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Insieme per la Phelan e l’autismo

Sympó ex Chiesa, via delle Lame 83 (BO)
18 e 19 febbraio 2017

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Clicca l'immagine per la locandina completa


Il convegno é in rete integralmente ai seguenti link:

Insieme per la Phelan e l'Autismo 1^ parte 18/02/2017

Insieme per la Phelan e l'Autismo 2^ parte 18/02/2017

Insieme per la Phelan e l'Autismo 1^ parte 19/02/2017

Insieme per la Phelan e l'Autismo 2^ parte 19/02/2017


Qualche considerazione sul convegno

La relazione di Chiara Verpelli dá l’impressione che siamo a un passo da una terapia innovativa per la sindrome di Phelan.
Il primo passo per trovare un farmaco é identificare un recettore su cui una sostanza  possa agire stimolandolo o bloccandolo.
Il recettore é stato identificato: é il metabotropic glutamate receptor 5 (mGlu5)-receptor.

Agendo su questo recettore il gruppo di Verpelli e Sala ha parzialmente corretto le disfunzioni dei neuroni in vitro e i comportamenti simil
autistici dei roditori in vivo.
Se si arriverá ad una terapia efficace per la Phelan, questo costituirá un forte stimolo  per i ricercatori a continuare su questa strada per trovare
terapie efficaci che cambino la storia naturale anche di altri disturbi del neurosviluppo.

La Verpelli ha comunque cercato in tutti i modi di dare speranze senza dare illusioni. Ha piú volte detto che per arrivare all’uomo bisogna
trovare sostanze che superino la barriera emato – encefalica e che agiscano solo sulle strutture che si sono mostrate disfunzionali e non su
altre provocando effetti indesiderati. Ha mostrato di essere consapevole di trovarsi davanti ad un pubblico fatto di professionisti ma anche di
genitori, per i quali la speranza e’ una condizione essenziale per la sopravvivenza, ma le illusioni seguite da delusioni sarebbero fonte di
ulteriore sofferenza.
Dato che la relazione é stata interamente videoregistrata, ascoltiamola


Chiara Verpelli parla dopo il volontario di Telethon, a partire dal 18esimo minuto

La ricerca presentata da Chiara Verpelli ci dice quanto sia importante affiancare alla diagnosi clinica una diagnosi molecolare. Questa é
possibile in un numero limitato di casi, che aumenta peró costantemente mano a mano che le tecniche di indagine si affinano.

Di questa problematica si é parlato nella mattinata di sabato 18 febbraioda parte di genetisti (Maestrini e Magini) e clinici ( Parmeggiani e
Visconti).

Le condizioni monogenetiche o quasi monogenetiche sono minoritarie nello spettro autistico, ma esse danno possibilitá di ricerca preziose per
comprendere la strada che conduce dal gene alla funzione e per identificare bersagli per terapie innovative.

Da qui l’iniziativa della Simons Foundation di raccogliere i casi omogenei per farne oggetto di approfondite ricerche.

Questo per quanto riguarda le varianti rare sicuramente patogene.

Molto piú complessa la ricerca di varianti comuni il cui contributo alla condizione patologica é da solo debole e verificabile solo su casistiche
molto ampie.

Di ricerca ha parlato Elena Maestrini, mentre della diagnosi molecolare e della difficile interpretazione dei dati genetici, in particolare
dell’esame che al momento é ritenuto basilare, il micrarray CGH, hanno parlato Antonia Parmeggiani e Pamela Cagini, che hanno suddiviso i
risultati di tale esame in : sicuramente patogeni; di significato incerto ma probabilmente patogeno; di significato incerto ma probabilmente
benigno; sicuramente benigni.

Giá da questa classificazione si desume quanto la clinica e la ricerca siano strettamente interconnesse in quanto le categorie intermedie
passeranno in futuro verosimilmente nella categoria delle condizioni benigne o patogene mano a mano che le conoscenze aumenteranno.

Il Servizio di genetica del S. Orsola per ogni paziente trattiene un campione di sangue sul quale potrá fare nuovi esami senza richiamare i
pazienti mano a mano che nuovi esami si renderanno disponibili.

