile-bisogno-di-mangiare-oggetti-non-commestibili/#ixzz1bKEdfy6l 
  riferisce
  Uno studio americano rivela che il 25% delle persone affette da problemi psichici ha anche sofferto di Pica. Questa percentuale sale al 60% se si prendono in considerazione solo gli autistici.


  Tornando al caso da cui siamo partiti, potremmo intitolarlo “un evento annunciato”
  Ma chi applicherà quanto noto in letteratura al nostro caso? Dopo il raggiungimento del diciottesimo anno di età la nostra paziente, come la maggioranza dei suoi compagni di sventura, è stata ritenuta non degna di attenzioni da parte di figure professionali con funzioni terapeutiche o riabilitative, ma solo di mera assistenza generica.
  Meriterebbe un approccio multidisciplinare. I farmaci fanno poco ma, se dati con prudenza e saggezza da chi ha un’esperienza specifica nella psichiatria del ritardo mentale e dell’autismo, insieme ad un approccio comportamentale, ecologico, educativo, occupazionale, potrebbero aiutare a migliorare il comportamento e a prevenire eventi gravissimi, a rischio della vita, come quello che ho descritto sopra.
  La madre da tanto tempo chiede aiuto agli psichiatri del SSN che quasi la rimproverano usando le stesse parole che gli psichiatri usavano con i genitori del protagonista della dolorosa storia descritta ne “Il mondo di Sergio”
  http://www.angsaonlus.org/mondo_sergio.pdf
  “Non è di nostra competenza perché è handicappato”   
  Ma di chi è di competenza? A chi si rivolge l’ampia letteratura di cui ho citato una piccola parte?




  Ma di chi è di competenza? A chi si rivolge l’ampia letteratura di cui ho citato una piccola parte?


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