Il progresso di una conoscenza finalizzata alla ricerca di terapie sempre piú mirate richiede la stretta collaborazione tra genetisti e clinici, i
quali per parte loro cercheranno di formare dei sottogruppi omogenei dal punto di vista fenotipico e decideranno con l’aiuto dei genetisti quali
ulteriori ricerche compiere dopo il microarray CGH, che dovrebbe essere eseguito in tutti i casi. Il numero delle mutazioni patogene, rare e
rarissime, che sottostanno all’autismo é in continuo aumento e solo da una stretta collaborazione si possono decidere quali ricercare. Grazie a
questa collaborazione la diagnosi molecolare sará possibile in gruppi sempre piú numerosi di soggetti con autismo. Questo contribuirá ad
aumentare le conoscenze da un lato e dará la possibilitá di beneficiare per primi delle nuove terapie ai partecipanti alle ricerche dall’altro.

Le quattro interessanti relazioni sono state integralmente videofilmate e possono ascoltare al link

Una diagnosi eziologica é utile non solo per permettere ricerche finalizzate a trovare nuove terapie in futuro, ma anche per migliorare il
presente, nella misura in cui si  conoscano, di una data condizione biologica, la storia naturale e le piú frequenti comorbilitá.
Rita di Sarro, Responsabile ff Programma Integrato Disabilità e Salute AUSL di Bologna, Professore a contratto Università di Cesena, ha preso ad
esempio il disturbo del neurosviluppo  meglio conosciuto: la sindrome di Down.
Ha elencato le numerose comorbilitá mediche e psichiatriche che vanno cercate attivamente senza attendere che il paziente, che non sempre sa
riferire la sua soggettivitá,  cerchi l’aiuto del medico. In questo modo si puo’ realizzare anche per loro il diritto alla salute  mentale, diritto
spesso negato a chi é portatore di un disturbo che compromette le capacitá di comunicazione e di introspezione.
La storia naturale della Phelan Mc Dermid é meno ben delineata, essendo nota da meno tempo rispetto alla sindrome di Down, ma anche di questa si
potrá conoscere di piú se si verificheranno alcune condizioni: anzitutto la diagnosi, possibile solo se  si  sottoporrano agli esami genetici di
base tutti i bambini con disturbi importanti del neurosviluppo; in secondo luogo la condivisione dei dati riguardanti la storia naturale e la
comorbilitá dei soggetti affetti.

Con la relazione della logopedista Mariella Olla siamo entrati in ció che é possibile e doveroso fare oggi: l’abilitazione alla comunicazione.
In passato abbiamo spesso sentito dire dai logopedisti “Noi non possiamo intervenire perché il bambino non parla”  Mariella Olla ha detto
esattamente il contrario “Non esistono prerequisiti per la comunicazione aumentativa alternativa. Per ogni bambino si puo’ e si deve trovare un
mezzo per comunicare efficacemente”.  In un’altra cosa la Olla si é distinta da tanti suoi colleghi “I nostri bambini non sanno generalizzare
e pertanto noi dobbiamo uscire dal centro riabilitativo per andare nei loro luoghi di vita: scuola, casa, parco ecc:  lá dove poi  dovranno
spendere le abilitá che noi cerchiamo di far nascere in loro” Logopedia dunque come  abilitazione alla comunicazione funzionale, anche quando il
linguaggio vocale é assente. Ecco allora che, con queste competenze e con questo orientamento, la logopedista diventa una figura chiave nella
abilitazione dei disturbi della comunicazione sociale.

La mattinata di domenica si é conclusa con la relazione di Franca Guerini, che ha prospettato il delinearsi di un sottogruppo dello spettro autistico
la cui eziologia si potrebbe fare risalire ad una attivazione immunologica che avrebbe luogo nella vita intrauterina, analogamente a quanto avviene
per l’incompatibilitá materno fetale Rh per la quale esiste una  terapia efficace: l’immunoprofilassi.
Queste sono primizie, ipotesi di lavoro da confermare con altre ricerche.
Fa piacere che il Ministero della Salute abbia riconosciuto la validitá di tali ricerche e le abbia premiate con un finanziamento cospicuo.

Anche la mattinata del 19 febbraio é stata videofilmata ed é in rete al link


Le relazioni iniziano dopo il saluto dell’assessore Luca Rizzo Nervo

Daniela Mariani Cerati





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